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C ' è voluta una netta sconfitta politica dei sostenitori del multiculturalismo per indurre a politiche di maggior salvaguardia dei diritti della comunità nazionale e di quella trentina di fronte al fenomeno immigratorio: più severo controllo per limitare l'immigrazione clandestina, nuova forma di volontariato a tutela dell'ordine pubblico, nuovi limiti all'accesso a benefici in materia di edilizia pubblica o sostitutivi. La sociologia già da un secolo aveva rilevato i problemi che nascono dal mescolamento etnico-razziale, in particolare legato all'immigrazione di persone povere. L'averlo detto a Borgo alcuni anni fa in un pubblico dibattito mi ha fatto oggetto di accuse di razzismo.
Tutte le indagini sui valori condotte da oltre vent'anni in Trentino, in Italia e in Europa rivelavano uno scarto fra le preoccupazioni della gente e gli indirizzi politici trentini, italiani, europei, sempre pronti a sottolineare i vantaggi della multiculturalità e dell'immigrazione, tacendone gli svantaggi, che colpiscono soprattutto chi non è così ricco da difendersi con meccanismi di distanziamento sociale dai luoghi dove i problemi sono più manifesti. È evidente come la meccanica deduzione dal comandamento dell'amore universale dell'uguaglianza di diritti di cittadinanza, come se vi fosse un'unica cittadinanza universale, che annulla le cittadinanze particolari, con i connessi discrimini nei diritti, è espressione di integralismo religioso alla pari di chi vorrebbe imporre per legge di «amare Dio», l'altro grande comandamento cristiano.
Ma neppure il richiamo alla necessaria «mediazione» politica fra norma morale e norma di legge è sufficiente a tranquillizzare la coscienza cristiana; per un cristiano tale «mediazione» deve essere il più possibile vicina alla norma morale, all'ideale etico dell'amore, e quindi non è esonerato dal lottare politicamente affinché ciò avvenga. Ci si deve a questo punto interrogare se il comandamento dell'amore di per sé, anche come ideale, contrasti ogni solidarietà particolare. Nella vita sociale esistono molte solidarietà particolari, che garantiscono una sorta di «specialità» di relazioni, anche di amore, di reciproca responsabilità e di mutuo scambio, solo fra «appartenenti». Dobbiamo pensare che Cristo volesse, con il suo comandamento dell'amore universale, eliminare ogni tipo di «solidarietà speciale» tra gli uomini? Sarebbe assurdo pensarlo. Egli riserva solo all'«al di là», al «regno dei cieli», una comunione che non conosce discriminazioni, non solo nazionali o etniche, ma nemmeno connesse al matrimonio, come disse a proposito di una samaritana che aveva avuto molti mariti. Semmai il suo comandamento impone di trovare adattamenti nei rapporti fra le diverse comunità, ad ogni livello, ispirati all'amore anziché all'odio o all'indifferenza. E qui si gioca la «mediazione», che però non pone come ideale la scomparsa di ogni solidarietà speciale, particolare, bensì un assetto che, in nome di solidarietà speciali, particolari, non contrasti la solidarietà universale. Le differenze di accesso a «beni comunitari» non sono di per sé violazioni del valore dell'amore universale. Sono, anzi, normali espressioni della socialità umana così come voluta da Dio Creatore. I particolari diritti dei membri di una famiglia verso gli altri membri vanno tutelati anche in virtù del valore dell'amore dell'altro, così come i particolari diritti dei membri di una comunità etnica, nazionale, territoriale.
Non si tratta di un cedere a pulsioni egoistiche, bensì del riconoscimento di speciali rapporti di solidarietà, almeno fin tanto che non giungano, essi, a produrre lesione dei diritti fondamentali di ogni uomo in quanto uomo. E anche la definizione di questi è materia di riflessione culturale. La sfida per chi vuole ispirarsi ai valori cristiani è allora quella di trovare i giusti equilibri, non quella di negare portata alle solidarietà particolari! 20/05/2008