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Statistiche allarmanti sul degrado di una civiltà.
Di Francesco Agnoli - 14/05/2008 - Cultura e società - 1192 visite - 0 commenti

Quando qualcosa non va, oppure a qualcuno sembra che non vada, le espressioni utilizzate sono sempre le stesse:“roba da medioevo”, “qui si vuole tornare al passato”, e simili. “Siamo tornati al Concilio di Trento” affermava ad esempio, recentemente, “con il puntiglio altezzoso dei giorni migliori” (Corriere), il regista Nanni Moretti, per commentare chi criticava alcune scene poco edificanti del suo film.

Si sa che quando ad un trentino che scrive Controriforme gli toccano il mitico Concilio, non può che infastidirsi. Perché non ci saranno stati i Moretti, i girotondi e il cinema impegnato, ma l’epoca era sicuramente migliore di quella attuale. E perché il pregiudizio che c’ è dietro questo tipo di espressioni è sempre lo stesso da quel “secolo superbo e sciocco” in cui fu stabilito, in qualche libro, in qualche salotto, in qualche piazza da ghigliottina, che tutto progredisce, instancabilmente, e che oggi è sempre meglio di ieri. Eppure la cronaca non si stanca di offrirci spunti per una riflessione un po’ meno infantile e saccente: ieri si è ricordata la morte di un giovane per overdose, oggi si legge di un serial killer che ha compiuto delitti spaventosi, domani ci sarà una discussione sul fatto che le carceri, nell’Italia del 2000, sono sempre più piene, e se pochi anni fa bastavano e avanzavano, ormai sono troppo poche e troppo piccole….Eppure, a chi metta in luce la verità amara cui quotidiani e tv ci hanno piano piano abituato, sino a narcotizzarci, qualcuno urlerà: “queste cose sono sempre esistite!”.

In realtà se è vero che non esiste nessun progresso certo e necessario, e che non è per nulla inevitabile neanche l’opposto, cioè che ogni generazione sia la degenerazione della precedente, è altrettanto vero che oggi mala tempora currunt. Lo dico non per fare il “profeta di sventura” o per una sorta di pessimismo cosmico, ma perché riconoscere il male, il tumore che infesta il corpo infermo, è l’unico modo per poterlo guarire; per tenere desto l’ideale, il dover essere, la tensione morale, che vengono uccisi, invece, dalla rassegnazione compiacente verso il male e dal cinismo machiavellico della “realtà effettuale”. A questa società occorre una diagnosi, perché ci sono troppi malati che gironzolano convinti di essere sani, pronti ad additare, con assoluto disprezzo, chi è ancora almeno un po’ in salute. Insomma, i malati siamo noi, più dei nostri nonni e dei nostri bisnonni, e questo nonostante i diritti civili, i radicali liberi, e i neofuturisti di ogni sorta. Lo dicono le statistiche, la sociologia, le accurate indagini pubblicate in questi mesi sul Corriere….

Facciamo un esempio: il 2006 è stato l’anno dei record nei divorzi, che sono cresciuti del 25%. Nel 1995 i divorzi nel Belpaese erano 27.038, nel 1998 erano 33510, nel 2002 40.051, nel 2005 47.036 e nel 2006 61.153! Ogni anno che passa sempre più persone stabiliscono di non essere capaci di stare insieme, di condividere lo stesso tetto, di portare avanti uno stesso progetto, di allevare i figli del loro amore (e si rifugiano in internet, nella carriera, nella compagnia dei cani e degli animali….). Succede così che negli Usa un terzo dei minori abbia un solo genitore, mentre in Europa del nord, Gran Bretagna e Germania, è un quinto dei figli a non godere del padre o della madre. Senza contare che tra coloro che hanno entrambi i genitori, sempre più spesso uno dei due è semplicemente adottivo. Ciò che sconcerta è che la cura proposta per la malattia, non essendo più essa concepita e riconosciuta come tale, serve solo a rafforzarla.

La famiglia crolla? La legge si limiti a fotografare la realtà, perdendo qualsiasi funzione educativa, culturale, rinunciando a proporre modelli più umani e civili. Ecco quindi che i soliti noti propongono matrimoni più leggeri definiti in vari modi; ecco che i radicali costituiscono la loro ennesima associazione, per sostenere questa volta il “divorzio veloce”, deprezzando così ancora un poco, di diritto e di fatto, l’istituto matrimoniale; ecco che persino i parrocchiani più aggiornati spiegano ai loro figli che la convivenza preliminare al matrimonio è assai positiva, quando sappiamo bene “che la convivenza prematrimoniale non è una garanzia di lunga durata dell’unione, anzi essa sembra favorirne lo scioglimento”, perché “secondo recenti ricerche nelle coppie non sposate si verificherebbe una specie di auto-selezione di soggetti meno impegnati nei confronti dell’istituzione, con una visione più individualistica del matrimonio e quindi più propensi ad una eventuale rottura coniugale” (A. Zanatta, Le nuove famiglie, il Mulino). Ma torniamo alle nude statistiche: crescono i divorzi e aumentano contemporaneamente i single. “La carica dei single in Italia, 5 milioni e 977 mila unità unipersonali come li chiama freddamente l’Istat nell’ultimo censimento, non accenna ad arrestarsi. Un incremento percentuale del 98,8% dagli anni 70 agli anni 90, una crescita progressiva sino al 2001, 1,7 milioni in più nel 2007” (Corriere). E la situazione, in Svezia, Danimarca e Germania è ancora più tragica. Che l’egoismo dei cosiddetti “diritti civili” generasse solitudine era razionalmente prevedibile: ora è provato.

Manca lo spazio per ricordare che stando alle statistiche aumentano contemporaneamente i disagi psicologici e l’anoressia nei giovani, l’aborto delle minorenni, l’uso della pillola del giorno dopo, il turismo sessuale, la micro e la macro criminalità… Se il Pil cresce poco, la felicità media scende, di molto…Vivere come se Dio non esistesse, non paga, neppure qui sulla Terra.

 
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