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Le sante ragioni del darwinista Pievani contro l'antropologia cristiana
Di Francesco Agnoli - 09/04/2008 - darwinismo - 1339 visite - 0 commenti

E’ recentemente uscito un testo con un titolo un po’ noioso: “Non lasciamoci ingannare dalla Sante Ragioni dal nascere al morire. La mano della Chiesa sulla nostra vita” (Chiarelettere).

Autori ne sono Telmo Pievani, celebre evoluzionista, e Carla Castellucci, organizzatrice dei Darwin day milanesi. Lo ho subito comprato, per vedere se la mia modesta opinione, secondo la quale Darwin interessa a tanti oggi, non per le sue scoperte scientifiche, ma per essere usato a fini ideologici, fosse corretta o meno.

 L’incipit del testo è disarmante. Si spiega che le cure palliative, tanto pubblicizzate dai cattolici in alternativa all’eutanasia, sarebbero una scoperta recente, dal momento che la Chiesa e i credenti in genere si sono sempre opposti “alla medicina lenitiva, pensando che il dolore (degli altri) avesse una funzione nobilitante e catartica, come sta scritto in qualche sacra scrittura”. Riconoscere senso, per quanto misterioso, al dolore, accoglierlo con carità, secondo costoro, sarebbe l’equivalente che imporre il dolore come un bene in sé, appetibile ed auspicabile. Vorrei su questo limitarmi a segnalare al Pievani e alla Castellucci un discorso di Pio XII al IX congresso della società italiana di anestesiologia del 1957, dove si spiega chiaramente la posizione della Chiesa, che nulla ha a che vedere con tali semplificazioni. Ma andiamo avanti. Dopo aver attaccato la concezione cristiana del matrimonio, la croce nelle scuole , l’8 per mille alla Chiesa, tutti temi divenuti da un po’ di tempo connessi, non si sa come, né perchè, al darwinismo, i nostri due scienziati arrivano a parlare della “legge più brutta” che ci sia, la legge 40.

A pagina 124 si afferma che “in gioco nella legge 40 ci sono in primo luogo, perché tutto comincia da loro, i diritti dei genitori (due o uno, da questo punto di vista poco importa) e in particolare il loro diritto alla salute”, mentre i “diritti del concepito sono un’altra cosa, sono uno stratagemma che serve solo a creare ad arte un contrasto con i diritti delle persone”. Una simile posizione è il ribaltamento della realtà: quello che “non importa”, per i due fini polemisti, quando si va a “produrre” una nuova creatura, sono il numero dei suoi genitori, i suoi diritti, e, lo si capisce implicitamente, il suo diritto alla salute, essendo il tutto preceduto, non solo cronologicamente, dal desiderio e dal “diritto alla salute” dei genitori. Il figlio, che secondo logica e natura dovrebbe avere tutti i diritti e nessun dovere, viene immolato così al diritto e alla forza dei suoi desideranti pianificatori. La parte più rivelatrice del pensiero dei due autori, è però quella che sviluppa il problema scientifico della salute, questa volta, dei figli (che però, come da premessa, conta assai poco). Ebbene a pagina 141 si spiega che nel 2002 Nature Cell Biology e Nature Medicine “hanno pubblicato congiuntamente un supplemento dedicato alla fertilità. In uno dei contributi due ricercatori inglesi, Robert Winston e Kate Hardy, si ponevano la domanda cruciale: ‘Stiamo ignorando potenziali pericoli della fertilizzazione in vitro?’. Gli autori osservavano che in base ai dati più recenti e contrariamente a quanto si potesse pensare dai risultati dei primi studi, i bambini nati con le tecniche di riproduzione assistita avevano una probabilità significativamente maggiore di avere gravi malformazioni alla nascita”.

 Detto questo Pievani e Castellucci non cercano affatto di contrastare scientificamente questa posizione, diciamo così, ruiniana (nel senso che oltre ad essere di Ruini, cioè della Chiesa, farebbe ruinare pericolosamente la fiducia della gente nella sacra tecnologia onnipotente), ma ferendo mortalmente la logica aristotelica, aggiungono che “prima che qualcuno pensi che vietare la riproduzione assistita farebbe nascere meno bambini con gravi malformazioni, va ricordato che questa possibilità esiste anche per le nascite che fanno seguito al concepimento naturale e che nessuno ha mai concluso che fosse il caso di vietare questo metodo”. Ma come: non si era appena parlato di “probabilità significativamente maggiore di avere gravi malformazioni” con la fecondazione artificiale? Tanto più che qualche riga più sotto si aggiunge: “La maggiore probabilità di malformazioni viene calcolata in rapporto ai neonati venuti al mondo senza le tecniche di riproduzione assistita”. Non è finita. Citando i due studiosi inglesi si ammette che le malformazioni nei bambini nati da fecondazione artificiale non sono dovute solamente alle gravidanze multiple, spesso connesse alle tecniche in vitro, ma anche a “qualche difetto nelle procedure” su cui però non si sa ancora quasi nulla. Infatti “gli embrioni in vitro, per esempio, sono tenuti in coltura per un certo tempo prima del trasferimento, ma nessuno ha idee precise sulle caratteristiche fisiologiche dell’ambiente materno dentro le tube, in cui gli embrioni prodotti naturalmente iniziano a svilupparsi...Si resta poi sorpresi nel constatare che nessuno ha mai studiato la relazione tra mezzi di coltura e anomalie cromosomiche... a preoccupare gli autori c’è, tra le diverse cose, il fatto che l’Icsi sia entrata nella pratica prima che si fosse individuato un animale-modello su cui condurre esperimenti”… Ebbene quale è la conclusione, dopo tutte queste allarmanti ammissioni? “Ancora una volta però da tutto questo non segue che una legge più restrittiva sulla riproduzione assistita porti qualche beneficio”. Il perché non è spiegato. Ma si ricordi: l’importante sono i diritti e la salute dei genitori…ai diritti e alla salute dei figli ci pensino, una volta cresciuti, i figli stessi.

 
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