Per rilanciare la scuola occorre investire sugli insegnanti.
Basta ripristinare gli esami di riparazione a settembre per migliorare la qualità della scuola italiana? Il recente dibattito – prima sul livello nazionale, poi su quello locale – seguito all’ordinanza del ministro all’istruzione, Fioroni, sulle nuove modalità di recupero dei debiti scolastici se, da una parte, ha avuto il merito di riportare l’attenzione sul sistema dell’istruzione nazionale – e provinciale – dall’altra rischia di rivelarsi un’ennesima occasione mancata. Soprattutto in Provincia di Trento, dove ci si è limitati ad usare le prerogative autonomistiche per varare un provvedimento che ha ridotto la portata dell’ordinanza ministeriale ma ancora non si vedono atti concreti che inizino a toccare i veri nodi del “sistema scuola”.
Così, tutto si è risolto in un’inutile contrapposizione tra chi vuole gli esami di riparazione a settembre e chi no. Tralasciando il fatto che, in realtà, il ministro dell’istruzione non ha reintrodotto gli esami di riparazione (avrebbe potuto farlo solo con una legge), nessuno può ragionevolmente pensare che la scuola non debba valutare e che agli insegnanti debbano essere forniti gli strumenti per farlo nella maniera più equa ed equilibrata possibile. Allo stesso modo, però, non si può misurare la qualità di una scuola dal numero di studenti bocciati.
Sono altri gli interventi di cui ha bisogno la nostra scuola – in Italia come in Trentino – per ritrovare nuovo slancio. Per individuarli è il caso di ricordare il rapporto Ocse-Pisa 2007, reso noto poco più di un mese fa, non per ribadire il quadro impietoso che esso offre della situazione della scuola italiana e della preparazione dei nostri studenti, quanto per richiamare l’attenzione sui Paesi che si trovano in testa a questa particolare classifica. Questi hanno ottenuto tale risultato decentralizzando e destatalizzando i loro sistemi scolastici, riducendo drasticamente materie e cattedre, differenziando gli indirizzi di studio, personalizzando i percorsi formativi, pretendendo una certificazione rigorosa delle competenze, una preparazione esigente dei docenti ed introducendo una severa valutazione di scuole, insegnanti e dirigenti.
Prima di mettere a punto gli strumenti di selezione, allora, è forse opportuno aprire un confronto sulle misure che potrebbero realmente liberare le energie e le risorse pur presenti nel nostro sistema scolastico. Su questo piano, penso che siano sostanzialmente tre le “riforme” di cui la scuola ha bisogno, in Trentino, come nel resto del Paese. Innanzi tutto, l’attuazione di una reale ed effettiva autonomia didattica e finanziaria degli istituti scolastici, che li sottragga al centralismo statale e provinciale. E in tale prospettiva vanno dati reali strumenti didattici, organizzativi e finanziari agli Istituti, a partire dalla valorizzazione, responsabilizzazione e valutazione dei dirigenti scolastici. A tutto ciò è strettamente legata un’adeguata formazione dei dirigenti scolastici i quali, provenendo dal corpo docente, hanno bisogno di integrare la conoscenza pregressa con vere capacità manageriali. Poi, la realizzazione della piena parità scolastica, garanzia di vera libertà di scelta per i genitori, ma anche presupposto di una sana concorrenza virtuosa fra le scuole.
Infine, una riforma seria non può prescindere dalla figura dell’insegnante, che non può essere ridotto a quello di semplice “impiegato” dell’istruzione. In realtà, la scuola ha bisogno di docenti che non rischino di limitarsi al mero ruolo di esecutori delle decisioni prese da altri, ma abbiano la possibilità di giocare fino in fondo la loro funzione di educatori. Per far questo, però, occorrono nuovi modelli di reclutamento degli insegnanti – con la possibilità di chiamata diretta almeno per una parte di essi, se abilitati – e a nuovi percorsi di formazione, anche premiando le scuole che investono sull’aggiornamento degli insegnanti. Ed occorre, soprattutto, prevedere momenti di valutazione dei docenti che andrà accompagnata da un sistema di premi ed incentivi di natura sia economica sia professionale. Probabilmente tutto ciò non potrà avvenire senza un ripensamento – che ovviamente dovrà incidere in primo luogo sulla normativa nazionale – della figura e quindi dello stato giuridico degli insegnanti, mettendo mano al loro sviluppo professionale così da affidare loro responsabilità reali in merito alla didattica e, di conseguenza, come detto, premiando l’assunzione di queste responsabilità.
Con queste osservazioni sulla valorizzazione del ruolo degli insegnanti, so di contrariare chi pensa alla scuola solo come uno dei tanti ambiti del sicuro e garantito impiego pubblico, ma so altrettanto bene che o si comincia a dare maggior peso al merito ed alle competenze degli insegnanti – le persone alle quali è affidata tanta parte della crescita dei nostri figli – in piena armonia con quanto sta accadendo nel resto d’Europa, oppure bisogna rassegnarsi al declino irreversibile del nostro sistema d’istruzione.
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