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Israele invade Gaza, un massacro.
Di Rassegna Stampa - 02/03/2008 - Storia contemporanea - 1186 visite - 0 commenti

Nei campi di Jabaliya e di Tufah 61 morti, uccisi anche 2 soldati. Abu Mazen: stop ai negoziati « Tra le vittime civili anche 7 bambini e 4 donne, bombe dei caccia sulle abitazioni. Erekat: «Questo attacco ha sepolto, con le nostre case, anche la pace»

La Livni: «Non ci condizioneranno» siamo nel bel mezzo di una guerra. Stanno sparando su ogni cosa che si muove». Il telefono per chi è rinserrato nella propria casa nel campo profughi di Jabaliya è l’unico filo per evadere dall’incubo fatto di spari, aerei e morti. E per raccontare. Fuori la scia degli aerei israeliani taglia il cielo. I sibili sinistri preannunciano un nuovo raid. Una “guerra” - la più dura battaglia dai tempi del ritiro unilaterale del 2005, almeno 2000 i soldati israeliani coinvolti nell’operazione - con un bilancio gravissimo: almeno 61 i morti tra i palestinesi (sette i bambini), mentre hanno perso la vita anche due soldati israeliani. Almeno 150 i feriti. L’attacco è iniziato poco dopo la mezzanotte di venerdì nei campi profughi di Jabaliya e di Tufah e intorno a mezzogiorno di ieri le truppe israeliane erano penetrate per circa tre chilometri all’interno dei confini di Gaza. Centrate anche diverse case. L’azione delle forze armate israeliane è la risposta alla pioggia di razzi Qassam che continua a cadere - ieri 60 - sulle città di Sderot e di Asqhelon.

Il vice ministro della Difesa israeliano, Matam Vilnai ha precisato che quella di ieri «è solo una operazione allargata e non può essere considerata come l’inizio di una più vasta invasione». In realtà molti analisti sono convinti che l’incursione, sebbene abbia assunto dimensioni forse più ampie del previsto, costituisca una importante prova generale per i comandi dell’esercito chiamati a valutare i costi in termini di vite umane, e le difficoltà, in vista di una eventuale rioccupazione parziale della Striscia dopo il ritiro del 2005. Lo stesso ministro della Difesa, Ehud Barak, ha sottolineato che Israele «non ha fissato un limite di tempo per mettere fine all’operazione», che durerà «finché è necessario». La battaglia è iniziata poco dopo l’una della notte, quando unità speciali israeliane hanno tentato di penetrare nella periferia orientale di Jabaliya. Miliziani palestinesi li avrebbero individuati ed attaccati.A sostegno del commando israeliano sono così intervenuti prima elicotteri da combattimento e poi mezzi corazzati. La zona dei combattimenti si trova molto vicina al centro abitato di Jabaliya, e questo spiegherebbe almeno in parte il coinvolgimento dei civili. La reazione del presidente palestinese Abu Mazen è stata furiosa, ma la politica sembra sempre più impotente di fronte al rumore delle armi. Abu Mazen - il cui controllo su Gaza è stato scalzato da Hamas - nel pomeriggio ha minacciato di interrompere i negoziati di pace e ha definito quanto sta accadendo a Gaza «più che un Olocausto».«Purtroppo Israele usa in questi giorni un termine generalmente evitato da 60 anni, e questo è il termine Olocausto. Ciò che accade a Gaza è più che un Olocausto». In serata poi la drastica decisione di fermare i negoziati. Il presidente ha chiesto una «protezione internazionale» per il popolo palestinese: «È impensabile che la reazione israeliana a dei lanci di razzi, che pure noi condanniamo, sia così spaventosa».Abu Mazen ha anche ottenuto la convocazione di una sessione d’urgenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per far cessare l’incursione israeliana.Perentorio Saeb Erakat, uno dei massimi negoziatori palestinesi: «I negoziati sono sepolti sotto le macerie delle case distrutte a Gaza». Hamas ha invece puntato il dito contro «il silenzio della comunità internazionale».

Pronta la replica di Israele. Per il ministro degli Esteri Tzipi Livni «se i palestinesi sospenderanno i colloqui di pace ciò non avrà alcun effetto sulle decisioni di Israele a Gaza». Intanto nei campi profughi del Libano centinaia di palestinesi contro l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza. Nel più grande dei 12 campi palestinesi del Libano, quello di Ain El-Hilweh, una quarantina di chilometri a sud di Beirut, un centinaio di donne e di bambini hanno organizzato un sit-in su richiesta di Hamas. Un minuto di silenzio è stato osservato, in segno di solidarietà, dal Tavolo della Pace che ha lanciato un appello alla mobilitazione contro «il silenzio assordante» che circonda la tragedia di Gaza.Condanna, in serata, anche da parte del governo di Parigi e dai Paesi del Golfo Persico.

Salgono dunque a 261 le vittime a gaza, negli ultimi mesi (Avvenire, 1/3/2008)

Terra Santa - In Cisgiordania per ogni casa di palestinesi costruita, 18 vengono abbattute Gerusalemme (AsiaNews) - Tra il 2000 ed il 2007, nella parte della Cisgiordania che è a totale controllo israeliano per ogni casa che i palestinesi hanno avuto il permesso di costruire, 18 sono state abbattute. Peace now, organizzazione pacifista israeliana, afferma che negli anni presi in esame i palestinesi hanno presentato 1.624 domande per costruire edifici, ottenendo 91 risposte positive. Nello stesso periodo nei loro confronti sono stati emessi 4.993 ordini di demolizione, 1.663 dei quali eseguiti. Sempre negli anni in esame e nello stesso territorio, i coloni israeliani hanno costruito 18.472 unità immobiliari e hanno ricevuto 2.900 ordini di demolizione, 199 dei quali sono stati eseguiti. Sono significative le cifre – in parte contestate da un portavoce dell’esercito israeliano - contenute nel rapporto di febbraio di Peace now per dimostrare il diffondersi della presenza dei coloni ebrei nella zona C della Cisgiordania che gli accordi di Oslo affidano in gestione esclusiva ad Israele. In base a dati ufficiali, in tale zona, dunque, per ogni edificazione concessa ai palestinesi ci sono stati 55 ordini di demolizione e 18 abbattimenti; più del 94% delle richieste viene respinto; il 33% degli ordini di demolizione nei confronti dei palestinesi viene eseguito, a fronte di un 7% di esecuzioni nei confronti dei coloni ebrei. Il rifiuto in così larga scala dei permessi di costruzione, sostiene Peace now, mostra che la politica delle autorità mira ad un silenzioso trasferimento di palestinesi fuori dall’area C. Ai palestinesi infatti, sostiene il rapporto, viene impedito non solo si costruire nuove case o ampliare quelle esistenti, ma anche di edificare infrastrutture, come acquedotti o condotte elettriche. Il rapporto cita come esemplare il caso del villaggio di Qaryut, vicino Nablus. L’autorità israeliana ha rifiutato le richieste del consiglio comunale di riparare la strada, così che la gente è costretta a percorrere 23 chilometri per arrivare all’autostrada, che dista un chilometro e mezzo; rifiuto anche per l’allaccio all’acquedotto e lo sfruttamento di una delle sorgenti esistenti nel territorio comunale, tanto che l’acqua viene portata con le autobotti. Con costi e disagi ben maggiori. A fronte del rapporto di Peace Now, una fonte militare israeliana ha in parte contestato i dati sostenendo che i palestinesi di rado avanza richieste e spesso costruiscono abusivamente e che inoltre le cifre comprendono le autodemolizioni di strutture illegali compiute dai palestinesi, ma non quelle fatte dai coloni (AsiaNews del 22.02.2008)
 
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