Di Matteo Graziola: "È difficile per noi uomini della civiltà tecnologica immaginare come
poteva essere la percezione della natura da parte dei nostri più
lontani antenati. La nostra rinnovata sensibilità per l'ambiente e
per
la «tutela del verde » si limita interamente alla sfera biologica ed
estetica: sentiamo di aver bisogno di un ambiente biologicamente sano
e
di uno scenario esteticamente gradevole, ma non riusciamo ad andare
al
di là di queste dimensioni, pur avvertendo fortemente e anche
fastidiosamente che ci sfugge qualcosa di assolutamente decisivo.
L'uomo primitivo e quello antico, molto meno sviluppato di noi sul
piano del patrimonio concettuale e scientifico, non era però meno
dotato rispetto a noi della straordinaria e misteriosa capacità dello
spirito umano di avvertire e cercare ciò che sfugge ai calcoli
utilitaristici. Gli antropologi constatano infatti con comprensibile
stupore il manifestarsi di questa insopprimibile indole metafisica
dell'uomo fin dai primi segni lasciati dall'essere umano sulla terra.
Attraverso di essi i nostri più lontani padri ci hanno lasciato la
testimonianza della loro «ontologia », cioè la percezione del mistero
dell'essere: da questo mistero si sentivano generati, avvolti,
chiamati, affascinati, nonostante tutte le grandi difficoltà della
loro
esistenza e la rudimentale capacità di espressione di cui potevano
disporre. La loro immersione totale in una natura che era insieme
fonte
di sofferenze ma anche di continua esperienza di bellezza non poteva
non generare in loro l'intuizione di questo mistero, di cui
rinvenivano
ovunque i segni.
Uno di questi segni, il cui utilizzo simbolico si perde nella notte
dei tempi e che viene alla luce in molteplici modi tra le più antiche
tracce visibili delle primitive civiltà, è quello dell'albero,
studiato
da Maria Teresa Lezzi, storica dell'arte e delle religioni, venuta
dalla Lombardia e residente in Trentino, in un testo recentemente
pubblicato dalla casa editrice Itaca: L'Albero della vita. Con
l'introduzione di due studiosi di fama internazionale di storia delle
religioni e storia dell'arte, Julien Ries e Piotr Skubiszewski, il
testo mostra l'importanza e l'ampiezza del simbolismo dell'albero
riunendo e confrontando i testi e le immagini che lo traducono.
Questa
è l'idea madre del libro che ne costituisce la sua vera originalità.
Dottoressa Lezzi, cosa si intende anzitutto per «albero della vita»?
«Per gli uomini primitivi l'albero è stato d'importanza fondamentale:
segnalava la presenza dell'acqua, offriva ombra, forniva il legno che
serviva per la costruzione di utensili e abitazioni e per accendere
il
fuoco, era fonte di nutrimento con i suoi frutti. L'uomo ha vissuto
una
tale simbiosi con l'albero che aveva l'impressione di ricevere
l'esistenza stessa da esso. La maestosità di alcuni alberi, il
fruscio
delle foglie, il silenzio delle foreste suscitava negli uomini la
sensazione di grandiosità e di mistero. Mai un albero fu adorato per
se
stesso, ma sempre per quel che rivelava. Eliade scrive che per
l'esperienza religiosa dell'uomo arcaico l'albero rappresenta una
potenza che è dovuta sia all'albero in quanto tale, che alle sue
implicazioni cosmologiche. Esso diventa manifestazione del sacro
proprio nella sua forma e modalità biologica: perché è verticale,
cresce, perde le foglie e le riacquista, "muore" e "resuscita"
innumerevoli volte, ha la sua linfa, porta frutti. È simbolo del
carattere ciclico dell'evoluzione cosmica. Mette in comunicazione i
tre
livelli del cosmo: l'inferno per le sue radici che penetrano nelle
profondità, la terra per il suo tronco, le altezze per i suoi rami e
la
sua cima innalzati verso il cielo: diventa Albero cosmico, Axis
mundi,
che si erge al centro dell'Universo. Esso esprime la sacralità stessa
del mondo; la sua fecondità e perennità è in relazione con le idee di
creazione e fertilità, d'iniziazione e in ultima istanza con l'idea
d'immortalità. Così l'Albero del Mondo diventa anche l'Albero della
vita».
Il primo capitolo del suo libro è dedicato allo studio di questa
simbologia all'interno delle civiltà antiche. In quali di queste
civiltà si ritrova questo archetipo simbolico?
«Certamente nella civiltà mesopotamica in cui l'albero kiskanu
presenta le caratteristiche dell'Albero Cosmico, infatti si trova a
Eridu, luogo sacro per eccellenza, è considerato il prototipo
dell'albero sacro babilonese la cui iconografia è così diffusa nelle
antiche civiltà del Vicino Oriente. Nell'epopea sumerica il mitico
eroe
Gilgames parte alla ricerca della pianta della vita che rende
immortali. Anche nella tradizione iranica appare l'Albero della vita
e
della rigenerazione, l'haoma o
Gaokerena, che dà l'immortalità a chi si nutre di esso, conosciutao
fino in India».
Qual era in sintesi il messaggio culturale che questa simbologia
veicolava all'interno delle civiltà antiche?
«Alle civiltà mesopotamica e iranica abbiamo già accennato, mentre in
Grecia e a Roma l'albero era protetto dalla divinità o abitazione di
essa, come riferisce Plino il Vecchio nella sua Storia Naturale.
Nell'antico Egitto emerge un legame con il culto dei morti, poiché
l'albero del sicomoro viene identificato con la dea Nut che dispensa
cibo e bevanda ai defunti».
Il secondo capitolo riguarda la storia giudeo-cristiana: assistiamo a
delle mutazioni semantiche radicali?
«Riguardo all'Albero della vita nel paradiso terrestre, i biblisti
hanno rilevato un'analogia con l'albero della vita mesopotamico,
mentre
l'esegesi e l'iconografia diventa dalle origini la prefigurazione
della
Croce. Essa si dice a volte realizzata con il legno dell'Albero della
Conoscenza del Bene e del Male e più spesso con quello dell'Albero
della Vita. Ma nella stessa esegesi e nell'iconografia l'Albero del
peccato è spesso compreso e superato dall'Albero della Vita. Questo
infatti appare già chiaramente identificato con la Croce e con Cristo
stesso in scene del Peccato Originale. L'Albero della Vita, posto al
centro del paradiso terrestre, irrigato dai quattro fiumi del
paradiso,
è già presente nel profetismo ebraico - nel libro di Enoch - come
simbolo della salvezza messianica, anzi è la stessa sapienza di Dio,
come affermato dal libro biblico dei Proverbi. Nella stessa immagine
l'apocalittica cristiana vede il compimento della Redenzione. Ma
sopravviene qualcosa di decisamente nuovo: "un diritto all'Albero
della
Vita", come afferma il libro dell'Apocalisse; esso è prerogativa solo
di coloro che hanno lavato i loro abiti nel sangue dell'Agnello. Fra
l'Albero della Vita del paradiso terrestre e quello del paradiso
degli
ultimi tempi, il cristiano vede ergersene un terzo: la Croce».
Il terzo capitolo tratta dell'albero nelle civiltà non cristiane: che
relazione vede tra la forza di tale simbolo e i percorsi religiosi
dell'umanità?
«Il simbolismo dell'Albero Cosmico è uno dei più fecondi e universali
che abbia conosciuto l'umanità per spiegare la costituzione
dell'Universo e il posto che l'uomo deve occuparvi ».
Il Trentino è ricchissimo di alberi ad alto fusto: tale simbolo è
presente nell'arte locale?
«Sì, nelle decorazioni delle culle lignee come simbolo di fecondità e
abbondanza».
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