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Quel pericoloso fastidio per il dato di natura
Di Umberto Fasol - 02/02/2008 - Bioetica - 1323 visite - 0 commenti
Ci risiamo. “L’espressione “mamma” e “papà” lede i diritti dei genitori omosessuali e favorisce le tendenze omofobiche, diffondendo l’idea che esista solo una famiglia tradizionale” recita la proposta ufficiale del ministro per la scuola e l’infanzia britannico, Ed Balls (un nome che è un programma…), diffusa dalle agenzie. Ci domandiamo preoccupati: a quando il divieto di avere rapporti sessuali tra marito e moglie? A quando il divieto di procreare figli secondo madrenatura? Non vorremmo che si infastidissero o quelli che non “possono” o quelli che non “vogliono”! E’ vero, circola nell’aria europea, da qualche tempo, un vento fastidioso che vuole rendere un po’ tutti allergici all’idea di una natura oggettiva, all’idea di un “dato” che ci struttura come donne e come uomini, che ci precede e, proprio per questo, che ci trascende. Un milione di persone hanno dovuto scendere in piazza l’anno scorso, convocate dal Family Day, per ribadire cose antiche di migliaia di anni, come il fatto che “siamo tutti figli, nati da donna” o come ancora che il matrimonio tra un uomo e una donna è la cellula fondamentale della società umana, l’unica in grado di educare e di dare futuro alla nostra specie. Vi ricordate poi qualche mese fa, cambiando argomento ma restando in tema di natura, il divieto di parlare di Creazione nelle ore di scienze, a scuola, approvato e firmato dal Parlamento europeo con un’apposita “risoluzione”? E perché non citare anche, a questo proposito, tutti gli sforzi compiuti dai vari “maestri di pensiero” che vanno in televisione e scrivono libri e articoli per convincerci - e convincersi - che si può manipolare l’embrione umano fino a quando non ha compiuto quattordici giorni di vita perché non è ancora “totalmente umano”, o che si può selezionare, decidendo chi può e chi non può “vivere”, perché è ancora una “cosa” e non una “persona”? La stessa grande idea lanciata da Giuliano Ferrara per una Grande Moratoria a favore degli embrioni umani condannati a morte dalle leggi che consentono l’aborto, a mio avviso, si può collocare in questo vasto contesto culturale: è il tentativo della ragione di chiamare le cose con il loro vero nome. Credo che siamo chiamati tutti, in particolare chi ha una responsabilità educativa a vario titolo, a partire dalla propria famiglia, a ripristinare il primato della realtà sull’ideologia e a ridare fiato a quel “senso comune” (che è cosa diversa dal pur importante “buon senso”) che è capace di comprendere, di interpretare e, in fondo, di dare il giusto senso alle cose. Qui non si tratta di lanciare crociate, ma semplicemente di non abdicare all’uso della ragione, che è, insieme alla libertà, la nostra risorsa più significativa per la vita. Il fastidio per la natura, per le sue leggi e per la sua intima razionalità potrebbe diventare pericoloso nella misura in cui riuscirà a convincere i nostri bambini e i nostri giovani che non solo non potranno mai giungere alla conoscenza della verità (in alcun campo) ma anche e soprattutto, che non esiste alcuna verità da cercare e a cui obbedire. Se la natura non è più in grado di “parlare” all’uomo d’oggi, se non è più il “grande libro” di cui parlava Galilei, ma è solo un grandissimo cocktail di ingredienti indefiniti e indefinibili, a che cosa potremo mai ancorare la nostra conoscenza? Diffondiamo invece amore per la natura, esploriamola con tutti i mezzi tecnologici che abbiamo a disposizione, “allarghiamo la ragione” per interpretarla e raccontiamola ai nostri bambini, in casa e a scuola, perché crescano nella fiducia di poter incontrare veramente quel Logos che è all’origine di tutto e di tutti. Facciamolo. Ce lo chiedono le nostre “mamme” e i nostri “papà”.
 
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