Diventa socio
Sostieni la nostra attività
Contatti
Chiuse negli ultimi anni 35 mila imprese. Tasso di disoccupazione al 50 per cento DAL NOSTRO INVIATO GAZA —
Cioccolata e sigarette a Gaza sono beni di lusso. «Questa, per esempio — Hazem estrae una barretta di KitKat dalle scorte nascoste sotto al bancone dell'emporio — ora costa 6 shekels, prima la vendevo a 2,5». Da 45 centesimi a poco più di un euro. Quanto al fumo, meglio smettere: un pacchetto di Marlboro rosse in poche settimane è passato dai 12 ai 25 shekels, 4 euro e mezzo. Merce egiziana, che né ora né in futuro supererà l'embargo israeliano perché non è considerata di prima necessità, filtra clandestina dai tunnel sotterranei al confine. E costa cara. Da quando, giovedì, il governo dello Stato ebraico ha bloccato i valichi con la Striscia, fermando l'afflusso di carburante e alimenti, tutti i prezzi a Gaza sono impazziti. Il valore delle mele è triplicato, le cipolle costano il doppio. Hazem Hassouna, il proprietario dello spaccio alimentare, calcola che domani avrà esaurito la farina, e anche di latte gliene resta al massimo per due giorni. Al panificio di Rami Shehada c'è la fila. Lunedì la produzione si era fermata per mancanza di gas e in molti erano rimasti senza pane. «Ho dovuto chiamare la polizia per allontanare la folla.
Ma il problema ora è la farina. Mi basta solo per oggi ». Già molti forni hanno chiuso. Il ministro della Difesa Ehud Barak ha permesso ieri l'arrivo di combustibile e gas da cucina (oltre che di medicine) e la centrale elettrica della Striscia, che alimenta Gaza City, ha potuto riprendere a funzionare. Da oggi l'embargo torna totale. Finché, dice lo Stato ebraico, non cesseranno del tutto i tiri di razzi Qassam. Il Consiglio di sicurezza Onu ha affrontato il rischio emergenza umanitaria in una sessione straordinaria, su iniziativa dei Paesi arabi. Gli Usa sostengono il diritto di Israele all' «autodifesa» e con il segretario di Stato Condoleezza Rice rilanciano l'idea di un coinvolgimento dell'Anp di Abu Mazen nella gestione dei valichi (mentre Gaza è controllata da Hamas). Nella sede dell'associazione palestinese per i diritti umani Al Dameer — ancora niente luce e un ascensore rotto — il direttore Khalil Abu Shammala fa i conti con il gasolio arrivato: «Due milioni di litri che devono bastare per una settimana. Significa che dovremo usarne 300 mila al giorno invece dei 450 mila che ci servono...». Sul perché Israele abbia deciso ieri di allentare il blocco, Khalil racconta di aver avuto una discussione al telefono con il portavoce di Hamas, Fawzy Barhoum. «Lui sosteneva che il merito è stato delle proteste dei palestinesi e dei "fratelli" arabi». Cortei in Libano, Yemen, Sudan, Giordania; una manifestazione di donne al valico di Rafah dispersa con idranti e spari dalla polizia egiziana. «Io gli ho detto che si sbaglia — continua Khalil —, che se Israele ha allentato per un giorno il blocco è merito dei media, che hanno mostrato quello che sta succedendo ». Un'emergenza, con le acque nere che si riversano in strada per il sistema fognario in tilt, la luce razionata, le scorte alimentari in esaurimento, gli ospedali in difficoltà con i pazienti più gravi. Ma anche la sensazione che la crisi sia innescata da tempo. Che sia più profonda, strutturale.
Negli ultimi anni, con la seconda intifada dal 2000, e poi soprattutto con la chiusura di Gaza dal ritiro israeliano nel 2005 e con l'embargo imposto dopo la conquista di Hamas lo scorso giugno, 35 mila tra piccole, medie e grandi imprese della Striscia sono fallite, lasciando senza lavoro almeno 60 mila persone. Il tasso di disoccupazione è ormai oltre il 50%, con 8 nuclei familiari su 10 considerati dall'Onu sotto la soglia di povertà (meno di 420 euro al mese). Una delle poche imprese in funzione è la fabbrica di biscotti Awda. Fino a ieri. «Anche se arriva il gas per i forni — spiega la direttrice Manal Hassan —, non abbiamo più materie prime né cartoni per le confezioni, esauriti i prodotti chimici che si aggiungono all'impasto e non sono assolutamente autorizzati a passare. Impossibile lavorare così». La sospensione della produzione, dice, è ormai frequente e in un mese gli operai prendono sì e no dieci giorni di stipendio. La fabbrica di mobili in vimini dei fratelli Awad Allah, invece, ha chiuso da anni. «I nostri non sono prodotti necessari — racconta Jamal —, la gente in difficoltà ne ha fatto presto a meno». Fondata dal padre negli anni Cinquanta, l'impresa ha avuto anni d'oro con 42 dipendenti ed esportazioni dallo Stato ebraico all'Egitto. «Speravamo in una ripresa dopo il ritiro». Così non è stato, e del negozio dei fratelli Awad Allah resta una moquette gialla e polverosa con le chiazze scolorite accanto ai muri che indicano che qui, una volta, era pieno di mobili. ❜❜ «Questa barretta di cioccolato ora costa 6 shekels, prima la vendevo a 2,5. Domani avrò esaurito la farina e di latte me ne resta per due giorni» (Hazem Hassouna, proprietario di uno spaccio alimentare) ❜❜ Ieri sono rimasto chiuso per mancanza di gas, oggi ho dovuto chiamare la polizia per allontanare la folla. Ma il problema ora è la farina. Mi basta solo per oggi (Rami Shehada, panettiere) Prigione a cielo aperto Bambini di Gaza fanno rifornimento d'acqua: le condizioni igienico-sanitarie nella Striscia si sono severamente deteriorate. Al valico di Rafah con l'Egitto