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Assaggi n. 29: Papini, l'ateo ideale
Di Mattia Tanel - 21/01/2008 - Assaggi - 1212 visite - 0 commenti
Io non chiedo né pane, né gloria, né compassione. Non domando abbracci alle donne o soldi ai banchieri o elogi a’ «geniali». Di codeste cose fo a meno o le guadagno o rubo da me. Ma chiedo e domando, umilmente, in ginocchio, con tutta la forza e la passione dell’anima mia, un po’ di certezza; una sola, una piccola fede sicura, un atomo di verità! Io vi prego e vi scongiuro, per tutto quel che avete di più caro e di più prezioso, per la vostra vita, per la vostra amata di oggi, per la vostra idea preferita, di dirmi se c’è tra voi chi abbia quel che cerco, se v’è qualcuno che sia certo, che conosca, che sappia, che viva e si mova nel vero. E se c’è, e se non sbaglia e non s’inganna, e s’è generoso quant’è fortunato, dica a me quel che conosce e quel che sa, lo riveli sotto giuramento, e mi faccia pagare, quanto vuole, come vuole, la sua verità.
Ho bisogno di un po’ di certezza – ho bisogno di qualcosa di vero. Non posso farne a meno; non so più vivere senza. Non chiedo altro, non chiedo nulla di più, ma questo che chiedo è molto, è una straordinaria cosa: lo so. Ma la voglio in tutti i modi – a tutti i costi mi dev’esser data, se pur c’è qualcuno al mondo cui preme la mia vita.
Io non ho cercato che questo. Fin da bambino non ho vissuto che per questo. Ho picchiato a tutte le porte, ho interrogato tutti gli occhi, ho domandato a tutte le bocche e ho scandagliato mille e diecimila cuori invano. E invano mi son buttato nella vita fino al punto di affogare e di vomitare, e invano, sempre invano, mi son sciupato gli occhi sui libri vecchi e sugli ultimi e mi son fatto rintronar la testa dall’urlate de’ filosofi rivali e invano, eternamente invano, ho provocato gli echi interiori e ho preparato con umiltà le vie della rivelazione. Ma niente, ma nulla è venuto e nessuno ha risposto.
Nessuno ha risposto in modo da spengere ogni voglia e bisogno di chiedere ancora; niente è venuto che abbia calmato il cuore troppo impaziente e abbia saziata quest’anima mia, sitibonda come un deserto. (…)
Scettico io? No – disgraziatamente. Neppure scettico. Lo scettico è fortunato: una fede gli rimane, la fede nella impossibilità della certezza.
Egli può essere tranquillo e, se gli accomoda, dogmatico. Ma io no. Io non credo neppure alla vanità di ogni ricerca e non son certo neppure dell’inesistenza della certezza. Fra le cose possibili v’è anche questa: che la verità si trovi e che qualcuno la possegga.

Da Giovanni Papini, Un uomo finito, 1912
 
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