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Dopo trent’anni, la 194 sembra aver messo d’accordo tutti: abortisti e anti-abortisti. Ma parliamo di una legge che ha ucciso 5 milioni di bambini innocenti. Ecco perché – in un clima confuso – occorre fare chiarezza.
[Da «il Timone», n. 68, gennaio 2008]
Nel 2008 la legge 194 compie trent’anni. Questo triste anniversario sta già alimentando un dibattito vivace, come ha dimostrato la coraggiosa “moratoria per l’aborto” promossa da Giuliano Ferrara, cui ha aderito lo stesso Timone. Accanto a questi segni di speranza, si registra però un fenomeno preoccupante. Sembra infatti che, giunta al compimento del suo trentesimo anno, la legge 194 abbia ormai “conquistato” il consenso di tutta la società italiana.
Un dibattito molto strano
Si va delineando, infatti, uno scenario nel quale si confrontano queste due posizioni:
a. coloro che da sempre sono i fautori della legalizzazione dell’aborto, che difendono la 194. Gli argomenti sono i soliti: l’autodeterminazione della donna; l’aborto clandestino; socializzare l’aborto;
b. coloro che a suo tempo si opposero alla legalizzazione, che oggi però sostengono a necessità di applicare la legge 194 integralmente. La tesi è che nella 194 vi sono aspetti positivi mai attuati. Tutt’al più, alla legge “serve fare un tagliando”. Ma, in qualche caso, ci si spinge a definire la 194 una buona legge, una fra le migliori al mondo.
Il risultato è paradossale: sia gli abortisti che gli antiabortisti sembrano convergere sulla medesima posizione pratica. E cioè: la legge 194 non può essere assolutamente essere messa in discussione.
Così, nel dibattito viene completamente a mancare qualsiasi voce che denunci la legge in vigore come “intrinsecamente ingiusta”, e che proclami la necessità di battersi per la sua abrogazione o almeno per la sua reformatio in mejus.
Come si è potuti giungere a questa deriva nel dibattito italiano sull’aborto legale?
La confusione circa il concetto di “abortismo”
Una delle cause di questa situazione è il grave stato confusionale oggi diffuso: si pensa che l’abortista sia una persona che promuove l’aborto e ne auspica la diffusione. Si tratta di una raffigurazione distorta e caricaturale, perché tutto il fronte abortista degli anni Settanta, ad eccezione dei Radicali e di pochi altri, sosteneva questa tesi: “noi siamo contro l’aborto, che è una sconfitta della donna e della società. Solo che dobbiamo regolamentarlo per vincere l’aborto clandestino”. L’abortismo è essenzialmente affermare che la donna possa liberamente decidere – sotto il mantello della legge statale – se abortire o non abortire. Qualunque sia l’ampiezza di questa facoltà – dai futili motivi, al caso di pericolo per la salute della donna – siamo pur sempre nell’ambito del pensiero abortista. Che è una gravissima ingiustizia non solo morale, ma innanzitutto giuridica.
Le posizioni “cerchiobottiste”
In questo clima di totale confusione perdono piede alcune tesi compromissorie. L’idea è quella di combattere l’aborto nei fatti, senza contrastare alla radice il principio abortista. Ecco alcuni esempi:
a. Garantire alla donna la libertà effettiva di tenersi il figlio. “L’aborto è sì una questione di scelta della donna, ma la società non deve lasciare sola la madre: deve offrirle tutto il supporto economico e psicologico necessario per far sì che, se ella lo desidera, si possa tenere il figlio”. Una sorta di “abortismo gentile”.
b. Preferenza per la vita. “L’aborto è sì una questione di scelta della donna, ma lo Stato deve promuovere la preferibilità della nascita rispetto all’aborto”. È un notevole passo in avanti, ma è pur sempre una prospettiva abortista.
c. Rinuncia alla sanzionabilità dell’aborto. “Occorre contrastare l’aborto, ma non si può più proibirlo né tanto meno prevedere delle sanzioni”. Qui è condivisibile il desiderio di evitare alla donna il carcere, che infatti può essere sostituito con pene alternative o meramente simboliche. Ma togliere ogni sanzione significa eliminare la fattispecie aborto dal diritto penale: ed è esattamente ciò che ha fatto l’abortismo negli anni Settanta.
d. La caduta del muro di Berlino fra pro life e pro choice: “Finalmente abortisti e antiabortisti abbattono il muro che li divide e si alleano per salvare quante più vite è possibile, accettando come unica regola generale la libera scelta della donna”. Sembra un compromesso. In realtà è la resa totale alla cultura femminista e abortista.
Le conseguenze di questa deriva
Questo clima genera effetti perversi, che proviamo a riassumere schematicamente:
a. confusione dottrinale: a molti non più chiaro quale sia “la linea del Piave” che consente di distinguere una legge giusta da una ingiusta in materia di aborto. Esistono solo “leggi migliori” o “peggiori”, secondo un frasario significativamente proporzionalista e cinicamente pragmatico;
b. acquiescenza alle leggi esistenti: tutto ciò che è legge dello Stato (divorzio, aborto chirurgico, fecondazione artificiale omologa) deve essere accettato così com’è. Anzi: bisogna evitare di denunciare la sua ingiustizia per ragioni “strategiche”.
c. arruolamento di personalità abortiste: questa duttilità sui princìpi permette di imbarcare nell’equipaggio pro-life quegli intellettuali che sono e rimangono abortisti, ma che hanno il merito di vivere un certo travaglio personale. E che volentieri si alleano per combattere contro l’aborto chimico o l’eutanasia.
d. spostamento del “focus” nel dibattito: di fronte al tentativo di legalizzare la pillola RU486 non si dirà più, innanzitutto, che essa è omicida; ma che essa non va autorizzata “perché è pericolosa per la donna”. Affermazione che contiene una verità ma che, da sola, si colloca pienamente sul crinale dell’abortismo.
e. messa in fuori gioco di chi contesta le leggi abortiste: coloro che proclamano la verità tutta intera su divorzio, aborto, contraccezione, vengono marginalizzati e accusati di essere “fuori dalla realtà”.
Il “punto di perfetto equilibrio” dell’abortismo
L’esito di questo “finto” dibattito – abortisti e antiabortisti che “difendono” la legge 194 – porta al raggiungimento di un punto di equilibrio perfetto dell’abortismo; da un lato, l’accettazione del diritto di aborto per legge; dall’altro lato, il contenimento del numero di aborti (e magari perfino la loro riduzione) grazie al lavoro del volontariato cattolico, che si fa carico delle difficoltà delle donne incinte in ristrettezze economiche. È la quadratura del cerchio abortista: rendere fisiologico l’aborto legale, in una nuova, inedita alleanza con il solidarismo cattolico.
Il partito degli assorbenti
Una ventina di anni fa, un politico cattolico si sentì rivolgere in Tv questa domanda: «Onorevole, lei è ancora contrario alle legge sul divorzio?» «Credo – fu la risposta – che quella legge ormai sia stata assorbita bene dal popolo italiano». Episodio emblematico. C’è un tragico processo che le leggi ingiuste innescano nella testa della gente, cattolici inclusi: digerire, assimilare, assorbire poco alla volta l’ingiustizia. In un primo tempo dicendo (giudizio politico) che “non abbiamo la forza per eliminare quella legge”; dopo qualche anno, affermando (giudizio morale e filosofico-giuridico): “quella legge tutto sommato non è poi così cattiva, anzi è buona”. È accaduto con il divorzio. È già avvenuto con la fecondazione artificiale omologa (che viene ormai praticata in alcuni ospedali cattolici). Ora tocca all’aborto legalizzato. Accadrà con l’eutanasia. Ma non è ancora detta l’ultima parola: la verità, per quanto sostenuta da un piccolo numero di persone, non muore.
© il Timone
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