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Nell’Europa libera dalla dittatura comunista il 1968 è l'anno della rivolta giovanile, del maggio francese, delle manifestazioni degli universitari della Sorbona, della Germania, della Cattolica di Milano, di Sociologia a Trento, della Normale di Pisa…
Mentre i Cecoslovacchi muoiono manifestando contro la dittatura, nella famosa "primavera di Praga", in Europa si guarda alla Cina di Mao o alla Cuba di Castro, si coniugano Marx e Freud, si lotta contro i professori "baroni", contro ciò che viene considerato negativamente come autorità: la famiglia, la Chiesa, e lo Stato….
Si leggono "Contro la famiglia" di Cooper, "Uccidi il padre e la madre" di Rubin, i testi della contestazione americana, di Kerouak ("Sulla strada"), di Allen Ginsberg… si ascoltano Dylan e i Beatles….nascono le prime comunità acquariane, il movimento dei verdi, la moda dei viaggi in India e in Messico, sulle tracce di religioni antiche e della sperimentazione psichedelica delle sostanze stupefacenti. Nasce il movimento della liberalizzazione delle droghe, guidato, in Italia, dal giovane Marco Pannella e da Massimo D'Alema, dirigente della gioventù comunista; sorgono le Brigate Rosse di Curcio, studente di Sociologia, a Trento, a cui si affiancherà il terrorismo nero dei Nap di Fioravanti; si diffonde il femminismo, e si forma quel brodo di coltura che avrebbe portato, negli anni '70, all'introduzione, in molti paesi europei, del divorzio e poi dell'aborto.
Dalla contestazione del '68 l'Europa esce trasformata: il sistema di valori su cui si era retta per secoli viene in parte stravolto e mutato. Cosa ha determinato questa rivoluzione? Le spiegazioni date dagli storici sono varie. Volontà di giustizia, di maggior equità, di una società più democratica, di costumi più liberi, di diritti sicuri, in una gioventù ardente, idealista, generosa: questa è stata a lungo la tesi più diffusa. Si aggiungeva, al più, che non sempre queste esigenze furono declinate in modo giusto, che talora sfociarono nella violenza, nel terrorismo, nella droga, quasi come in un incidente di percorso, per l’imprudenza di alcuni.
Altri hanno visto nel ’68 l’esplosione di un cancro, di un bubbone pestifero, latente nel corpo sociale, un po’ come all’inizio del Novecento: si sarebbe sfogato, non in una guerra mondiale, ma nella guerra civile, nelle centinaia di ragazzi uccisi per motivi ideologici nelle strade d’Italia, nei suicidi sempre più diffusi, nell’uso autodistruttivo, pressoché nuovo per il nostro paese, delle droghe, nella crisi della famiglia… Fra costoro c’era il più letto scrittore italiano del Novecento, Giovannino Guareschi: “L’attuale generazione di italiani - scriveva -…più che una generazione è una degenerazione”; e poco prima di morire, all’alba del 1968: “ O giovani diffidate di chi vi sorride e vi dà importanza eccezionale. Vuole rifilarvi un giornale, un libro, un disco, una rivista pornografica, un intruglio gasato, una chitarra, un allucinogeno, una pillola, una scheda elettorale, un cartello, un manganello, un mitra. Protesto perché sono stato giovane e buggerato come saranno immancabilmente buggerati i giovani d’oggi…”.
Vediamo allora brevemente cosa è stato, anche, il celebre Sessantotto, in particolare quello studentesco e giovanile. Questo momento storico ha indubbiamente come precursori e maestri gruppi e personalità del rock che utilizzano per così dire, oltre ad un vero e proprio linguaggio subliminale, anche un altro tipo di linguaggio mascherato. La rivoluzione culturale del Sessantotto è tale proprio perché muta la cultura, il modo di pensare, e giunge a mutare il significato stesso delle parole, come otri svuotati e riempiti di vino nuovo. "Pace", "libertà", "solidarietà", "amore" sono le parole ricorrenti, gli slogans della generazione rivoluzionaria cresciuta alla scuola di musicisti rock da una parte, e filosofi dall’altra. Le parole, quando non designano ciò che significano, sono subdole, si insinuano quasi subliminalmente e fanno carriera solo per il bel suono, per la moda, per quella patina positiva che hanno ereditato, ma di cui sono state poi spogliate: la libertà, la solidarietà, l’amore, la pace che "trionfano" in quegli anni sono l’esatto contrario di questi valori intesi in senso oggettivo, reale.
Vengono infatti ad esplicarsi, a concretizzarsi in un messaggio di profondo egoismo che è riassumibile negli slogans dominanti: "Fai ciò che vuoi" ; "Né maestro né Dio. Dio sono io". Parafrasando Sant'Agostino si può dire che siamo di fronte all’amore di sé fino al disprezzo di Dio e del prossimo, contrapposto all’amore di Dio e del prossimo fino al disprezzo di sé. Egoismo ed individualismo, come sbocco del rifiuto di ogni morale e di ogni ordine, si affermano con prepotenza e diventano lotta contro tutto ciò che è d’intralcio all’auto-realizzazione personale, alla propria "libertà", dicono. La stessa famiglia, che dovrebbe essere il primo luogo della realizzazione dell’amore, della solidarietà, della pace intesi in senso reale, viene condannata, accusata violentemente, come limitazione all’io ipertrofico, che vuole diventare dio.
Lo ricorda Lidia Ravera, giornalista de "L'Unità" ed autrice di un famoso libro sul Sessantotto, dal titolo eloquente, "Porci con le ali": "Ricordo di aver preso la parola in un seminario contro la famiglia organizzato nella mia scuola…". Rossana Rossanda, poi direttore de "Il Manifesto", in una lezione rievocativa e celebrativa sul Sessantotto, cui partecipò da protagonista, scrive che nell’ottica di un'"energica liberazione sessuale" appare presto chiaro a lei e compagni "che un movimento comunista deve battersi per la fine della famiglia" ("Cinque lezioni sul '68", supplemento al nº 34 di "Rossoscuola", Torino 1987). Valori come la fedeltà, e cioè l’amore radicato, temprato anche dalle prove della vita, vengono derisi e sputacchiati. Quello che rimane più chiaramente nel ricordo, ora "dolce" ora amaro, di sessantottini come Aldo Ricci e Mauro Rostagno a Trento, Lidia Ravera, Gillo Pontecorvo, ecc... è il comunismo di donne più che il comunismo di beni, le famose comuni nelle università occupate, l’attuazione dello scambismo delle coppie teorizzato da Wilhelm Reich. La droga ha un ruolo non piccolo nel determinare l’esplosione di questa libertà e amore intesi in senso puramente egoistico. Agisce da impulso disinibente e isolante, permette ed innesta il meccanismo della sfrenatezza e di una libertà tanto assurda da essere innaturale e distruttiva.
L’uso della droga è il primo passo del sovvertimento di ogni ordine e di ogni valore, fino a fare del proprio ombelico il centro del mondo e del proprio ventre il monte Sinai da cui discendono le Tavole della Legge. "I derivati della canapa - ricorda la rivista antiproibizionista "Cannabis" - venivano rigidamente usati come sostanza sacramentale da un’estesa e colorata tribù che aveva optato unilateralmente per l’abolizione [...] della proprietà privata, della famiglia mononucleare (e cioè normale, N.d.A.), dei tabù sessuali...", fra i quali anche l’incesto. Ne sono esempi lampanti le vite personali di maestri riconosciuti del Sessantotto e portavoce della beat generation come Bob Dylan, i Beatles, Jack Kerouac , Allen Ginsberg ... Scriveva John Lennon: "Volevamo liberare il mondo [...]. Parlavamo di pace [...]. Per sopravvivere ho sempre avuto bisogno di droga [...]. La mia passione per l’LSD è durata anni senza alcun cedimento. Anche George (Harrison) era un fanatico dell’LSD [...]. Per anni ho vissuto al centro di uno sfrenato festeggiamento: ero come un imperatore, con miliardi di ragazze, droga, alcool, potere a volontà [...]. In fondo eravamo come dei tossici, incapaci di interrompere la nostra routine autodistruttiva [...]. Ci procuravamo delle prostitute [...]. Del tour di Amsterdam ci sono delle mie foto dove esco strisciando sulle ginocchia da un bordello..." (J.Lennon, "Pace, amore e musica. Scritti autobiografici", Ed. Blues Brothers, Milano 1996, pagg. 76, 102, 132, 36). In Italia, accanto a Dylan e ai Beatles, sono anche altri i profeti del Sessantotto: nelle università si leggono, oltre a Karl Marx, Lenin e Fidel Castro, Sigmund Freud, Herbert Marcuse, Erich Fromm, Friedrich Nietzsche... Il messaggio morale è sempre quello di una liberazione dalla famiglia, dai tabù dell’incesto, dal matrimonio... intesa appunto nietzscheanamente, nell’ottica dell’io egocentrico che, dopo aver proclamato la morte di Dio, si fa superuomo per essere al di là del bene e del male.
Ma il superuomo rimane un’élite: "Ho l’impressione - scrive Aldo Ricci, oggi approdato ad altri lidi, ricordando il Sessantotto di Trento come un’eccezione per lui positiva - che la trasgressione sia sempre stata appannaggio, patrimonio [...] di élites ristrette e sparute, quando non impaurite dalla repressione che su questa landa imperversa da duemila anni", una "dittatura bimillenaria" , che è evidentemente, per il Ricci, quella di Cristo (A.Ricci, "I giovani non sono piante", Ed. SugarCo, Milano 1978). I risultati, nonostante le dotte teorie, che non disdegnano il paragone con la ribellione di Satana quale esempio di libertà (Fromm), rimangono spesso piuttosto meschini. Si parla, è vero, anche di rivoluzione marxista, di guerra del Vietnam, di lotta dura contro il sistema, di anarchia, ma spesso sono parole vuote, e molti di questi ribelli anarchici finiranno male, falliti, suicidi, o sulle poltrone del potere. Mauro Rostagno, membro di Lotta Continua, confessava: "Quando andavamo in giro a parlare non rivendicavamo mai i nostri aspetti più belli, ma soltanto quelli tradizionali e scontati: il rapporto con la classe operaia [...] non le altre cose che poi si sono rivelate le più importanti…. A questi discorsi sulla droga associai quello sulla liberazione sessuale [...]. Vai in giro a predicare ogni sorta di liberazione e poi, distrutto, torni a casa a picchiare tua moglie e i tuoi figli ". Del resto, Aldo Ricci scrive: "Conosco tutti o quasi gli autori del Sessantotto [...] brigatisti, potereoperaisti, ma nessuno di loro - dico nessuno - tra quelli che contavano e contano, era operaio". Sono indicativi gli slogans che compaiono sui muri delle università nel ’68 e nel suo erede, il ’78: "Il sesso è tuo, liberalo"; "Quinto: uccidi il padre e la madre" (titolo di un testo chiave dell'anarchico Jerry Rubin, accanto a "Do It"); "Inventate nuove perversioni sessuali"; "Fate saltare le menti meccaniche con l’acido santo"; "Vitamina al vostro cervello. LSD"; "L’alcool uccide, prendete l’LSD"; "Oh, Dio me! Come sto mal, aiuto ci vuol la cocaina, presto"...
Uno dei protagonisti dell’epoca, forse il padre più autorevole della beat generation, amico di Dylan e di Lennon, è Allen Ginsberg: con lui l’uso di droghe, la sfrenatezza dell’orgia e dell’incesto, diventano mito, epica e ideale a sfondo filosofico da consegnare alle generazioni. È la vera cultura della droga, la droga consigliata, esaltata, propinata come segno di superiorità, non l’esperienza di debolezza, sfortunata, il dramma umano di tanti che sono anche vittime. Ginsberg descrive nelle sue poesie, che diverranno un testo sacro per molti sessantottini d’oltreoceano, ma anche nostrani, e nei suoi diari, con linguaggio schizofrenico, rapporti incestuosi tra parenti, episodi di pazzia, le virtù visionarie dell’oppio, del peyote, delle piante allucinogene messicane e indiane, in una sorta di lotta sacra contro "il Moloch il cui nome è la Mente". Scrive: "Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia [...] trascinarsi per strade nere all’alba in cerca di droga rabbiosa"; "Vomito, sono in trance, il mio corpo è colto dalla convulsione [...] sono qui nell’inferno"; "Sante le visioni, sante le allucinazioni [...] santo l’abisso" (Allen Ginsberg, "Urlo e Kaddish", Ed. Il Saggiatore, Cuneo 1997, pagg. 135, 381, 135). Recatosi dagli stregoni del Nord America prima, e da quelli dell' Amazzonia poi, sperimenta cerimonie rituali e piante allucinogene sino ad avere una completa visione della morte, in cui essa, identificata con dio, abbraccia l'intero universo: "Una notte, nel Perù, mentre prendevo l'Ayahuasca (sostanza allucinogena il cui nome significa "liana della morte", ndr) con gli stregoni mi trovai faccia a faccia con ciò che mi parve l'immagine della Morte venuta di nuovo ad ammonirmi che tutta questa mia meità era solo vanità e vuoto…" ("A.Ginsberg, "Jukebox all'idrogeno", Mondadori).
Siamo innegabilmente di fronte ad una sorta di nichilismo gnostico che si coniuga con l’influsso delle religioni indiane e delle connesse dottrine del New Age. Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Aldous Huxley, William Burroughs, Peter Orlovsky non sono solo i propagandisti dell’uso "conoscitivo" e "visionario" delle droghe, ma gli apostoli in America della nascente New Age, nel cui sincretismo c’è spazio per lo spiritismo, per la droga, per le tecniche yoga, mantra, zen, per lo sciamanesimo indoamericano e per i riti africani a base di sostanze allucinogene, dette anche "enteogene". Costoro si recano in Messico, in India, nel Tibet, e iniziano a circondarsi di guru indiani, come faranno poi i Beatles, ma anche molti italiani come Rostagno (che va a studiare i riti di trance e la macunba, e a sperimenta il peyote). Il raduno di Woodstock, che fu una grande cassa di risonanza per la "pace dello spinello" è aperto proprio dal discorso di un santone indiano. Per il buddhismo, la vita è male e sofferenza, il corpo una prigione da cui ci si può liberare alla fine del ciclo delle reincarnazioni, per approdare all’agognata estinzione nirvanica (fine della volontà, del pensiero e della personalità). Per questo assumono importanza le esperienze al di là dell’essere, del pensiero, cioè arazionali, alogiche, spersonalizzanti, annullanti l’io individuale: da qui nascono le tecniche indiane respiratorie o di ripetizione autoipnotica ("mantras"), per uscire, evadere dall’essere, dall’autocoscienza, dal pensiero, per raggiungere il "vuoto mentale" dello Zen, la noluntas - assenza di ogni volontà, di ogni anelito di vita - come vertice della "liberazione", di Arthur Schopenauer. Jack Kerouac, un altro "mistico" della droga, rimastone vittima a soli 47 anni, scrive di aver raggiunto l’illuminazione buddista e di aver capito che la vera realtà è il vuoto. Ma, accanto a questo desiderio di annullamento e di morte, si affiancano strane suggestioni sataniche, come si evince chiaramente dall'incipit del suo "Le città delle notti rosse": "questo libro è dedicato agli Antichi, al Signore delle Abominazioni...Angelo Oscuro di tutto ciò che è escrezione e corruzione, signore della Decomposizione...a Ix Tab...patrona di coloro che si impiccano..., al Distruttore...al Signore degli Assassini. Niente è vero. Tutto è permesso". Un esempio italiano di questo particolare connubio tra esperienze di droghe, religiosità indiana e spiritismo, è Franco Battiato, il cantautore filosofo che inizia ad emergere proprio nel '68, e che dissemina le sue canzoni di riferimenti dotti, non sempre facilmente comprensibili. Nelle sue conversazioni col giornalista Franco Pulcini egli anzitutto riconosce la "filosofia indiana" come "punto di riferimento costante della mia vita". Poi prosegue illustrando il suo rapporto con le droghe: "Io, personalmente, ne ho fatto uso, ma con un criterio che definirei sperimentale e conoscitivo [...]. Ho fatto un’esperienza per ogni tipo di droga. La mescalina è stata la più sensazionale, con visioni eccezionali! [...]. Sono droghe obiettivamente esatte [...]. è un piacere assoluto [...]. Il cervello ti funziona in maniera diversa..." (F. Battiato, "Tecnica mista su tappeto", E. D. T, Torino 1992, pagg. 12, 14, 15, 69, 70).
Prosegue affermando che vi sono esercizi sul proprio corpo tramite i quali si può raggiungere uno stato simile a quello degli allucinogeni ("meditazione"), parlando di magia sessuale tantrica, di reincarnazione, di spiritismo: "E le notti in cui sogni molto, sono le notti in cui riposi meglio?" - chiede Pulcini. "Riposo abbastanza bene [...] a meno che non mi trovi in qualche stanza d’albergo con qualche influenza che non mi piace". Pulcini: "Quindi tu senti delle presenze?". Battiato: "Sono una specie di calamita". Pulcini: "I fantasmi e gli spiriti ti si appiccicano addosso?". Battiato: "Quello è difficile. Ci provano ma non li faccio entrare...". In conclusione si può dire che c'è una storia del '68 che viene spesso occultata, nascosta a bella a posta. Lo ha ribadito un altro protagonista dell'epoca, amico di Marco Pannella e direttore della rivista "Re Nudo", Andrea Valcarenghi: "C’è una storia del movimento degli anni Settanta che è stata dimenticata in ogni rievocazione. è la componente che veniva chiamata underground, quella che ha fatto emergere bisogni, ansie che gran parte della generazione del ’68 ha poi saputo esprimere attraverso il movimento delle donne, degli omosessuali [...] l’esperienza delle comuni, del fumo, del viaggio in India..." . (da "Voglio una vita manipolata", Ares)