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Famiglia o famiglie? Pacs, matrimoni omosessuali...
Di Francesco Agnoli - 21/12/2007 - Bioetica - 1289 visite - 0 commenti

UNA CONFERENZA DAVVERO INTERESSANTE: Famiglia o famiglie? Pacs, matrimoni omosessuali... ne ha parlato il Prof. MARIO PALMARO, FILOSOFO DEL DIRITTO (trascrizione a cura di Maristella Paiar).

In mezzo alla bufera della fine di una surreale campagna elettorale, a Trento capita anche di ospitare un filosofo del diritto che viene a mettere alcuni punti fermi su concetti che normalmente vengono accuratamente evitati nel dibattito, ma che stanno alla base dello stesso. Ecco quello che ne ho ricavato io.

Il Professore ha iniziato ponendo alcuni concetti di presupposto: 1. La legge di una generazione spesso fonda la morale civica della generazione successiva. Ad esempio: la legge che sancisce la legalità di un comportamento fin lì non tollerato lo rende lecito e pacifico per chi nasce mentre vige quella legge.

2. La nostra tradizione giuridica distingue tra i “diritti fondamentali” riconosciuti dallo Stato perché preesistenti allo Stato stesso, ed “altri diritti” (ed obblighi) codificati e sanciti successivamente dallo Stato. Ad esempio: il diritto degli uomini a vivere (e non essere ucciso) preesite allo Stato, lo Stato non può che riconoscerlo perché gli uomini hanno, da che mondo è mondo, il vizio di nascere e vivere anche senza alcuna forma di Stato e tendono a difendere la propria vita..

3. La nostra tradizione giuridica rinviene degli “istituti” fondamentali e pregressi allo Stato che riconosce e di cui non dà definizione, per il semplice fatto che essi preesistono allo Stato e sono di fatto costituiti in un certo modo (la chiaminamo legge naturale). Ad esempio: la famiglia non è un invenzione dello Stato. Da che mondo è mondo gli esseri umani formano la loro famiglia indipendentemente dallo Stato e dagli Stati.

4. Individua anche un elemento fondante di diversità tra un legislatore liberale/democratico ed un legislatore totalitarista: a) il regime totalitario è quello che ritiene di avere il diritto di dire come vanno interpretate (e perciò definite) tutte le realtà, e che la definizione di tutti gli istituti giuridici e la loro regolamentazione spetti allo Stato che, liberamente e convenzionalmente, attribuisce diritti a chi ritiene. b) il legislatore liberale, invece, riconosce gli istituti pregressi, li rispetta e li tutela trattando con maggior favore quanto possa contribuire al bene comune, lasciando alle cose la loro evidenza reale. Ad esempio: in uno stato totalitario si possono assegnare dei diritti in modo arbitrario tenendo conto di qualunque criterio per farlo (si pensi al nazismo o al comunismo: hanno diritto di vivere solo i belli, sani...)

5. Il concetto di laicità dello Stato va definito. E' un concetto che è entrato “distorto” nel dibattito di questi giorni... Per indicare uno Stato indifferente ai valori della morale civica (da alcuni individuata nella Chiesa Cattolica). Per il professore il modo in cui si utilizza il concetto di “laicità” come sinonimo di “Stato neutro quanto ai valori” è scorretto. Non può esistere infatti per definizione uno Stato NEUTRO. Le leggi dello Stato, infatti, hanno comunque un aspetto decisionale che tiene conto dei valori del legislatore.

6. Il concetto per il quale lo Stato dovrebbe compilare leggi neutre quanto al contenuto di valore “formalmente esatte e per ciò stesso valide” ci viene dal positivismo giuridico, ma è un concetto che si rivela ben presto fallace. Ad esempio: Il professore cita il caso del cavallo divenuto senatore grazie all'imperatore Caligola, che lo creò senatore rispettando tutte le regole formali del tempo. Il professore si domandava se ciò facesse di quel cavallo un vero senatore. La risposta è stata negativa, secondo ragione e logica. Eppure formalmente la risposta avrebbe dovuto essere positiva. Il professore analizzando ci aiuta a scoprire cosa manca al cavallo per essere senatore davvero: manca del prerequisito di essere una persona umana dotata di intelletto. Però, ci accorgiamo, questo dato non rientra tra i requisiti formali positivi, era un elemento dato “per scontato” perché così vuole la realtà dei fatti: per poter stare in senato a decidere per il popolo è necessario appartenere alla razza umana. Così avviene per la famiglia che si fonda sul matrimonio. La famiglia “naturale” (della relatà delle cose ed indipendentemente dallo Stato) è presente in tutte le società. Nella nostra società e civiltà essa è normalmente composta da un uomo e da una donna e dai loro figli, se e quando nascono. La famiglia “naturale” ha aspetti di rilevanza “privata” e di rilevanza “pubblica”. Anche il matrimonio è preesiste allo Stato ed ha la funzione di rendere pubblica l'unione tra uomo e donna che dà inizio alla famiglia. Vi è un rito specifico in quasi tutte le società e le culture. Perché? Perché da quell'unione nasce un qualcosa di nuovo che ha effetti sulla società. Infatti gli sposi assumono doveri reciproci, ma che si riflettono anche verso la collettività: la coppia è più forte economicamente del singolo, dà garanzia di mutua solidarietà tra i due, ma soprattutto spesso nella coppia nascono i figli e la società si aspetta e richiede alla coppia che i figli siano cresciuti, curati ed educati al rispetto delle regole sociali proprio dalla coppia, che, per questo fine riceve degli aiuti (scuola....).

Uno degli equivoci da evitare in questa discussione su famiglia e coppia è quello di confondere i piani tra i diritti della persona ed i diritti/doveri della coppia. In nessun caso infatti si possono negare i diritti della persona in quanto tale - diritti fondamentali dell'uomo -. Quanto invece ai diritti derivanti dal fatto di essere coppia dobbiamo chiarirci: a) o sono fondati ed acquisiti accettando di dare aspetto pubblico all'unione, assumendo su di sé tutti quegli oneri sociali e quei doveri reciproci che fanno del fatto privato un fatto pubblico b) o si rischia di concedere diritti “vuoti”.

Ad esempio: se una persona ha il diritto ad essere mantenuto ma nessuno ha l'obbligo (dovere) di farlo, la persona non vedrà mai neppure un euro ed in effetti non sarà affatto mantenuta. La famiglia fondata sul matrimonio è dunque “favorita”, ma anche codificata e regolamentata perché il vincolo (civile, religioso o diverso) crea condizioni di stabilità sociale, dà garanzie di cura della prole... Viene dunque istituzionalizzato per ciò che è nella realtà delle cose. E' la rilevanza pubblica e sociale della famiglia/coppia sposata a renderla giuridicamente rilevante e quindi inserita nell'ordinamento giuridico. Se dunque rendiamo rilevante giuridicamente il “rapporto” delle coppie di fatto otteniamo un risultato sotto molti aspetti aberrante: a) rendiamo di rilevanza pubblica un rapporto che le parti hanno liberamente deciso di non rendere pubblicistico b) dobbiamo definire minuziosamente gli aspetti e le situazioni di cui si parla per evitare di istituzionalizzare come “coppia di fatto” ciò che non lo è (due studenti che vivono insieme, due amiche che per motivi contingenti dividono la casa....) creando una legge non valida per tutti, ma per solo alcuni... c) dovremmo attribuire arbitrariamente diritti che o saranno “vuoti” o saranno corrispondenti a doveri (che però le parti avevano scelto di non assumere), con ciò creando una specie di “matrimonio forzato” delle coppie di fatto, con doveri che scattano automaticamente a precindere dalla volontà delle parti in presenza di certi requisiti. d) finiremo per creare un modello sociale ibrido e non correlato ad alcuna realtà di fatto. Il professor Palmaro sostiene che, malgrado il diritto esiste quella “tipica ostinazione dei fatti” per cui inventando definizioni anche fantasiose non si riesce a cmbiare la realtà delle cose, per assenza di “magia” da parte del legislatore. In realtà e conclusione il nostro sistema giuridico “tollera” le realtà di fatto (coppie/famiglie non sposate) non le perseguita, non vieta loro alcunché.

Solo che lo Stato, in assenza di loro accettazione pubblica (vincolo matrimoniale) delle regole sancite per la famiglia/coppia sposata che danno alla stessa rilevanza pubblica non può (e non deve) riconoscere loro i diritti relativi ai doveri che non hanno “accettato/scelto” di assumere. Lo Stato non può infatti dire che è uguale la coppia che si sposa e quella che non lo fa. L'unico modo per renderle “uguali” è sottoporle alle stesse regole (diritti e doveri) che, guarda caso, è proprio il risultato che la coppia di fatto vuole evitare NON sposandosi! Mi sembra davvero che la relazione del professor Palmaro mi habbia dato molti spunti di riflessione, che ho qui malamente riassunto dai miei appunti, e ringrazio perciò tutti coloro che vi hanno partecipato, sperando che il dibattito prosegua con questi toni sereni e pacati.

 
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