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Con la proclamazione dello Statuto albertino il 4 marzo 1848 comincia, in Piemonte, il regno dell’uguaglianza, del diritto e della libertà.
Fatto sta che mentre il primo articolo dello Statuto definisce la “Chiesa cattolica apostolica e romana la sola religione di stato”, il parlamento subalpino scatena una guerra senza frontiere contro la Compagnia di Gesù. Come se i gesuiti non fossero cattolici, apostolici e romani. Per capire questa vistosa incongruenza bisogna tenere presente che la guerra scatenata dal mondo protestante e massonico contro la chiesa cattolica ha nei gesuiti l’avversario principale e più temibile. Per combattere l’eccellenza dei gesuiti (nati proprio per contrastare la riforma protestante) la calunnia è sempre sembrata l’arma più appropriata. Nel 1614 vengono stampati a Cracovia i Monita privata Societatis Jesus: supposte istruzioni segrete, radicalmente false, che i gesuiti avrebbero seguito per conquistare non il mondo a Cristo, ma il potere alla Compagnia. Da allora per i gesuiti (salvo curiosamente negli ultimi decenni) non c’è mai stata tregua.
Interessante da questo punto di vista la lettera che il generale dell’ordine, padre Giovanni Roothaan, invia il 25 agosto del 1850 all’imperatore Francesco Giuseppe per spiegargli l’origine dell’odio che circonda la Compagnia. Secondo padre Roothaan la macchinazione parte da quella che definisce una “empia setta”: “per riuscire nei suoi disegni disastrosi, l’empia setta, alla quale è stato dato di prevalere un istante, si è sforzata soprattutto di combattere e di distruggere i sentimenti religiosi nei paesi cattolici, e a questo fine essa ha attaccato in primo luogo gli ordini religiosi, nella cui esistenza essa individuava un ostacolo alle sue mire. Ma tra tutti gli ordini religiosi quello che più eccitava il suo furore, quello di cui essa si sforzò con ogni mezzo di rendere financo il nome odioso a tutti i popoli e a tutte le classi della società, è notoriamente la Compagnia di Gesù”. I liberali italiani si inseriscono in questo filone collaudato che si accanisce contro i gesuiti per colpire la chiesa. Le istruzioni di Mazzini al riguardo sono precise. Bisogna sfruttare al massimo la potenza delle parole: «Vi sono parole generatrici che contengono tutto- scrive l’avvocato genovese-, e che devono ripetersi al popolo: libertà, diritti dell’uomo, progresso, eguaglianza, fratellanza; ecco quello che il popolo comprenderà, soprattutto quando vi si contrapporranno le parole di dispotismo, di privilegi, di tirannia, di schiavitù».
Chi è più dispotico, chi più tiranno dei gesuiti? «La potenza clericale -continua- è personificata nei Gesuiti; l’odioso di questo nome è una potenza pei socialisti». E così, mentre l’esercito combatte una guerra rovinosa contro l’Austria, il parlamento subalpino passa il tempo ad accumulare “prove” contro i figli di S. Ignazio. Definiti i gesuiti “lue”, “peste”, “vespe”, “setta fatale”, deputati e senatori sanzionano la soppressione della Compagnia, espropriano tutti i beni dell’ordine e costringono i padri al domicilio coatto non perché rei di qualche colpa ma perché membri di un ordine religioso considerato pericoloso per la libertà. Perseguitati, cacciati dalle proprie case, espropriati di tutto, i gesuiti non possono nemmeno difendersi dalle calunnie lanciate dalla stampa ufficiale perché i giornali governativi non pubblicano le smentite. Ecco cosa scrive il 25 gennaio 1848 a Carlo Alberto il provinciale dei gesuiti piemontesi padre Francesco Pellico: «Era sapientemente dichiarato da V.[ostra] M.[aestà] nella nuova legge sulla stampa che dovesse rimaner inviolato l’onore delle persone e dei ministri della Chiesa.
Ma pare che nell’avvilire e calunniare i Gesuiti non si tema di trasgredire la legge». I padri sono «esposti per la sola qualità di Gesuiti al pubblico odio o alla diffidenza e al dispregio. Intanto però i giornali ed i libelli che ci fanno la guerra, approvati in ciò dalla censura, hanno diritto di rifiutare le nostre smentite; né tuttavia abbiam noi un altro organo imparziale da stamparle con uguale pubblicità, se pure non ci venga concesso di farlo per via della gazzetta del Governo». I Savoia e i liberali violano uno dopo l’altro tutti i principali articoli dello Statuto, compreso l’articolo 28 che tutela la libertà di stampa: «La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi».