KATE E IL SELVAGGIO. Luglio 2007-09-21
Nel mirabile romanzo La valle dell’eden, di John Steinbeck, tra i molti personaggi magistralmente tratteggiati e straordinariamente colti nelle ricchezza dei loro moti interiori, spicca il ritratto di Kate, la cui sinistra e seducente ombra getta la propria presenza lungo tutta la trama del racconto.
Kate è un bambina silenziosa e arguta dotata di un’istintiva e animalesca forza, capace di cogliere il lato debole dello spirito umano squadernandolo senza pietà, per poi abbandonarlo ad un destino di incertezza e delusione.
Perché la fanciulla è cresciuta senza radici e senza amore covando nel proprio gelido cuore un rancore muto, figlio della solitudine. Una solitudine che non è dipesa dagli eventi, ma è cresciuta nell’indole stessa di Kate come un cancro inspiegabile, frutto forse, di una predestinazione.
Nell’animo di Kate, marchiato da un orrendo delitto- ha bruciato viva la propria famiglia- volteggia l’ala di un avvoltoio particolare; esso non attende la propria carogna.. L’animo di Kate anticipa, prova piacere ad innestare il detonatore di un dramma. E chi la incontra ne è irretito, attratto da una dolcezza solo apparente, che all’occorrenza rivela qualcosa di tagliente, di freddo, di terribile.
Tutto questo in lei non appare come il frutto di un calcolo, di una perfidia consapevole, piuttosto come il naturale dispiegarsi di un’indole crudelmente innocente che dalla vita ha appreso soltanto una logica di lotta e di feroce contesa. Kate non vede il bene, forse perché mai lo ha conosciuto e persino il sesso in lei non è che una leva, una magica rete nella quale impigliare le inconfessate pulsioni del maschio.
Sin da bambina, osservandola attraverso gli occhi del suo creatore, la diresti una levatrice d’istinti primordiali al di là di ogni bene e di ogni male.
Forse per questo, prima di morire suicida, vinta dalla nefandezza che la circonda nel lindo bordello di cui è direttrice, Kate ha un moto incomprensibile: lascia ogni suo avere- una fortuna- la ricchezza accumulata attraverso il commercio carnale e il ricatto delle umane debolezze, al figlio mai riconosciuto. Un figlio che è l’opposto di lei, candido e splendente quanto lei è cupa e sporca, certo di una morale inflessibile quanto lei lo è della licenza e del vizio che vuol sollecitare in ogni creatura. Un figlio che cerca la perfezione nel bene, quanto lei la cerca nel male. Eppure in quel figlio “ perfetto” sembra mostrarsi un che di innaturale, quasi un giudizio verso le umane miserie, verso i normali, verso i peccatori. Forse entrambi, madre e figlio, pur così diversi sono accomunati da un sentimento identico, l’odio per il mondo, l’odio per l’uomo. Solo che Kate anziché redimere il mondo sceglie di dominarlo possedendone i vizi e sfruttando questa energia negativa per trarne un vantaggio . Mentre il figlio, si rifugia lontano dall’imperfezione, nell’algida condizione di un eletto. Ma sono soli, entrambi, pieni di paura e di rancore.
Sono i paradossi di un romanzo o le idee di un grande scrittore che, a forza di premere nell’anima, fuoriescono come una lava incandescente dando origine a figure, che una volta solide paiono modelli, sculture, mostri?
Forse Kate, scegliendo di privilegiare quel figlio voleva vendicarsi della purezza che non ha mai avuto, caricando quello sconosciuto di un dono frutto del peccato di una vita.
O forse ha cercato un riscatto rivelando la nostalgia del proprio essere per un mondo senza peccato, perché Kate era scesa a patti con il demonio e aveva conosciuto sin troppo bene l’animo umano, come una sacerdotessa del vizio anziché della virtù.
Ma questa donna, il cui profilo ci disgusta, per certi aspetti suscita compassione, perché pur possedendo “il mondo”-è ricchissima e temuta- sembra non avere nulla, anzi, non ha nulla. Per questo la sua storia muove nel profondo del nostro cuore fangoso un poco di pietà.
E’ pensando a lei che vado con la mente a un personaggio reale, contemporaneo, di cui volutamente non faccio il nome tanto ridondano della sua immagine e delle sue dichiarazioni le pagine dei giornali. Egli, non ha ucciso come Kate i propri genitori, anzi; egli pur esercitando un mestiere simile a quello della nostra protagonista femminile, dopo aver conosciuto le patrie galere per questioni di sesso, di foto e di presunti ricatti, ha ripreso il proprio lavoro ovverosia speculare sui vizi e le virtù altrui.
Questo uomo non esercita la professione nel nascondimento, egli è un affarista inseguito dai giornalisti, egli è un opinion leader, la maglietta con impresso il simbolo della sua linea di abbigliamento spopola, i protagonisti della televisione la indossano.
Perché di fatto egli non è colpevole di nulla, è solo un uomo d’affari che si arricchisce con i difetti dell’umana natura.
Anch’egli come Kate conosce i segreti inconfessabili, i desideri e i vizi dei vip e attraverso il sottile “ricatto” di una foto si arricchisce, diventa famoso, frequenta i salotti che contano, diventa un personaggio amato ed emulato.
E i giornali si prostrano davanti al belloccio, perché a ben vedere, fa notizia e ciò che fa notizia è affare e l’affare non ha morale. E’ affare e basta.
Solo che, la mia simpatia a pensarci bene va alla terribile Kate, che vive fuggendo, nascondendosi, in lotta con il male che la circonda e la divora.
Kate è profonda, priva di ogni moralismo, rapida e istintiva, paradossalmente priva di calcolo. Il nostro invece, appare il prodotto di un’ epoca superficiale, calcolatrice, gretta, selvaggia e indecente. Nel “male” di questo ragazzetto tutto muscoli e tatuaggi non c’è alcun abisso, alcun contrasto, alcun dramma. Egli è semplicemente lo specchio della nostra contemporaneità, centrata sull’oggi e sull’apparire comunque e sempre, si tratti di un funerale o una festa mascherata, un evento mondano o un dibattito politico. Solo chi appare vive, solo chi appare è qualcuno. Viene alla memoria una recentissima dichiarazione di una delle donne criminali più ricercate degli Stati Uniti; al momento dell’arresto, Shauntay Henderson -così si chiama- ha dichiarato agli stupiti poliziotti: “non posso uscire così, sono famosa.” La ventiquattrenne si preoccupava di apparire in forma davanti ai fotografi, che puntualmente la hanno circondata come una diva. Personaggi di questo tipo, lo sappiamo, ricevono migliaia di lettere in carcere, diventano punti di riferimento per non pochi, sono ammirati.
Le telecamere e l’apparire frugano nelle vite, entrano nelle chiese e filmano i funerali.
Kate invece, viveva appartata, confinata, nascosta, invisa come un’appestata, mentre il bel ragazzo è in passerella, fotografato, compreso, giustificato da un mondo che in lui riconosce se stesso.
Ma lui è uno dei tanti, e la sua colpa nemmeno così grave, se paragonato a Kate è un dilettante. Questo, però, conta assi poco, ciò che conta è che non sappiamo più riconoscere ciò che vale, o forse fingiamo, per comodità, di non saperlo.
I personaggi di Steinbeck si muovono tutti quanti, siano essi positivi o negativi dentro un orizzonte sacro e religioso. Sacra è la natura a volte aspra e ingrata, a volte feconda e generosa, sacri sono gli animali, i paesaggi, l’alba e i tramonti. Tutto evoca un oltre misterioso e i contorni della morale, pur nella complessità dei caratteri dei personaggi coinvolti nella vicenda, emergono chiari dal cuore della vita. Aleggia, nelle alterne vicende che vedono protagonisti uomini e donne, l’etica protestante del duro lavoro e la certezza che il bene esista. E’ questa una componente religiosa che appare assente dal nostro mondo, una realtà che rinunciando ad ogni morale ha fatto del singolo l’astuto protagonista di un gioco in cui i più abili a confondere le carte prevalgono, perché con maestria sanno sottrarsi alle regole mal sopportate dell’etica laica, etica convenzionale e perciò senza alcun fondamento. Per questo, oggi, anche chi si macchia di orrendi delitti cerca una giustificazione pur di farla franca e il rimorso scompare per far posto all’autoassoluzione.
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