Sulla realtà della pillola Ru486: in Trentino e oltre
Lo scorso 31 ottobre sono stati pubblicati sulla stampa locale gli ultimi dati relativi all’utilizzo della pillola abortiva Ru486: da gennaio 2006 a ottobre 2007 sono circa 300 gli aborti farmacologici praticati all’ospedale Santa Chiara di Trento. In merito, vorremmo far presente che il prof. Emilio Arisi, primario di ginecologia al Santa Chiara, non ha mai voluto rispondere alle domande poste a suo tempo dal Movimento per la Vita, circa la pericolosità della Ru486, le sue controindicazioni e le morti avvenute con tale metodo chimico, così come riportate dalla letteratura scientifica. Rinunciamo ad avere da lui queste risposte, non essendo egli obbligato a darcele; notiamo però che quando afferma che “questo uso è descritto in miliardi di letteratura”, ci farebbe piacere sapere di quale letteratura scientifica stia parlando. In riferimento poi al fatto che la percentuale di fallimento di questo aborto farmacologico è contenuta al di sotto del 5%, ovvero casi di donne che hanno bisogno di una revisione uterina per completare l’aborto, non viene detto con quali parametri di riferimento viene stabilita tale percentuale. Ovvero, ben 5 donne su 100 (anziché 1 su 100 dell’aborto chirurgico) hanno bisogno di ben due interventi per abortire! Per quanto riguarda le prospettive di salute della donna, per cui Arisi asserisce che “possono essere solo positive”, forse è anche il caso di affermare che la procedura di questo aborto chimico richiede almeno 15 giorni, il cui esito è incerto fino alla fine, che avviene in solitudine per le donne (è in sostanza, un piccolo “parto”), che costringe la donna a controllare continuamente il flusso emorragico e quindi a vedere nella maggioranza dei casi l’embrione abortito. Noi che non siamo scienziati, siamo stufi di riportare quello che la scienza afferma (i dati sono consultabili anche sul sito www.mpv.org). Dovrebbe essere invece chi sperimenta (sulle donne) questa pillola a dimostrarne l’effettiva validità per la loro salute. Risultano infatti innegabili le pesanti controindicazioni di tale farmaco. Lo stesso assessore provinciale alla salute Remo Andreolli e lo stesso primario prof. Arisi, poco tempo fa hanno ammesso che, come da studi americani, dopo l’utilizzo del Mifepristone (il principio attivo della Ru486) vi sono state “delle morti da Clostridium sordelli, la cui relazione con l’aborto medico non è comunque certa essendo il Clostridium un germe particolarmente diffuso”, affermando dunque che “la Ru486, come tutti gli altri farmaci, presenta il rischio di fenomeni collaterali indesiderati”. Ma allora, perché si continua ad usare la pillola abortiva che è basata sul Mifepristone? Se viene così oggi riconosciuta, diversamente che in passato, come invece era stato da noi più volte ribadito, “la possibilità di complicanze anche mortali dovute al Clostridium sordelli”, perché seguitare continuamente su questa strada? Per il dato relativo ai trecento aborti, poi, ci permettiamo di far presente che sono cifre drammatiche, ma allo stesso tempo ridicole per una sperimentazione, tant’è che i pericoli, i danni e le morti (in buona sostanza, l’efficacia di tale metodo) si possono valutare solamente con numeri ben più grandi (migliaia e migliaia di donne), così come succede, ed è successo in quest’ambito, in tutta la letteratura scientifica riportata. In ogni caso il 5% di 300 fa 15! Il che significa che, pur con numeri così piccoli, non 3 (cioè l’1%), ma ben 15 donne hanno dovuto subire anche l’intervento chirurgico! Ci domandiamo anche: di quante settimane erano queste donne? La letteratura infatti dice che più va avanti la gravidanza, più aumentano le complicazioni! In una sperimentazione francese dall’1 maggio 1988 al 30 settembre 1989 condotta su 16369 donne sottoposte ad aborto chimico (e non trecento), ne sono state valutate 15709 fra gli 11 (si: undici!) e i 48 anni. Lo studio riporta un’efficacia - definita come completa espulsione ovulare senza necessità di intervento chirurgico - nel 95,3% dei casi (mentre l’efficacia dell’aborto chirurgico è del 99%). A questo punto possiamo affermare che il motivo di tanta passione, qui da noi, è chiarissimo: l’obiettivo non è offrire alle donne una scelta in più, come molti sostengono. Se così fosse, dovremmo avere opuscoli informativi seri su tutte le alternative possibili e tutt’altro tipo di campagna informativa. A noi viene il sospetto (saremo forse malfidenti) che si tratti di un modo per alleggerire le strutture sanitarie. Una volta diffusa l’abitudine all’aborto fai-da-te, si potrà modificare la legge 194, come è successo in Francia, e come forse succederà in Gran Bretagna. Del resto, perché il sistema sanitario pubblico dovrebbe impegnare risorse per aiutare le donne che non vogliono un figlio? E mai che mai, poi, ci dovremmo aspettare che lo stato impegni risorse per aiutare le donne che il figlio lo vorrebbero tenere, ma hanno bisogno di un minimo di sostegno economico e morale! Valutiamo quali possono essere i pro e i contro che la letteratura scientifica dichiara nella sua ufficialità. Contro dell’aborto chirurgico: perdita di un bambino; anestesia; possibilità di non riuscita dell’aborto completo nell’1% dei casi. Pro: velocità (qualche ora); 99% di riuscita dell’intervento. Pro della Ru486: si evita l’anestesia. Contro: perdita di un bambino; durata totale dell’aborto fino a 15 giorni (fino all’avvenuta espulsione dell’embrione); “qualche” effetto collaterale, dal momento che gli stessi promotori della Ru486 non negano alcune complicazioni. Tali sono abbondanti e prolungate emorragie, svenimenti, aumento della pressione, nausea, vomito, dolori e crampi addominali, endometriosi, infezioni, aborto incompleto (fino al 20% dei casi di assunzione della pillola, è necessario ricorrere all’aborto chirurgico). Inoltre, l’assunzione della Ru486 mette a rischio la possibilità di gravidanze future. Cosa ben più preoccupante, poi, proprio andando anche a vedere gli altri paesi oltre all’Italia, sono i casi accertati di morte delle donne che hanno assunto la pillola, come, ad esempio, più volte pubblicato dalla Food and Drug Administration, l’ente di controllo sui farmaci degli USA, in merito a morti di donne statunitensi, o dal prof. Greene, direttore di ostetricia al Massachusetts General Hospital di Boston, in un editoriale pubblicato sulla rivista “New England Journal of Medicine” (1 Dec. 2005), una delle più prestigiose a livello mondiale, che dimostra che, a parità di età gestazionale, la mortalità della donna per aborto con Ru486 è 10 volte maggiore rispetto a quella con tecnica chirurgica. È la stessa Danco, industria americana produttrice della pillola, a pubblicare nel suo sito, per obbligo legale, oltre 600 casi di donne che lamentano fortemente gli effetti collaterali della pillola. Come da anni si è detto, la Exelgyn, l’azienda francese che produce la Ru486, il 7 novembre ha chiesto la registrazione del prodotto in Italia. Ci auguriamo che il compito dell’Aifa (l’Agenzia italiana del farmaco) non si limiti ad un burocratico passaggio di carte, ma ad un vero esame della documentazione scientifica e dei dati offerti dall’azienda. La Ru486 lascia la donna nella più completa solitudine per almeno 15 giorni, mentre il suo bambino muore e viene “partorito”; e lei stessa deve guardare e verificare che il piccolo sia davvero uscito da lei! Alcuni dei difensori della Ru486 la propongono come alternativa auspicabile al terribile dramma dell’aborto chirurgico. Tuttavia, anche l’aborto chimico farmacologico non è esente da drammi, ma anzi ne può presentare di più numerosi e, poi, se la reale preoccupazione fosse quella di evitare l’aborto chirurgico, ci si mobiliterebbe per eliminare alla radice le cause che spingono una donna a questo gesto. Anziché mettere in commercio tale pillola, non sarebbe più umano o solidaristico aiutare le donne in difficoltà con tutti i nostri mezzi a disposizione, da quelli economici a quelli psicologici, da quelli educativi a quelli spirituali? Sandro Bordignon, presidente del Movimento per la Vita - Trento Mauro Sarra, componente del direttivo del Movimento per la Vita - Trento
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