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E’ finita finalmente! E’ finita questa settimana di ordinaria follia che ha percorso l’Italia da Bergamo a Taranto ed i cui guru si sono ritrovati a Genova sabato 17 novembre, dopo essere passati in processione, e qualche volta glorificati, sui maggiori giornali nazionali e trasmissioni televisive tipo “Anno zero”. Il tam tam mediatico che si è succeduto a partire dalla tragica fine di Gabriele Sandri, il supporter della Lazio ucciso da un agente ad un autogrill mentre, al termine di una rissa, si stava allontanando in auto per proseguire il viaggio che lo avrebbe portato allo stadio di Milano, ha raggiunto livelli di desolazione che raramente si ricordano in questo nostro straordinario e disgraziato Paese. Così come desolanti sono stati i commenti alla manifestazione genovese che aveva come scopo principale protestare contro la Commissione Affari Costituzionali del Senato che non ha convalidato la richiesta di una commissione parlamentare sui comportamenti della polizia durante il G8 del 2001. Le reazione di una parte del mondo politico, poi, ha fatto il resto, offrendo ai cittadini un quadro dei suoi membri ancora più disarmante di quanto non fosse già precedentemente ai fatti, drammatici, che si sono susseguiti nei giorni scorsi. C’è davvero qualcosa di paranoico in questo Paese: due gruppi di giovani si incontrano, per caso, in un autogrill; il viaggio è lungo, fanno una pausa. Normale, anzi lodevole, te lo dicono anche i cartelli ai lati dell’autostrada “Stanco? Non rischiare! Fermati al prossimo autogrill.” Solo che da due automobili scendono dei ragazzi che santificano la domenica andando in pellegrinaggio al santuario della propria squadra e di questa portano al collo, talvolta anche tatuato sulla pelle, i segni distintivi: sciarpe colorate esibite come amuleti, per i quali si può dare la vita. I colori delle sciarpe, però, questa volta sono diversi: appartengono ad un’altra religione. Non c’è dialogo, non esiste ecumenismo fra supporters di squadre “nemiche”; comincia la zuffa, che, sembra, degenera in rissa vera e propria. Dall’altra parte dell’autostrada ci sono altri due ragazzi. Questi la divisa ce l’hanno sul serio. Quella domenica la santificano facendo il loro dovere, lavorando, pattugliando quel tratto di asfalto anonimo che segnerà per sempre l’esistenza di uno di loro; chissà cosa aveva intenzione di fare l’agente Spaccarotella, chissà cosa gli passa per la testa. Spara. Uccide. Un ragazzo dall’altra parte del guard rail muore. Inizia una settimana di ordinaria follia. Quasi simultaneamente in tutta Italia scoppiano tumulti, episodi di violenza che sfociano in atti di vera e propria guerriglia urbana. Addirittura a Roma si assalta un commissariato di polizia senza che nessuno intervenga a difenderlo; si scoprirà in seguito che l’ordine di non intervenire in alcun modo è stato dato dal Ministro degli Interni Giuliano Amato. Francesco Cossiga, che nella sua lunga carriera politica è stato anche Ministro dell’Interno, epoca in cui fu ribattezzato “Kossiga”, ha dichiarato in un’intervista al quotidiano “Libero”: «Se (all’epoca, ndr) gli autonomi avessero assaltato una caserma, c'era il mio ordine scritto di rispondere al fuoco con il fuoco: non si sarebbero mai sognati di farlo perché noi avremmo risposto con le armi. Il fatto è – puntualizza l'ex presidente della Repubblica - che tra chi assalta le caserme della Polizia e dei Carabinieri ci sono non pochi elettori della maggioranza di centrosinistra». Le notizie rimbalzano, le responsabilità sugli scontri vengono palleggiate fra Ministero degli Interni ed i superiori dell’agente Spaccarotella, il quale è lasciato solo proprio da chi avrebbe dovuto tutelarlo, almeno fino al termine di un regolare processo. I pochi delinquenti fermati sono già a piede libero, salutati dai loro clan come degli eroi. Siamo al far west. E’ già pronta una corda, anzi una sciarpa, per appendere il disgraziato agente.
Anche il funerale del povero Gabriele Sandri non è sfuggito a questo clima di isteria folle. Nel momento del dolore, un dolore straziante come la perdita di un figlio, di un fratello, la cerimonia funebre, il momento estremo in cui si accompagna un nostro caro alla sua ultima dimora, si è svolta in un clima da stadio, peggio: un’atmosfera quasi da cerimonia pagana, dove, al posto della croce sventolavano le sciarpe con i colori sociali dei clubs tenute in alto, simbolo di appartenenza al clan, alla tribù. Poi il rito di coprire con i colori delle squadre di calcio la bara, come un tempo si riservava agli eroi caduti in battaglia con l’alloro. Più che un viaggio verso il Signore sembrava un scena da opera wagneriana, una cavalcata con le Walchirie verso il Walhalla, nel paradiso degli eroi del dio Pallone. Poi i canti. Non quelli sacri, non si parla di resurrezione, non si invocano i santi: al loro posto fuori dalla chiesa l’inno della Lazio, la squadra del cuore di Gabriele. I mass media fanno il resto: come una maionese impazzita mischiano la morte del tifoso laziale ad opera di un poliziotto con la morte dell’agente Raciti a Catania e di Carlo Giuliani, il ragazzo ucciso dal carabiniere Placanica nel corso degli scontri di Genova del 2001. Molti giornalisti e uomini politici, soprattutto a sinistra, hanno iniziato un lavoro di sciacallaggio mediatico che merita la nostra deplorazione: in poche ore i principali gruppi ultras coinvolti negli incidenti di piazza, vengono dipinti come covi di terroristi di estrema destra da estirpare subito con decisione. Poche ore dopo, quando si scopre che gli ultras di quasi tutte le squadre si erano dati appuntamento in vari luoghi delle principali città italiane per compiere atti di guerriglia urbana vera e propria, gruppi politicamente vicini alla sinistra e all’estrema sinistra compresi, allora il discorso cambia, come cambia l’obiettivo della maggior parte degli opinion makers nostrani. Finisce per magia la richiesta di fermezza. Si torna a mettere nel mirino la polizia. Tanto è vero che anche esponenti di spicco del mondo no global, Casarini in testa, si stracciano le vesti e incominciano a cavalcare la protesta verso le forze dell’ordine come non si ricordava dal tragico G8 di Genova. Per l’agente nessuna pietà, nessuna attenuante: il processo non è ancora incominciato, la magistratura non ha certamente terminato il proprio lavoro, ma la sentenza è già stata emessa: omicidio volontario. Portatelo dentro e gettate la chiave. Senza diritto di replica, neppure un sussulto di cristiana pietà. Questa volta i paladini alla “nessuno tocchi Caino” sono rimasti muti, forse in letargo vista la stagione. Li ricordate, al contrario, gli stessi politici e gli stessi mass mediologi quando a morire per mano di un teppista a Catania fu l’agente Raciti? Stuoli di buonisti e sociologi impegnati a cercare di capire il degrado del territorio che ha generato quell’episodio, cercando di spiegare il malessere dei giovani, la mancanza di valori degli adolescenti che avevano commesso quel barbaro assassinio al termine di una partita di pallone. Pippo Baudo che come Salomone dispensava saggezza e tutti lì ad ascoltarlo. All’epoca avevano persino paura a pronunciare la parola “assassino”. Tutti ad intervistare il padre del maggior sospettato cercando di convincerci che l’ambiente, la società degradata meridionale, i Borboni magari, erano i veri colpevoli, non il povero ragazzino che si scagliò contro Raciti. Poi il silenzio. Di tomba. Credo che un minimo di cautela, un pizzico di buon senso potrebbe aiutare a valutare meglio le cose pur senza negare la drammaticità e la complessità dei fatti. Vi è in Italia un sottobosco strisciante che ormai può agire impunemente alla luce del sole, ogni domenica prima, durante e dopo un incontro di calcio; accanto a questi vi sono poi gruppi di no global per i quali non esistono leggi, regolamenti del buon vivere civile; giovani, ma spesso non giovanissimi, tenuti prudenzialmente ai margini, ma utilizzati all’occorrenza per destabilizzare, carne da macello da sacrificare all’altare di una certa politica, legalitaria o movimentista a seconda della convenienza. Sabato 17 novembre, a Genova, queste realtà si sono ritrovate. I partecipanti sono stati meno del previsto, a dire la verità. Non è successo alcun incidente di rilievo, e non possiamo che rallegrarcene; ma insieme a queste realtà spesso al limite della legalità, hanno marciato esponenti politici che rappresentano e sostengono l’attuale maggioranza di governo. E gli slogan contro le forze dell’ordine sono stati ben udibili: “non giustizia, ma vendetta”, “chiesa e polizia, giustizia e vendetta”, “la giustizia non è nei tribunali. Vogliamo la vendetta per Carlo Giuliani”. Vendetta! Tremenda vendetta! A quando l’istituzione di un tribunale del popolo? Presidente Napolitano, Ministro Amato date un segno della vostra presenza alla maggior parte degli italiani che apparentemente invano chiedono legalità, giustizia per tutti in un clima di pacifica convivenza. Se Placanica e Spaccarotella hanno sbagliato sconteranno la loro pena, ma evitiamo di associarci a chi vuole creare attorno alle figure dei ragazzi morti un alone di eroicità metropolitana. A loro vada la nostra preghiera, ma senza dipingerli con in mano la palma del martirio e tenendoli ben lontano da ogni strumentalizzazione politica.