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Richard Dawkins: l'ateismo non consegue necessariamente all'evoluzionismo. II puntata
Di Francesco Agnoli - 12/11/2007 - Scienza - 1371 visite - 0 commenti

Il secondo inganno metodologico di Dawkins, il più furbescamente perseguito, è quello di voler presentare il darwinismo come la soluzione di ogni interrogativo sull'esistenza del creato, dell'ordine, dell'armonia e della bellezza della natura.

Anzitutto Dawkins tenta di proporre come un dogma che l'ateismo consegua necessariamente, storicamente e logicamente al darwinismo. Se il darwinismo è vero, ci dice più volte, Dio non esiste, di Lui non c'è necessità, tutto è spiegabile altrimenti. In realtà una simile affermazione è solamente sua! Infatti ogni evoluzione, la più casuale possibile, esige qualcosa che evolva, e quindi non si autofonda e non si autogiustifica: prima di poter evolvere, qualcosa deve esistere. Dawkins sa benissimo, con i suoi ragionamenti, di andare al di là del pensiero evoluzionista, e ammette che il famoso "mastino di Darwin", e suo grande amico, Thomas Huxley, è colui che ha introdotto il termine "agnostico", proprio per mettere in chiaro che le sue credenze in campo biologico non portavano necessariamente ad una posizione filosofica, né teista né atea.

Sappiamo anche che Darwin stesso, dopo aver citato il "Creatore", nel suo L'Origine delle specie", utilizzò proprio il termine "agnostico" per definire anche se stesso. E conosciamo bene dalla storia e da innumerevoli testimonianze che la crisi di fede di Darwin fu dovuta soprattutto alla morte di sua figlia Anna, in tenera età, un evento che lo sconvolse e che lo portò spesso a ragionamenti pessimistici di tipo gnostico. Ciononostante Darwin stesso non arrivò mai a teorizzare, a sostenere da naturalista l'esistenza o l'inesistenza di Dio. Anzi, nel 1879, mentre lavorava alla sua "Autobiografia", ebbe a scrivere: "Il mio giudizio è spesso fluttuante... e persino nelle mie fluttuazioni più estreme non sono mai stato ateo nel senso di negare Dio. Credo che in generale, ma non sempre, la mia posizione possa essere descritta più appropriatamente con il termine agnostico".

Inoltre Dawkins dovrebbe sapere che un evoluzionista un po' più famoso di lui, il naturalista Alfred Russel Wallace, colui che propose, come scrive il suo amico Darwin, "esattamente la mia teoria" (Autobiografia), negli stessi anni, e identificò nella selezione naturale la causa dell'evoluzione, non si rassegnò mai all'idea che l'uomo fosse una semplice evoluzione della bestia, ed affermò sempre, al contrario, l'alterità tra l'uomo e l'animale, in nome della superiorità dello spirito sulla materia. In un'epoca di sempre maggior ateismo, Wallace, che dall'ateismo materialista proveniva, definendosi un "perfetto scettico filosofico", giunse persino a pratiche spiritistiche (insieme a madame Curie, Conan Doyle, Lombroso ecc....) pur di toccare "sperimentalmente" l'esistenza di una dimensione soprannaturale che gli pareva indispensabile. Wallace, come ricorda Giacomo Scarpelli nel suo "Il cranio di cristallo" (Bollati Boringhieri), "ipotizzava che la nostra specie si fosse sviluppata sotto il controllo di un ente trascendente, di natura divina". Scriveva infatti: "Un'intelligenza superiore ha guidato lo sviluppo dell'uomo in una direzione definita e per uno scopo speciale, proprio come l'uomo guida lo sviluppo di molte forme animali e vegetali".

Così la penseranno anche altri scienziati favorevoli ad un' evoluzione finalizzata, e quindi aperta all'anima immortale e a Dio, talora veri e proprio pionieri e apostoli dell'evoluzionismo, come gli amici di Darwin e Wallace, il geologo Charles Lyell, che aveva per molti aspetti preparato il terreno alla teoria della selezione naturale di Darwin, e l'astronomo J. Herschel, per il quale "mente, piano e disegno provvidenziali escludevano qualsiasi accidentale concausa di atomi" (Scarpelli); il botanico George Henslow e il biologo St. George Mivart, ex allievo di Huxley e sostenitore di Wallace; l'italiano Filippo De Filippi, uno dei primi a portare "L'origine della specie" nel nostro paese, e Robert Chambers, "antesignano dell'evoluzionismo inglese", il quale sottolineava che in noi "esistono qualità psichiche esclusive e astratte, come la ragione, la speranza e soprattutto la disposizione ad adorare un ente supremo"; più avanti nel tempo il biologo italiano Daniele Rosa, il celebre scienziato francese Lecomte de Nouy, il biologo statunitense Edmund W. Sinnott, il gesuita Vittorio Marcozzi e tantissimi altri.

 Su Wallace si potrebbero dire infinite cose, che non si capisce come mai vengano sempre taciute, pur comparendo il suo nome in tutti i manuali di biologia accanto a quello di Darwin. Ho qui di fronte a me, per esempio, "I miracoli ed il moderno spiritismo" (Società editrice Partenopea), un suo testo in cui parlando della selezione naturale, da lui teorizzata, è bene ribadirlo, in accordo e in contemporanea a Darwin, scrive che però "non ivi è la causa onnipotente, assolutamente bastevole, unica, dello sviluppo delle forme organiche". Esiste poi un altro suo scritto, "Il darwinismo applicato all'uomo", in cui Wallace nega che si siano sviluppate per selezione naturale la natura morale e intellettuale dell'uomo, e le sue facoltà matematiche, musicali ed artistiche, che insieme alla capacità filosofica, di astrazione e alla possibilità di "concepire l'eterno e l'infinito", "non possono essersi generate dalla mera selezione biologica, la quale può puntare solo sull'immediato benessere dell'individuo e della specie" (Scarpelli, p.50). Affermava inoltre la sua "fiducia che l'immane labirinto dell'essere, che vediamo estendersi ovunque intorno a noi, non sia senza un piano"; e ancora: "la teoria darwiniana ancorchè spinta alla sua estrema conclusione logica, nonchè opporsi ci offre un valido appoggio alla credenza nella natura spirituale dell'uomo".

 
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