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Dopo le parole del papa sulla sindrome post aborto, è opportuno ripubblicare un vecchio articolo sul tema
Torino. Valentina, nome dai giornali, tredicenne, viene ‘costretta’ ad abortire. Così la stampa comincia a riverberare nel circuito massmediatico questa situazione.
Poi le altre notizie si accavallano e si confondono. Nel momento in cui scrivo si sa che è figlia adottiva di genitori che si sono poi separati, che ci sono stati interventi degli assistenti sociali e del giudice tutelare per l’aborto. Che il padre del bimbo ha 15 anni e che Valentina sta male. E’ stata ricoverata in psichiatria, poiché ha reagito con un dolore acuto, un vero e proprio scompenso, che ha queste parole: ‘voi mi avete fatta uccidere mio figlio, adesso a me non rimane che uccidere me stessa’. Parole terribili che scuotono dentro, perché dette da una bimba. Se ci fermiamo però a riflettere anche su tutti i commenti fin ad ora fatti non ho letto niente in merito al punto vero della questione: cioè che tutto questo parte da un bimbo concepito che non c’è più, che è stato ucciso sotto l’egida di una legge che lo permette per ‘libera scelta’ e anche su questo avrei qualcosa da ridire, ma anche se lo vuoi tenere e sei troppo piccola per decidere di te.
Chi come me tratta la sindrome post aborto e quella post fecondazione sa che questo dolore è profondo, è una ferita inferta al corpo e al cuore della madre, che ha riverberi spaventosi all’interno della donna ed anche a livello familiare e della stessa società. Non lo dicono i dottrinari senza cuore che difendono la vita dal concepimento alla morte naturale, non lo dicono i cattolici invasati che hanno fatto le battaglie sull’aborto.
Lo dice la scienza, lo dice l’esperienza clinica; un esempio: secondo l' Elliot institute for social sciences research : il 90% di queste donne soffre di danni psichici nella stima di sé; il 50% inizia o aumenta il consumo di bevande alcoliche e/o quello di droga; il 60% è soggetto a idee di suicidio; il 28% ammette di aver persino provato fisicamente a suicidarsi; il 20% soffre gravemente di sintomi del tipo stress post-traumatico; il 50% soffre dello stesso in modo meno grave; il 52% soffre di risentimento e persino di odio verso quelle persone che le hanno spinte a compiere l'aborto.
L’aborto, insieme alla fecondazione artificiale, sono le uniche azioni che io conosca che uccidono più del 100%. Oltre 400 lavori scientifici prodotti dal 1995 ad oggi a livello mondiale si definiscono tre quadri gnoseologici:
1. La psicosi post-aborto, che insorge subito dopo l'aborto, può perdurare per oltre sei mesi ed è un disturbo di natura prevalentemente psichiatrica;
2. Lo stress post-aborto, insorge tra i tre e i sei mesi e rappresenta il disturbo più lieve sinora osservato;
3. La sindrome post-abortiva: un insieme di disturbi che possono insorgere subito dopo l'interruzione come dopo svariati anni in quanto possono rimanere a lungo latenti e nella mia esperienza clinica anche dopo 23 anni. Il rischio aumenta a scadenza dei termini legali, in età adolescenziale (e qui bisognerebbe fare una sana riflessione su ciò che significa dare il Norlevo alle adolescenti), in età pre-climaterica quando si fa un bilancio della propria attività sessuale e del poco tempo riproduttivo rimasto, dopo un lutto, dopo un'infertilità precedente (pensate alle mamme della fecondazione artificiale), al termine di una relazione affettiva, legata ad ambivalenza decisionale (pensate a quanto questo bimbo diventa sempre più importante se c'era o non c'era fino a diventare persecutorio nel dilemma della Norlevo), in condizione di isolamento affettivo. Bisogna anche dire che la sindrome post-abortiva non concerne esclusivamente la mamma che ha abortito. Si perché è facile dire anche a livello comune che l’aborto è un dramma, che è un trauma, ma il motivo non lo si dice mai: è così perché ci scappa il morto ammazzato, il bimbo che non ha chiesto di venire al mondo al quale non è data la possibilità di venire alla luce. Ma se non posso chiedere questa consapevolezza a una tredicenne, che peraltro sembra avesse, e come la posso chiedere agli adulti, la posso chiedere agli operatori sociali, la voglio chiedere a quei medici ed infermieri che in sala operatoria sanno quello che fanno e chi, non che cosa, uccidono.
La consapevolezza la voglio chiedere in particolare a loro che portano il camice bianco e come dentro una divisa vi si nascondono, e usano strumenti sterili nelle sale operatorie. Non c’è strumento sterile che tenga al dolore inferto da quella mano armata, anche se sotto anestesia! ... ma il bambino non è sotto anestesia e soffre terribilmente, come dimostra il filmato ‘Il grido silenzioso e come sostengono studiosi italiani ed americani. E allora basta nascondersi dietro al fatto che è un servizio fatto alla donna, in nome della legalità o della libertà di scelta? Si può avere da dire sulle leggi delle tasse, perché ingiuste e quelle che toccano la vita indifesa devono essere osannate anche se intrinsecamente gravemente ingiuste? Non voglio minimamente giudicare le donne che abortiscono, non sta a me il giudizio sulla persona, so quante volte sono costrette, anche se non così platealmente come Valentina, ma per solitudine, motivi economici e familiari, ma non posso non giudicare i fatti e li abbiamo sotto gli occhi. So però che sono stanca di raccogliere i cocci a valle, vorrei che una cultura per la vita nascente fosse la normalità, perché non ci sarà mai pace, non finirà mai la violenza se una donna può uccidere il suo piccolo bimbo in grembo.
E risuonano in me le parole di Romano Guardini del lontano 1949 (Il diritto alla vita prima della nascita. Ed Morcelliana 2005 pagg 37-38): “Come esiste una logica della scienza, esiste pure una LOGICA DELLA VITA. La prima è evidente, quando dice per esempio che una pietra attirata dalla forza di gravità al centro della terra non può muoversi verso l’alto. L’altra è più difficile da capire, ma altrettanto inesorabile come la prima: dichiara che azioni eticamente sbagliate, anche se appaiono utili, alla fine conducono alla rovina. Mentire può recare vantaggio una, dieci, cento volte; alla fine stronca ciò su cui poggia la vita: nella propria interiorità il rispetto di se stessi, nel rapporto con gli altri la fiducia; è un danno senza rimedio. Questa conseguenza è inesorabile al pari della legge di gravità.
Una tale logica funziona pure nel caso nostro. Nell’uomo c’è qualcosa che, per sua stessa essenza, non può venire violato: L’ELEVATEZZA DELLA PERSONA VIVENTE. Possono addursi importanti ragioni per fare questo, e tali ragioni possono anzi divenire così urgenti che chi vi resista può sembrare un dottrinario senza cuore. Eppure, cedere qui è la distruzione finale-la distruzione precisamente di ciò che dovrebbe venire salvato. Ci si appella al diritto di intervento in nome della libertà e della possibilità per la vita di svolgersi: dal bilancio finale risulterà che la vita è in balia dell’egoismo del singolo e degli scopi dello Stato. E sarebbe veramente tempo che imparassimo a vedere quali siano le conseguenze. Abbiamo pur sperimentato che cosa vuol dire accondiscendere prima a una cosa, poi ad un’altra e poi ad una terza, asserendo ogni volta che non si poteva fare diversamente, cercando ogni volta di persuadere se stessi che il peggio non sarebbe venuto- finchè il peggio ce lo trovammo davanti… Ogni violazione della persona, specialmente quando s’effettua sotto l’egida della legge, prepara lo Stato totalitario. Rifiutare questo e approvare quella non denota chiarezza di pensiero né coscienza morale vigile”. Dott.ssa Cinzia Baccaglini Presidente del Movimento per la Vita di Ravenna