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Riprendiamo il dibattito in corso intorno alla proposta del Ministro Fioroni di reintrodurre gli esami di riparazione nella scuola superiore, anche alla luce delle manifestazioni di protesta che gli studenti hanno inscenato in tutta Italia, a dir il vero con esiti poco lusinghieri per non dire controproducenti, data la totale disorganizzazione mostrata e la quasi assoluta mancanza di proposte alternative avanzate o di ipotesi di confronto costruttivo. Non mi voglio soffermare sul riscontro che le varie manifestazioni studentesche hanno ottenuto sui mezzi di informazione, certo non possiamo neppure mettere la testa sotto la sabbia e far finta di non avere visto e sentito centinaia di ragazzi e ragazze, anche giovanissimi, scandire per ore un unico slogan, “Fioroni, Fioroni vaffa….”, e trascorrere la mattinata a bere dopo aver fatto scorta di alcolici nei supermercati. A Trento, di fronte alla residenza dell’Arcivescovo sono stato testimone di un episodio che da solo meriterebbe un’analisi di qualche educatore o almeno di un sociologo: quattro, cinque ragazzine ubriache fradice, bottiglia in mano che urlavano bestemmie all’indirizzo dell’Arcivescovo. Senza motivo, gratuitamente, abbruttite, senza comprendere la gravità del gesto e il vuoto culturale ed esistenziale in cui sono sprofondate. Dell’intervento dei no global, provocatori per antonomasia, il cui leader trentino si è distinto per aver spento un sigaro in faccia ad un ragazzo reo, a suo dire, di averlo provocato (sic!) si è già dibattuto anche sulle pagine del nostro sito. Ma se questa è una fetta importante della nostra gioventù, di quella che dovrebbe essere un domani, sempre più lontano, la classe dirigente del nostro Paese, allora il problema principale che come operatori della scuola ci dovremmo porre, a partire dal Ministro Fioroni, ruota intorno al problema dell’educazione di un popolo; la logica usata invece dal Ministro è quella di proporre una severità tout court verso gli studenti senza andare ad incidere sul ruolo educativo e formativo che la scuola italiana sembra aver smarrito da tempo. Di questo avevamo già argomentato su questo blog nell’articolo “Esami di riparazione: tra severità e indulto”, in “Scuola educazione”. A supporto di questa tesi e come ulteriore momento di dibattito e confronto, mi permetto qui di seguito di proporre la lettura di un articolo di Giovanni Cominelli apparso sul settimanale “Tempi” del 18 ottobre 2007 dal titolo: “Il ritorno alla disciplina non sarebbe così fischiato se solo la scuola fosse più severa anche con se stessa”.
Arriva l’autunno, gli studenti scendono in piazza. E’ così da qualche decennio, dal ‘68 in avanti. Sociologi, pedagogisti, giornalisti e politici accorrono sui marciapiedi per decifrare gli slogan, individuare i trend e arruolare i manifestanti pro o contro il governo di turno. Ogni anno l’innesco della miccia è diverso. Quest’anno è il decreto di Fioroni sui debiti formativi, presentato come una tappa del ritorno alla severità e alla serietà. Gli studenti scesi per le strade sono contrari. Ma sotto il “no” si leggono in filigrana motivazioni diverse. Alcuni portano in piazza la convinzione che lo studio è un diritto non accompagnato dal dovere. La scuola è vissuta come un ambito di socializzazione, di adolescenza lunga, di parcheggio, di rinvio delle responsabilità. Sono contrari a ogni verifica personale, a ogni certificazione effettiva. Hanno assorbito la mentalità adulta diffusa nel paese: tirare a campare e portare a casa un titolo di studio, dotato del pieno valore legale e del massimo disvalore reale. Tanto, alla fine, chi ha i soldi o è furbo se la cava sempre. Il fatto strano è che si credono di sinistra. Altri invece portano in piazza, ancorché confusamente, la coscienza d’essere l’ultima ruota del carro. La scuola rivendica un ritorna alla serietà e alla severità. Ma i ragazzi sperimentano quotidianamente che molti loro insegnanti (circa il 40 per cento secondo una ricerca Iard) sono impreparati. Perché la scuola non incomincia a essere serie e severa nell’offerta educativa? Una scuola severa con se stessa tutto l’anno dispone della legittimazione per chiedere serietà ai propri alunni, anche agli esami, una scuola in cui l’insegnante bravo è premiato e quello incapace è penalizzato può chiedere molto ai propri ragazzi. Una scuola capace di accompagnare ciascun ragazzo personalmente può anche chiedergli di fermarsi un anno o di frequentare qualche corso supplementare. Una scuola in cui le discipline siano molte meno e in cui ci sia una gerarchia di importanza tra di esse può decidere quali siano i debiti insolvibili e quelli che si possono realisticamente recuperare. Una scuola capace di dire la verità a se stessa è accettata se dice la verità nuda e cruda ai ragazzi, mediante una certificazione rigorosa e senza sconti. Qui invece capiscono confusamente di essere solo i cirenei. Una scuola irreformata da decenni può chiedere una riforma della mentalità lassista e irresponsabile dei nostri figli?