Iraq, guerra privatizzata (ovvero l'incubo kafkiano dei mercenari americani)
Trasformata in crociata, l'esportazione della democrazia - attività nella quale gli Stati Uniti si sono impegnati per gran parte del Ventesimo secolo senza sbandierare troppi manifesti ideologici - si è trasformata negli anni della presidenza Bush in un naufragio politico e diplomatico. Ora la «privatizzazione» della guerra in Iraq, con la tendenza sempre più ostinata dell'attuale amministrazione a cedere in outsourcing a centinaia di imprese appaltatrici anche le attività più delicate nel campo della sicurezza, rischia non solo di far esplodere la rabbia degli iracheni, ma anche di alterare la percezione dell'economia di mercato in buona parte del mondo non industrializzato.Con l'esercito dei contrattisti privati (oltre 180 mila) che ha ormai superato il numero dei soldati Usa in Iraq e con l'opinione pubblica scossa dal susseguirsi dei massacri di civili abbattuti dai mercenari al primo stop non rispettato, giornali e Congresso americano scoprono una nuova emergenza. C'è chi fa audaci parallelismi tra l'Iraq invaso dagli appaltatori e il peso avuto - duemila anni fa - dall'esercito mercenario nel declino dell'impero romano, e chi cerca capri espiatori. Erik Prince, fondatore e capo di Blackwater, è divenuto rapidamente la faccia da sbattere in prima pagina. E' lui, miliardario ed ex Navy Seal (le «teste di cuoio» della Marina), che ha creato il «mostro»: poteva continuare a produrre ricambi per auto come faceva il padre, e invece ha preferito vendere l'azienda e creare una nuova impresa specializzata nel garantire la sicurezza di uomini e istallazioni in un ambiente ostile.Reclutati molti compagni d'arme di Prince, ex «berretti verdi» e reduci della Delta Force, Blackwater è diventata - non solo per gli iracheni, ma anche per i soldati americani impegnati nel Golfo - sinonimo di arroganza e irresponsabilità: le 850 guardie private della società dislocate in Iraq hanno fin qui sostenuto 200 scontri a fuoco e, quattro volte su cinque, sono state loro a sparare per prime. Il «grilletto facile» di quelli che gli iracheni hanno soprannominato i «gorilla biondi » ha fatto decine di vittime civili innocenti. La totale impunibilità di questi uomini - non rispondono alle leggi irachene né ai tribunali militari Usa - li ha resi arroganti fino al punto di arrivare a minacciare e a disarmare gli stessi soldati americani che cercavano di far rispettare l'ordine anche a loro. Quando, dieci mesi fa, un mercenario di Blackwater uccise senza motivo una guardia del corpo del vicepresidente dell'Iraq, l'unica punizione fu il licenziamento.Dopo le nuove stragi di civili delle settimane scorse, il Congresso di Washington è corso ai ripari varando una nuova legge che revoca il regime di impunità di cui godono queste guardie private. Peraltro un primo, parziale, intervento in questo senso era stato già votato un anno fa, ma la norma, di fatto, non è mai stata applicata.Il problema di fondo, insomma, non è l'arroganza dei mercenari, ma il modo scriteriato e ottusamente ideologico con cui gli uomini di Bush hanno trasformato una sana abitudine dell'amministrazione americana - affidare a soggetti esterni tutti i servizi, compresi quelli di interesse pubblico, che possono essere prodotti meglio e a costi più bassi dai privati - in un incubo kafkiano. Un principio - quello della sussidiarietà - che da noi ha cominciato a suscitare interesse solo di recente e che negli Usa viene invece applicato da decenni con profitto, rischia di essere stravolto dall'incapacità di questa amministrazione di esercitare controlli adeguati sulle attività cedute in outsourcing e di capire che alcune delle funzioni pubbliche più delicate (dallo spionaggio all'interrogatorio dei prigionieri) non possono essere «privatizzate».Il caso Blackwater dimostra l'assenza di controlli da parte dell'amministrazione statunitense massimo.gaggi@rcsnewyork.com
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Opinioni - data: 2007-10-12 num: - pag: 54autore: di MASSIMO GAGGI categoria: REDAZIONALE
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