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Il ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni ha annunciato che intende ripristinare gli esami di riparazione, cancellati dall’allora ministro D’Onofrio nel 1995. La decisione, naturalmente, ha aperto la porta a discussioni infinite fra favorevoli e contrari, in una classica disfida fra guelfi e ghibellini che certamente si protrarrà anche nei prossimi mesi. Procediamo per ordine e cerchiamo di analizzare la questione partendo da alcuni dati statistici. Gli esami di riparazione sono stati aboliti nelle scuole elementari e medie nel 1977 e nelle scuole secondarie superiori con la legge 352 dell'8 agosto 1995. Al loro posto furono introdotti i cosiddetti debiti formativi, che l’alunno avrebbe dovuto saldare durante l’anno scolastico seguente, ma che, anche in caso di perdurante insufficienza in una o più discipline, non pregiudicava (e non pregiudica fino ad oggi) in alcun modo la frequenza all’anno successivo. Pur lodevole nelle intenzioni, l’introduzione del sistema di recupero tramite “saldo del debito”, ha portato ad una situazione per certi versi paradossale: secondo dati ufficiali del Ministero, negli ultimi anni, in media, 42 alunni su 100 sono stati ammessi alla classe successiva pur in presenza di almeno un debito formativo. Il dato però più significativo è che di questo 42% di studenti, ben il 75 % passa alla classe successiva senza aver mai recuperato il proprio debito, in altre parole, senza aver colmato quelle lacune per cui il consiglio di classe aveva segnalato l’insufficienza; solo uno su quattro, quindi, si è sforzato di recuperare le lacune precedentemente accumulate. Si è giunti al paradosso per cui, fino ad oggi, era possibile che gli studenti con un profitto non sufficiente in una o più discipline, completassero il loro percorso scolastico per intero senza mai colmare queste insufficienze.
E qui interviene il Ministro Fioroni, il quale annuncia che è arrivato il momento di portare “serietà” nel mondo della scuola. Nessuna persona di buon senso potrebbe dargli torto, al solo annuncio di maggiore severità nella valutazione si sono scatenati plausi bipartisan da parte dell’opinione pubblica, mentre, come qualcuno di voi avrà certamente notato, nel mondo della scuola, non sono poche le voci critiche, quando non contrarie del tutto. Cerchiamo di capire perché o, almeno, proviamo a comprendere la perplessità di chi, fra cui il sottoscritto, dubita dell’efficacia del provvedimento introdotto in questi termini, senza una visione strategica dell’intero mondo della scuola superiore. La storia recente, ahimè, non ci aiuta ad essere ottimisti; già lo scorso anno, ricorderete, fu varata la riforma dell’esame di maturità (lasciatemelo chiamare così) che prevedeva la reintroduzione della figura del commissario esterno: i dati finali relativi ai respinti all'esame di maturità 2007 evidenziano un raddoppio rispetto all'edizione dello scorso anno, passando da 3,3% al 6,6%. Anche qui, a prima vista, nulla da eccepire, verrebbe da dire che qualche somaro ha raccolto quanto seminato nel corso del quinquennio. Le cose non stanno purtroppo così: a parte la decisione presa ad anno scolastico iniziato che ha posto non pochi problemi organizzativi e metodologici alle varie scuole, come se un arbitro di una partita decidesse di cambiare le regole del gioco fra il primo e il secondo tempo, il fulcro della questione è che si è voluto iniziare una riforma della scuola superiore, l’ennesima, partendo dalla fine, ma lasciando inalterate tutte le altre componenti che hanno portato in molti casi al degrado della scuola. Il concetto emerso lo scorso luglio di “più bocciati uguale più serietà” non è veritiero. Non si attende l’esame finale per decidere se uno studente è in grado o meno di affrontare un percorso formativo universitario o pronto per accedere al mondo del lavoro. L’esame dovrebbe semplicemente certificare le competenze raggiunte dallo studente nel corso del quinquennio di studi, non una prova che talvolta sembra isolata dal contesto precedente, un concorso a quiz avulso dal curriculum di studi effettivamente svolto. Anche nella scorsa maturità sono stati presentati testi di matematica e di italiano, completamente staccati dal reale programma svolto dagli studenti, tracce impossibili da svolgere in quanto mai affrontati in classe o addirittura non previsti da alcuni curriculum di studi.
Così come per gli esami di riparazione, si tenta di introdurre criteri di severità, ma senza andare a modificare le cause che portano in molti casi all’insuccesso formativo degli studenti. Non si dice nulla, ad esempio, di come prevenire gli insuccessi scolastici durante il corso dell’anno scolastico; si parla di organizzare, nel corso di ogni anno scolastico, subito dopo gli scrutini intermedi, corsi di recupero per gli studenti che abbiano qualche insufficienza. I famigerati corsi di recupero sono già previsti dalla normativa in corso e i risultati di tali recuperi sono davvero sconfortanti. Il Ministro non dice nulla riguardo la motivazione allo studio, all’aiuto concreto che si dovrebbe dare allo studente di poter scegliere l’indirizzo di studi più consono alla proprie inclinazioni ed ai propri interessi. Ma qui è stata abolita prima di nascere la figura del tutor, proposta dal Ministro Moratti, che avrebbe certamente contribuito ad accompagnare il ragazzo nelle sue scelte e nel suo percorso formativo e, nelle intenzioni, avrebbe potuto anche prevenire qualche insuccesso scolastico. Ho l’impressione che anche l’introduzione dell’esame di riparazione voglia nascondere problematiche più profonde. Si interviene solo in fase “punitiva” intorno allo studente, fase che certamente non deve mancare, ma senza mettergli a disposizione quegli strumenti che gli possano permettere di superare con successo le difficoltà che lo studio comporta. La priorità, a mio avviso, dovrebbe concentrarsi sulla figura del docente, in gran parte fautore del successo o del fallimento scolastico dei nostri ragazzi. Nulla si dice sulla valutazione della effettiva preparazione del singolo insegnante, del suo ruolo non solo informativo, ma anche formativo. Non una parola è stata spesa e, possiamo scommettere, sarà utilizzata, in questo senso. Dopo decenni in cui il ruolo docente è stato via via degradato fino a farlo diventare un operatore sociale tout court, una sorta di baby sitter per bambini cresciuti, ora d’improvviso come per magia lo stesso insegnante deve intervenire bocciando o rimandando.
Non una parola sul suo ruolo educativo, che, intendiamoci, prevede anche il momento della verifica e della punizione se necessaria, ma che deve innanzi tutto motivare il giovane allo studio, fargli capire che non è il titolo di studio, il “pezzo di carta” che potrà cambiare in meglio la sua vita, ma le competenze acquisite, un metodo di lavoro e di apprendimento che lo possano aiutare anche all’università e nel mondo dell’impresa, e da ultimo, ma non per ordine di importanza, fargli capire che stiamo investendo su di lui risorse, energia e anche affetto. Silenzio assoluto sui criteri di selettività del corpo insegnanti. Possibile che si parli dei docenti solo in caso di atti di bullismo, fatti o ricevuti, o quando c’è una qualche vertenza sindacale intorno allo stipendio? Possibile che la tanto decantata autonomia scolastica non possa riguardare anche la scelta dei docenti? Le eccellenze non mancano, anzi rispetto a qualche anno addietro il livello medio del corpo docente è migliorato, ma le mele marce che ne infangano ruolo e prestigio non possono essere allontanate o rimosse, previo rischio di sollevazioni della triplice sindacale. Tornando agli esami di riparazione, non possiamo non portare alla luce altre questioni da non sottovalutare: le verifiche, gli esami, dovranno essere tenuti entro il 31 agosto. Non solo: al termine di questi corsi o interventi didattici lo stesso Consiglio di classe, «in sede di integrazione dello scrutinio finale, procede alla verifica dei risultati conseguiti e alla formulazione del giudizio definitivo». Il tutto entro il 7 settembre. Ci sono quindi problemi organizzativi enormi: molti docenti sono impegnati fino alla metà di luglio con gli esami di maturità, si richiederebbe di rinunciare a qualche giorno di ferie a fronte di un probabile guadagno pecuniario irrisorio. Vi è un altro timore che serpeggia soprattutto fra gli addetti ai lavori: quali consigli di classe avranno la fermezza, il coraggio, la convinzione di bocciare un alunno che a settembre dimostrerà di non aver colmato le lacune dell’anno scolastico precedente? Bocciato per una materia, magari non caratterizzante il percorso di studi? Il timore, o forse qualcosa di più, è che si cercherà una via per così dire, a metà tra il buonismo e l’indulto: verrà assegnato allo studente un “sei” ufficiale, che non lascia traccia, al contrario di oggi, nel curriculum personale di studi. Ma le lacune rimangono… Si tratta, me ne rendo conto, di un’interpretazione forzata non suffragata, per ora, da prove, ma non occorre essere grandi indovini per prevedere in molti casi esiti come quelli sopra descritti. Infine, vi è il capitolo dei finanziamenti che non può e non deve essere sottaciuto, perché queste novità comporterebbero un aggravio di lavoro sui docenti (in particolare durante l'anno) con conseguente aumento delle indennità e la questione nell'attuale bozza è rinviata in sede di contrattazione sindacale; inoltre, il Ministro non ha saputo spiegare fin ad oggi a quali risorse finanziarie attingerà per far fronte ai prevedibili aumenti di spesa che gli esami a settembre comporteranno. Il timore è che si vadano a tagliare risorse sul budget delle singole scuole per progetti, interventi didattici o uscite, viaggi di istruzione e aggiornamento docenti. Attendiamo gli sviluppi e certamente la questione esami di riparazione la riprenderemo ancora, anzi visto che siamo in tema, la rimandiamo a future discussioni che, stiamone certi, non mancheranno.