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3 ottobre 1990: un anniversario dimenticato.
Di Paolo Zanlucchi - 04/10/2007 - Storia - 1503 visite - 0 commenti

Sono trascorsi soltanto diciassette anni da quel 3 ottobre 1990, quando a Berlino, allo scoccare della mezzanotte, venne proclamata ufficialmente la riunificazione della Germania. Terminava un capitolo centrale della guerra fredda e si chiudeva una delle pagine più drammatiche della storia europea. Quasi un anno dopo la caduta del muro, avvenuta il 9 novembre 1989, un milione di tedeschi si è dato appuntamento davanti al Reichstag e tutta una nazione è incollata davanti alla televisione per seguire una cerimonia attesa da due generazioni, un evento storico che nessun politologo avrebbe nemmeno immaginato due anni prima. Oggi quell’evento, che ha avuto conseguenze tanto importanti dal punto di vista politico, economico, ma anche simbolico, sembra essere stato dimenticato da tutti i mezzi di informazione, almeno italiani. Quella cerimonia solenne e gioiosa non rappresentò soltanto l’inizio di una nuova era per la Germania, seppur difficile e piena anche di contraddizioni, ma svelò al mondo intero il fallimento del regime comunista della Repubblica Democratica Tedesca, la DDR. La Germania Est era nata nel 1949 sui territori dei cinque Länder orientali occupati dall’Armata Rossa nel 1945. Fin da subito gli emissari del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica) iniziarono un’opera di sovietizzazione dei territori sotto il controllo russo, attuando una sistematica e capillare caccia ai possibili avversari del regime. E’ una pagina di storia che quasi mai trova posto nei libri dei nostri studenti: tra il 1945 ed il 1950 furono internate circa 122.000 persone, tra queste ben 43.000 morirono di stenti o in seguito a sevizie subite e 756 furono condannate “ufficialmente” a morte. Ma ciò che non viene mai ricordato è che i “liberatori” sovietici ed i loro seguaci locali, adoperarono a tale scopo i tristemente famosi Lager già utilizzati dai Nazionalsocialisti, tra cui Sachsenhausen, e Buchenwald, non lontano da Weimar, città simbolo del Classicismo tedesco: luogo di cultura, di vette letterarie inarrivabili grazie alle opere di Goethe e Schiller e luogo di morte tra i più terribili della storia. Palcoscenici della tragedia dei regimi totalitari del Novecento, in una danza macabra dove le vittime diventarono aguzzini.

Dopo il 1950, il partito unico alla guida della DDR, il SED, Sozialistische Einheitspartei Deutschlands (Partito socialista dell’unità tedesca) con zelo tipicamente teutonico, completò l’opera dei compagni russi e fece in modo di arrestate e perseguitare dalle 40.000 alle 60.000 persone. La maggior parte degli arrestati e molti di coloro che non fecero più ritorno dai quei campi di concentramento, non avevano commesso gravi crimini contro il neo costituito regime; la loro grave colpa, davanti agli occhi dei nuovi padroni, fu di appartenere ad associazioni, sindacati, gruppi politici locali, sacerdoti, insegnanti, a quella società civile che aveva davvero sperato in un cambiamento della società tedesca dopo la terribile parentesi hitleriana. Ma non avevano fatto i conti con un regime che non poteva tollerare un rappresentatività politica e sociale proveniente “dal basso”; le cosiddette “democrazie popolari” temono la partecipazione diretta del popolo vero alle questioni politiche. Non sorprende, quindi, che nel 1953 la grande rivolta contro il regime comunista tedesco orientale, guidato da Walther Ulbrich, fu organizzata dagli operai, soprattutto dei cantieri edili di Berlino Est, per protestare contro le difficili condizioni di lavoro e di vita cui erano costretti. Anche in questa occasione la repressione fu terribile: oltre un centinaio di morti e circa 14.000 arrestati. Pochissimi in Italia alzarono la loro voce per denunciare l’accaduto, parole al vento: nel 1953 si piangeva la morte di Stalin… Il vero messaggio che tutti ascoltavano, anzi, ossequiavano, era il volto ufficiale del regime, quello rappresentato dalle opere di Bertolt Brecht, autore che ha trovato, e trova, nel nostro Paese terreno fertile per la messa in scena delle sue opere naturalmente antifasciste, anticapitaliste, antioccidentali. Pochi ricordano che Brecht fu uomo del regime, sostenuto finanziariamente per rappresentare nel mondo il volto del “Sol dell’Avvenire” in versione tedesca.

Un sole che tramontò definitivamente il 13 agosto 1961, quando Berlino, anzi, quando il mondo si trovò diviso da un muro alto 3 metri e 60 centimetri. Il muro per antonomasia. Simbolo di ogni divisione e di ogni sofferenza. L’ipocrisia dei governanti di allora lo definì il “muro antifascista” oppure “anticapitalista”. Quante tragedie intorno a quel mucchio di cemento armato e filo spinato che doveva difendere i figli felici del “socialismo dal volto umano” dall’assalto feroce dei reprobi capitalisti occidentali. Talmente felici gli abitanti della DDR che per controllarli, il servizio di sicurezza interno, la famigerata STASI, acronimo di Staatssicherheit (Sicurezza di Stato), poteva contare su una rete di circa mezzo milione di informatori, naturalmente pagati dallo Stato; poco prima di implodere, la DDR guidata da Erich Honecker arrivò ad avere quasi 600.000 informatori, o quantomeno collaboratori, legati a doppio filo alla STASI, la quale fu, senza dubbio, il più importante datore di lavoro dell’allora Germania Est, il vero collante del regime, l’organo che con i suoi tentacoli riuscì a creare il consenso all’interno del Paese. Peccato che in Italia, il Paese con il più importante partito comunista del mondo, esclusi i satelliti di Mosca, sui testi scolastici non si trovava traccia delle reali condizioni della DDR e dei Paesi al di là della “Cortina di ferro”. Ancora oggi non sono molti, uso un eufemismo, i libri adottati nelle nostre scuole che ripercorrono criticamente quegli anni e le vicende di quei regimi. Si è talmente fatta opera di rimozione della memoria, che difficilmente uno studente italiano saprebbe raccontare, anche a grandi linee, le vicende legate al dopoguerra tedesco, alle tragedie causate da uno dei regimi più sanguinari ed illiberali della storia, quasi che la storia della Germania finisse nel 1945 e precipitasse poi in un limbo indefinito. Ecco allora che in mezzo a tanti uomini di cultura, giornalisti, editori, personaggi politici italiani allora compiacenti con quel regime, oggi alcuni ancora al potere, risulta davvero profetico rileggere uno scritto del 1984 di un personaggio, già allora controcorrente, che scrisse, in un mare di polemiche, che "Milioni di nostri contemporanei aspirano legittimamente a ritrovare le libertà fondamentali di cui sono privati da parte dei regimi totalitari e atei che si sono impadroniti del potere per vie rivoluzionarie e violente, proprio in nome della liberazione del popolo. Non si può ignorare questa vergogna del nostro tempo: proprio con la pretesa di portare loro la libertà, si mantengono intere nazioni in condizioni di schiavitù indegne dell’uomo"; quel signore, un tedesco della Baviera, si chiamava Joseph Ratzinger…

 
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