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Monaldo Leopardi, un uomo ingiustamente calunniato.
Di Francesco Agnoli - 30/09/2007 - Letteratura - 1970 visite - 0 commenti
Quando si legge un commento critico sulla poesia e la vita di Giacomo Leopardi, immancabilmente il suo pessimismo viene collegato, almeno in parte, alla presenza, truce e severa, di suo padre Monaldo: un uomo troppo rigido, "reazionario", di idee vetero-cattoliche, "che tendeva ad isolare il figlio dal resto della comunità recanatese" (Guglielmino). La realtà è affatto diversa. Anzitutto perché Giacomo non fu gravato dal peso della religiosità cattolica e del pensiero di antico regime, ma al contrario fu uomo straordinariamente aperto alle novità di pensiero che gli giungevano dalla Francia e dalle filosofie più moderne. Il suo pessimismo, per quanto determinato, in parte, anche da eventi specifici della sua vita, nasce e si irrobustisce nel tentativo di sviscerare sino in fondo le conseguenze logiche di quel pensiero materialista e sensista, nuovo di zecca, e per nulla reazionario, che egli accettava come un dogma, come un postulato indiscutibile, al pari di molti intellettuali dell'epoca. Scriveva infatti nelle sue riflessioni: "Che la materia pensi è un fatto". Tutto il pensiero di Giacomo può essere così riassunto nella "teoria del piacere": l'uomo aspira ad un bene, una felicità infinita, e questa aspirazione, lungi dall'essere segno della vocazione eterna e divina dell'uomo, del suo essere fatto per Dio, come nella riflessione cattolica, diviene nel poeta constatazione di una condizione umana assurda, intimamente contraddittoria e lacerante. Se infatti il cuore umano desidera grandi cose, piaceri che durino, felicità non effimere, perché poi ogni piacere materiale, l'unico concepibile in un'ottica che escluda l'eterno, si rivela illusorio, breve, limitato nella sua intensità e durata? L'infelicità di Giacomo è dunque tutta qua, e inasprisce nel momento in cui, con coerenza assoluta, il poeta finisce per rinnegare, dopo la ragione, anche l'amore. Così l'ultimo Leopardi diventa aggressivo, violento, contro i "fratelli" illuministi e materialisti, che negato il paradiso nel cielo, credono con grande incoerenza di poterne costruire uno sulla terra; e contro i cristiani, che nell'aspirazione del cuore umano, con un ottimismo infantile, vedono un segno della sua grandezza e del suo destino. Cosa c'entra, in tutto questo, il padre Monaldo? E chi era quest'uomo, così ingiustamente calunniato? La risposta è in un brillantissimo saggio di Lidia Zawada, pubblicato ad introduzione del "Catechismo filosofico" di Monaldo (Fede & Cultura). Monaldo, in realtà, come testimonia la figlia Paolina, era un uomo "buonissimo, di ottimo cuore", anche nei confronti di Giacomo, con cui pure discordava, che si trovò a vivere l'invasione napoleonica e il diffondersi delle idee illuministe. Nel 1796, coll'arrivo dei francesi a Recanati, cercò di scongiurare saccheggi e violenze inviando ben ventitré carri di vettovaglie per placare gli invasori. Liberata Recanati dagli Insorgenti, fu acclamato dalla popolazione governatore della città: accettò l'incarico, al fine di limitare le vendette e gli scontri intestini, tra i francesizzanti e i loro avversari. Col ritorno di Napoleone Monaldo rifiutò di assumere l'incarico di podestà di Recanati: accettandolo, "avrebbe dovuto strappare ogni anno alle loro famiglie trenta coscritti recanatesi e inviarli a combattere e morire nell'esercito napoleonico". Per un reazionario come lui, l'esercito di massa, la guerra totale, le invasioni di Napoleone, non erano concepibili. In tanti anni di vita pubblica nella sua città, Monaldo costruì a sue spese un teatro comunale, introdusse l'illuminazione notturna a Recanati, si occupò della viabilità e della bonifica dei terreni incolti, portò nello Stato Pontificio la vaccinazione jenneriana, "insegnandola personalmente ai medici e rendendola infine obbligatoria insieme all'introduzione di migliorie nell'educazione sanitaria e nell'igiene pubblica"… Apertissimo alle novità scientifiche, al progresso, Monaldo non lo fu mai, per nulla, al materialismo, al nazionalismo, all'indifferentismo filosofico, all'assolutismo di quei tempi. Non certo per ignoranza: la sua biblioteca era immensa, con un intero scaffale dedicato ai libri proibiti, aperta "filiis amicis civibus". Monaldo scrisse catechisimi filosofici, a difesa del pensiero cattolico tradizionale, dialoghetti brillanti e celeberrimi in tutta Europa, e fondò addirittura un giornale, "La voce della Ragione": riteneva che la ragione stesse dalla parte dei "reazionari" come lui, che la considerano un immenso dono di Dio, e non di coloro che, proclamatisi suoi paladini, la abbassano al livello della materia.
 
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