La Rice e il «no» del Papa a un colloquio
L'ultima richiesta è arrivata in estate. Il segretario di Stato Usa, Condoleezza Rice, ha fatto sapere al Vaticano che aveva assolutamente bisogno di incontrare Benedetto XVI.
Stava per addentrarsi di nuovo nel ginepraio mediorientale. E non le sarebbe dispiaciuto presentarsi ai propri interlocutori con le credenziali di un colloquio col pontefice. Sperava di fissarlo agli inizi d'agosto a Castelgandolfo, residenza estiva del Pontefice appena tornato da Lorenzago, sulle Dolomiti. Ma le è stato risposto che il Papa era in vacanza. La Rice ha insistito. Senza fortuna: il protocollo vaticano è stato irremovibile. «Il Papa è in vacanza», ha continuato ad essere la risposta ufficiale.
Da quanto si sa, la Rice è riuscita a discutere di Medio Oriente e soprattutto di Libano in una telefonata col cardinale Tarcisio Bertone. Il numero due della Santa Sede era in visita in America per la riunione annuale dei Cavalieri di Colombo a Nashville, nella prima decade di agosto. Ma l'incontro mancato fra Benedetto XVI e la titolare della diplomazia statunitense ha finito per assumere un significato che forse va perfino oltre le intenzioni vaticane. È stato valutato infatti come una sorta di certificazione delle differenze di vedute sulle iniziative dell'amministrazione di George Bush in Medio Oriente; e di una frizione strisciante sul-l'Iraq e sui rapporti con l'Iran. La Santa Sede ritiene che gli Stati Uniti rischino di sottovalutare il problema delle garanzie delle minoranze religiose nella nuova Costituzione irachena. E lo ha fatto presente al governo di Bagdad: si è sentita rispondere che le minacce e le violenze contro i cristiani non sono maggiori di quelle subìte da altre minoranze. Si è rivolta anche agli americani: la loro replica, però, è stata che le truppe non riescono ad avere il pieno controllo del territorio; e dunque incontrano difficoltà a proteggere i non islamici. Quanto all'Iran, si sa che il Vaticano detesta i toni truculenti e antisemiti del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Ma vede come una sciagura un'altra guerra preventiva. Tuttavia, i rapporti fra Usa e Santa Sede rimangono più che buoni.
C'è uno scambio continuo di notizie e valutazioni sulle «zone calde», sebbene le strategie rimangano differenti. I temi etici continuano ad avvicinare Chiesa cattolica e Amministrazione Bush. Il problema è che la politica estera rimane una fonte di controversie.
E la Rice non è un interlocutore fra i più graditi. Quando sono cominciati i contatti per il suo incontro mancato col Papa, è stato spiegato che anche Bush lo sollecitava. Il colloquio del 9 giugno scorso fra Benedetto XVI e il presidente americano in Vaticano era andato bene. E in quella scia poteva inserirsi il segretario di Stato. In realtà, per rendere possibile l'udienza con la Rice sul lago di Castelgandolfo, sarebbe stata necessaria una forte volontà vaticana, che in realtà non c'era. In agosto il Pontefice tende ad evitare colloqui con esponenti politici, tranne eccezioni. L'idea del Papa in vacanza è stata considerata «una buona scusa» per evitare un appuntamento ritenuto non indispensabile, e magari foriero di confusione e malintesi davanti all'opinione pubblica internazionale; e in primo luogo nel Medio Oriente.
Ufficialmente nessuno lo dice, ma sul «no» pesa probabilmente anche l'atteggiamento della Rice nel 2003, quando era consigliere per la Sicurezza nazionale di Bush. Fu lei, alla vigilia del conflitto in Iraq, a dire brutalmente che non capiva l'atteggiamento del Vaticano, contrario alla guerra; e a trattare con una freddezza al limite della scortesia l'inviato di Giovanni Paolo II, il cardinale Pio Laghi, mandato a Washington il 2 marzo del 2003 nel tentativo disperato di scongiurare l'intervento militare. È chiaro che quello sgarbo non è stato dimenticato.(Corriere della Sera, 19 settembre 2007)
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