Tutti soli sul fronte dei prezzi. Dopo lo "sciopero della pastasciutta".
Bastonato, impotente, frustrato. Ti senti così ogni volta che vai a fare la spesa. Voci di due signore sulla sessantina colte proprio ieri nel supermercato di una cittadina del nord: «Le zucchine a 2.25? Ma ieri erano a 1.80». «La nostra pensione però non aumenta». Confermo: cresce tutto, un poco alla volta, in punta di piedi; tutto, non solo la pastasciutta nel cui nome, e nel cui potente simbolo, si sciopera, sapendo che la Maria Antonietta di turno mormorerà con nonchalance: «Mon Dieu, non mangiano la pasta? Si facciano un risottino».
Bastonati e con il senso di colpa. Vivi la più classica sindrome veneziana – l’acqua sale, sale, sale e tu non puoi certo alzare la tua casa, puoi a malapena procurarti un nuovo paio di stivaloni da pescatore, quelli ascellari – e non capisci. Ad esempio: se il dollaro vale sempre di meno e l’euro vale sempre di più, me avremo dei vantaggi; tutti noi, non solo gli Stati, le banche, i finanzieri. E invece niente. Il barile di petrolio sale più di quanto scenda il dollaro. E le esportazioni languono. Calerà almeno la Cocacola? Macché. Anzi sì, ma soltanto se ne acquisti sei bidoni da due litri cadauno in un colpo solo, sai che muscoli a trascinartela su per le scale. Davvero ti senti in colpa. L’inflazione, ti assicurano sbattendoti sotto il naso tabelle e grafici, è prossima allo zero. Dunque sarò io che non so organizzarmi. Io con il contratto scaduto da due anni. Io a caccia di tre-per-due. Io novello Ulisse con la cera nelle orecchie e i paraocchi da cavallo per resistere alle sirene dell’acquisto d’impulso, tutti quegli snack sugosi, quei rasoi quinquilama con ammorbidente e schiumogeno, la caramellina, la patatina, il cioccolatino accanto alla cassa: merci definite “inutili” soltanto da chi ignora il loro potere ansiolitico, tanto formidabile quanto illusorio.
Ti senti in colpa anche se sai di non avere colpa alcuna, anzi di essere un eroico resistente. Ti senti soprattutto solo. Il rito collettivo della spesa, che ti costa ogni giorno un euro in più, è in realtà un’esperienza solitaria, senza solidarietà, durante la quale ognuno rimane chiuso in se stesso e lancia occhiate furtive nel carrello altrui pensando: come può un tipo del genere permettersi prodotti del genere? Con l’inizio della scuola ai sensi di colpa subentrano la frustrazione e, in rari casi fortunati, l’esultanza. Dispiace che la storica cartoleria del centro, odorosa di inchiostri, chiuda e svenda per cedere il posto all’ennesimo store del solito stilista. Però che razzia di quaderni e quadernoni, matite e matitoni, gomme e temperini. Un amico è tornato deluso dalla Grecia: in un paesino della Tessaglia confidava di acquistare quaderni a prezzo stracciato, ma si è accorto che costavano più che all’Upim. Ci sentiamo bastonati, impotenti e in colpa, però ci ingegniamo e resistiamo. I libri? Usati. La soluzione drastica? Trasferirsi nel Trentino, dove te li danno in comodato (nel resto d’Italia è proprio impossibile?).
È brutto dirlo, ma un poco viviamo di rimpianti. C’è chi rimpiange il Cip, il Comitato interministeriale prezzi, che dirigeva e controllava. Chi rimpiange la scala mobile ma non lo dirà mai per non ricoprirsi di ridicolo. E chi rimpiange il tempo cui, noi italiani che buttiamo fortune in acqua minerale, ci abbeveravamo dall’umile rubinetto… Alt! L’acqua potabile è ottima. C’è chi la sta riscoprendo e, con una concessione alla nostalgia, la corregge con la frizzina. Giusto per spendere un paio d’euro alla settimana e ringalluzzire il Pil.
(Da "Avvenire", 14 settembre 2007).
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