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E' tempo di uscire dalla torre di Babele.
Di Rassegna Stampa - 10/09/2007 - Economia - 1205 visite - 0 commenti

In quel di Cernobbio, sul lago di Como, nel pomposo scenario di Villa d'Este, alla fine di ogni estate si celebrano i riti del Seminario Ambrosetti. Lì, i bei nomi dell'establishment internazionale si esibiscono in dissertazioni sull'«Accadrà Domani», distribuendo analisi e ricette, con propensione all'ottimismo.

Altrimenti detto: illuministicamente paladini di uno sviluppo ininterrotto; considerando i problemi che di volta in volta emergono, incidenti di percorso del capitalismo rampante. Questa volta, il Seminario è caduto in un momento sfavorevole. In Usa, subito propagandosi a macchia d'olio, è esplosa la bolla dei crediti facili e speculativi concessi al settore immobiliare, ma non solo a questo; ovunque, le Borse hanno patito, dopo un triennio di crescita spesso scomposta e speculativa, ribassi dell'ordine del 20%. Nell'occhio del ciclone (stagionale o devastante?), i titoli bancari, ancora a luglio considerati dai guru della Finanza (quelle Agenzie che distribuiscono le «pagelle di merito», ora sotto accusa), gioielli del firmamento capitalistico.

Che è successo? Dal confuso bla-bla-bla lacustre, qualche voce non allineata è uscita dal coro. L'ex ministro Giulio Tremonti ha diagnosticato senza giri di parole: «Siamo di fronte a una crisi con la "C" maiuscola». Pur non paragonandola a quella del 1929, poco c'è mancato. Edward Luttwak, politologo-economista statunitense già consigliere alla Casa Bianca, ha denunciato una dilagante «crisi di sfiducia». Paolo Panerai direttore di Milano Finanza, attento come pochi a ciò che bolle in pentola, ha spiegato ieri nell'editoriale: «Pur con tutti i sofisticati strumenti di analisi di cui dispone il mondo economico, nessuno ha la certezza di cosa sia accaduto e stia accadendo nella fornace di quel vulcano sempre in ebollizione che è il mondo della finanza e delle banche». Grave (auguriamoci non tragica), constatazione. D'altra parte, è casuale che il ministro Padoa-Schioppa abbia convocato d'urgenza il Com itato interministeriale per il credito e il risparmio? Sino a pochi giorni fa, a spegnere i focolai d'interrogativi, si era ribadito che: primo, non esistevano rischi di contagio per l'Italia; secondo, non sussisteva alcun timore di ripercussioni sull'economia reale (ovvero produzione, occupazione, consumi).

È seguita una rapida retromarcia. All'ammissione di una inevitabile frenata della crescita, dall'America all'Asia all'Europa, con l'Italia ancora più annaspante, si sono sovrapposti timori (probabilmente psicologici) attizzati dall'arrivo nelle Borse di torme di avvoltoi ribassisti. Risultato finale: le «nostre carissime Banche» hanno cessato di essere al di sopra di ogni sospetto. Stanno venendo alla luce oscure gestioni «fuori bilancio», in cui si scaricavano, a farla semplice, i crediti inesigibili o quasi. Da lì nugoli di intrecci, con passaggi di mano in mano. Traguardo finale, lo scaricare i rischi su spesso ignari risparmiatori attraverso la cosiddetta «ingegneria finanziaria». Evitiamo processi anticipati. Tuttavia, un «puzzo di bruciato» lo si percepiva. Conferma: vi sono attualmente Banche che negano alle consorelle rifinanziamenti overnight (giornalieri), per coprire le posizioni debitorie. Onde sopperirli sono dovuti intervenire con iniezioni di insulina le Banche centrali. Così a Washington, a Londra, a Tokyo. E a Francoforte, per l'Unione Europea. Sino a un anno fa, avanti di andare in pensione, Alan Greenspan, dominus della Fed (la Banca centrale statunitense), ammoniva inascoltato: «Attenti amici banchieri!, state costruendo la Torre di Babele». Grillo parlante, Cassandra, o profeta? Indisponibili al catastrofismo, ma realistici, chiediamo pertanto al sistema bancario italiano di renderci partecipi dei «veri bilanci», dell'effettiva esposizione. È l'unico modo per reinstaurare una vera fiducia fra risparmiatori e istituzioni finanziarie. Essenziale per superare un momento di pericoloso sbandamento. (G. Galli, Avvenire, 9/9/2007)

 
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