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Tuteliamo le scuole Paritarie
Di Walter Viola - 12/09/2007 - Politica - 1210 visite - 0 commenti
Se c’è una domanda a cui preme dare risposta rispetto al referendum indetto per abrogare i finanziamenti previsti per le scuole paritarie è capire cosa si cela dietro a questo quesito. Il presupposto sotteso alla consultazione è infatti una mentalità che nega per principio la pubblica utilità di qualunque servizio nato e organizzato dalla società civile. In questa prospettiva il bersaglio da colpire non è solo la libera iniziativa sociale nell’ambito educativo, ma tutte le attività realizzate “dal basso” per rispondere ai bisogni delle persone in qualunque altro settore. Ad irritare certo laicismo e certa sinistra è che qualcuno oltre all’ente pubblico – in questo caso alla Provincia – si permetta di gestire istituti e di erogare prestazioni in vari campi (scolastico, formativo, sanitario, assistenziale, ecc.) capaci di garantire e soddisfare l’interesse generale della comunità, delle persone e delle famiglie, comprese quelle meno abbienti. Non a caso i referendari appiccicano continuamente l’etichetta di “privati” a queste scuole per dare di esse un’immagine tanto elitaria e chiusa quanto irrealistica, evitando accuratamente l’utilizzo del più corretto aggettivo di “paritarie”, sancito peraltro anche a livello nazionale da una legge – la 62 del 2000 – voluta da un Ministro di sinistra come Giovanni Berlinguer. La verità è che gli istituti paritari del Trentino, iniziando da quelli “equiparati” dell’infanzia – i più numerosi in quest’ambito – fino a quelli dell’obbligo e della formazione professionale, rispondono da sempre alla domanda educativa delle famiglie, dei bambini e dei ragazzi accogliendo chiunque, senza distinzioni di ceto e condizione. E svolgendo non senza difficoltà e sacrificio un servizio pubblico largamente apprezzato dalla popolazione trentina. Per questo la Provincia Autonoma di Trento già con la legge 29 del 1990 aveva riconosciuto agli studenti un sostanzioso aiuto in termini di sostegno economico. Approvando l’anno scorso a larga maggioranza una nuova legge sul “sistema educativo di istruzione e formazione del Trentino” (l’unico voto contrario nel centro-sinistra – è il caso di ricordarlo – è stato di Bondi), il Consiglio provinciale ha confermato e consolidato quella scelta. A questo punto, pretendere di escludere con un referendum le scuole paritarie dalla pianificazione del sistema educativo e dall’accesso alle risorse provinciali, significa attardarsi in una battaglia di retroguardia che non si giustifica neppure evocando l’articolo 33 della Costituzione (il famoso “senza oneri per lo Stato”, riferito peraltro solo al momento in cui la scuola viene istituita da enti e privati, e non alla possibilità di finanziarla una volta sorta e funzionante). Mentre cresce anche nel mondo politico la convinzione che per riuscire ad assicurare un sistema dei servizi di qualità, equo ed efficiente in tutti i settori occorre favorire la responsabilizzazione, il coinvolgimento e l’impegno costruttivo e solidale dei cittadini e delle loro associazioni attraverso forme di partnership con l’ente pubblico, e quindi all’insegna della sussidiarietà e non delle “esternalizzazioni” e dell’abbandono alle logiche di mercato, chi propugna questo referendum vorrebbe condannare sommariamente i “privati” alla marginalità togliendo il sostegno necessario ad istituti e iniziative la cui capacità di rispondere ai bisogni della gente è ampiamente dimostrata e certificata. Per queste ragioni, d’intesa con i vari rappresentanti dell’associazionismo attivo nel mondo scolastico, Forza Italia del Trentino ha deciso di invitare i cittadini a non andare a votare in occasione di una consultazione che, pur legittima, pone tuttavia davanti ad un’alternativa vecchia, superata dalla logica, dalla storia e dal diritto. Credo che anche il corrispondere alla scelta compiuta dai soggetti sociali ed educativi maggiormente coinvolti e interessati - gestori, famiglie, insegnanti – di non presentarsi alle urne perché in disaccordo con la proposta del referendum, sia un modo per mettere la politica concretamente a servizio della gente.
 
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