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Venerdì, 25 agosto 2006, ore 11.15 Relatore: Mons. Fouad Twal, Patriarca Coadiutore di Gerusalemme dei Latini. Moderatore: Robi Ronza, giornalista e scrittore
Moderatore: Buongiorno, benvenuti all'incontro "Voce da Gerusalemme" , e quale voce! Una voce molto importante e significativa: quella di Mons. Fouad Twal, Patriarca Coadiutore di Gerusalemme dei Latini, cioè della Chiesa che ha il nostro stesso rito. Mons. Twal è una figura significativa, importante, della presenza cristiana nel mondo arabo. È nato in una tribù beduina, giordana, che è sempre rimasta cristiana. Lui ama ricordare che, ad un certo punto, perse il contatto con Roma. Ma quando, a metà dell'Ottocento, lo riscopersero perché un francescano li raggiunse, ripresero immediatamente i rapporti: e sono beduini, cioè arabi della stirpe più antica, cattolici di rito latino. Mi ricordo che quando Mons. Twal venne nominato vescovo a Tunisi, sorprese i tunisini perché, insomma, lui era molto più arabo di qualunque tunisino, essendo i tunisini un po' berberi, di origine. È figura eminente della chiesa cristiana nel mondo arabo. Da poco è stato nominato Patriarca Coadiutore di Gerusalemme dei Latini. Il Patriarcato: il titolo di Gerusalemme dei Latini è punto di riferimento di una Chiesa che, come è tipico dei latini, è multietnica; è una Chiesa in maggior parte arabo-palestinese, dove ci sono comunità, parrocchie di ebrei cristiani che hanno ripreso la tradizione antichissima della ecclesia ex-sinagoga. E ci sono anche cristiani stranieri, sul territorio di Israele e Palestina. In genere, la presenza dei cristiani nel mondo del vicino Oriente, nel mondo arabo, è importante perché i cristiani sono, per loro natura, un elemento di tramite, in particolare i latini. Mons. Twal ha diretto anche la traduzione del "Senso religioso" in lingua araba che, come sapete, è stata presentata qua. Ne ha scritto l'introduzione che io ho qui, tradotta in Italiano. Questo testo introduttivo mi ha immediatamente colpito perché è un discorso di cultura araba: è un modo di parlare, di esprimersi in cui veramente si vede cosa vuol dire la capacità di intermediazione culturale di una figura come Mons. Twal. Io ho molto apprezzato questa introduzione, e spero che leggere un testo così interessi anche noi occidentali. Ha curato questa traduzione del "Senso Religioso" in lingua araba che penso sarà un evento importante della cultura araba del nostro tempo: di questo i primi sintomi ci sono già stati in questi giorni perché i curatori, anche musulmani, di questa traduzione ci hanno detto cose molto importanti per quanto riguarda l'Islam. Credo che questa opera potrà essere di grande aiuto per una riqualificazione della relazione fra Islam e Cristianesimo, senza pretese di concordanze che non ci sono, ma con qualche cosa che dà piuttosto un forte contributo alla chiarificazione delle nostre rispettive posizioni perché, come tutti noi sappiamo, la base del dialogo non sono necessariamente delle convinzioni comuni, la base del dialogo è la comune condizione umana, la risposta che noi diamo alle grandi domande esistenziali. Sono convinto che questa traduzione del "Senso Religioso" in lingua araba sia importante e che avrà un'importanza cruciale: attraverso essa, questa grande nazione araba che è una nazione vicina - perché noi non siamo vicini agli inglesi, non confiniamo con l'Inghilterra, per esempio - ma, attraverso la frontiera marittima della Sicilia, confiniamo con il mondo arabo, siamo vicini di casa degli arabi e abbiamo avuto relazioni molto intense. Oggigiorno diciamo parole arabe, parlando in italiano, da "cotone" a "magazzino" a "tariffa", ma basta citarne due, "algebra" e "chimica" - per dire quanto è stata densa la nostra relazione che si deve riattivare, riqualificare. Credo che quest'opera darà un grosso contributo: un grosso contributo lo danno le Chiese arabo-cristiane, la Chiesa latina in modo particolarissimo. Detto questo, credo di aver parlato sin troppo e lascio la parola al Patriarca Coadiutore avvisando che, mentre lui parlerà, scorreranno delle immagini che lui ci ha chiesto di proiettare. Si aprono con il crocifisso di Giotto che è qui a Rimini nella Cattedrale, si concludono con Cristo Risorto di Pier della Francesca, il famosissimo affresco che c'è a San Sepolcro, nelle valli aretine: fra questo alfa e questo omega c'è una sequenza di immagini di Gerusalemme. Si vede la moschea di Omar e il muro occidentale, detto "muro del pianto", si vede il Santo Sepolcro, si vede come Gerusalemme sia questo crocevia che non è un problema ma una grande risorsa dell'umanità. Prego, Monsignor Twal.
Twal: "La ragione è esigenza di infinito e culmina nel sospiro e nel presentimento che questo infinito si manifesti": cari ambasciatori, cari amici, ringrazio gli organizzatori di questo evento che mi hanno dato e offerto la possibilità di fare sentire una voce dalla Terra Santa, facendo rivivere l'esperienza di fede delle prime comunità cristiane. Infatti, come dice don Julian Carròn in un suo messaggio del 24 Aprile 2006, "Se la tradizione non rivive in un'esperienza presente, attuale, tutta la ricchezza del passato diventa lettera morta, non serve al cuore dell'uomo che è esigenza di vivere qui e ora con una ragione e con uno scopo adeguati". Ringrazio pure alcuni amici che sono venuti da lontano per partecipare al Meeting ed essere presenti con noi stamattina. Dopo essere stato per 13 anni Arcivescovo di Tunisi, ho ritrovato con affetto la mia diocesi di origine: il Patriarcato Latino di Gerusalemme. Volentieri, vi affido le mie impressioni sulla situazione attuale, senza la pretesa di essere esaustivo e neppure di avere la chiave di una soluzione all'attuale conflitto che si sta consumando nel Sud del Libano. Inoltre, sono ben consapevole che gli ultimi eventi o avvenimenti non hanno fatto che confermare o aggravare la situazione descritta in questo mio testo. Volentieri aderiamo all'appello del Santo Padre, lanciato il 23 luglio, durante la preghiera dell'Angelus, in cui ha sottolineato i tre capisaldi per una pace stabile e duratura: "Il diritto dei libanesi all'integrità e sovranità del loro Paese, il diritto degli israeliani a vivere in pace nel loro Stato e il diritto dei palestinesi ad avere una patria libera e sovrana". Il Santo Padre ha affidato questi obiettivi alla politica, invitando tutti i credenti a dare il loro contributo con la penitenza e la preghiera, per dire che anche noi siamo coinvolti. Certe novità sono evidenti e sono sotto gli occhi di tutti e possono impressionare: il muro della separazione, i check-points, l'aumento della disoccupazione in territorio palestinese (spintasi fino al livello del 60%), stanchezza e paura generale, sfiducia reciproca, decisioni politiche unilaterali, blocco di qualsiasi forma di aiuto ai palestinesi per il fatto che, seguendo le raccomandazioni dell'Occidente, hanno eletto democraticamente un Governo che ora non piace a nessuno (neanche a me). L'impressione generale che si può avere, tornando dopo molto tempo a Gerusalemme, è che la situazione stia continuamente peggiorando. Povera Gerusalemme: Madre di tutti i popoli, il Signore ama le sue porte, più di tutte le dimore di Giacobbe. Povera città di Dio in cui l'uno e l'altro sono nati. Pare che il Signore non la sostenga più (cfr. Salmo 87) Eppure è là, in quella terra, in quella Città, che sono i nostri "registri anagrafici", là sono registrati anche i vostri nomi e quelli di tutti i popoli. Gerusalemme, Chiesa Madre di tutte le altre chiese. Gerusalemme dove l'infinito germoglia. La lunga e tormentata storia di questa terra, inizia quando Dio indica ad Abramo la sua nuova patria: "Esci e va …. dove ti mostrerò", a Betel Abramo costruì la sua tenda e un altare, e invocò il nome del Signore (cfr. Gn 12,1-7). Poi giunge la "pienezza dei tempi" e Dio mandò Suo Figlio, nato da Donna, nato sotto la legge… perché ricevessimo l'adozione a figli" (Gal 4,4-5). E qui inizia il mistero dell'Incarnazione, con tutto quello che ne consegue… fino alla Risurrezione e al mandato dell'evangelizzazione… cominciando da Gerusalemme" (Lc 24,47b). Peccato! La politica manipolata, gli interessi di parte e la drammatica situazione attuale, non ci aiutano a cogliere la santità di quella Città e nemmeno il disegno di Dio, che ha legato quella terra a delle promesse che si estendono a tutti i popoli. Peccato! "Non abbiamo più il presentimento che quell'Infinito si manifesti". Anzi, ci pare che il duro destino della Città Santa, martoriata, si possa estendere a tutto il Medio Oriente, e persino all'intera storia umana. Dio, che ha scelto questa terra, assume sempre i cammini più inattesi, deboli e di apparente stoltezza (cfr. Cor 1,27). "Questo è il nuovo modo di vincere di Dio: alla violenza non oppone una violenza più forte… ma il suo amore sino alla fine" (Santo Padre, 24 Luglio 2006). Lo ha fatto con la scelta delle persone, ma anche della terra "più umile" ed anche più esposta ad invasioni, guerre e deportazioni. È lo stile di Dio, che dà significato alla nostra speranza. Tutti i popoli mediorientali e mediterranei… fino ai Crociati e all'Impero ottomano, hanno invaso e/o occupato questa Terra: Gerusalemme è stata oggetto di distruzione per oltre venti volte, ma risorge sempre… Come è risorto, da quella terra, il Figlio dell'uomo. È quindi sempre possibile scoprire a Gerusalemme il germoglio di quell'infinito, che si deve manifestare per il bene dei popoli. È certo compito "ragionevole" favorire con efficacia quanto necessario, perché il bene promesso diventi un'esperienza concreta. In questo momento, la pace è necessità più palese e vitale, senza di essa, infatti, niente è possibile. Finché questa regione resta straziata, divisa dall'odio, dai muri e dalla discriminazione, niente di buono si può costruire. Dobbiamo tutti lavorare per creare dei ponti, per togliere l'odio dai cuori, mostrando che è possibile vivere insieme nella pace, nella giustizia e nella sicurezza. È necessario che ciascuno, che sia palestinese, israeliano o simpatizzante dell'una o dell'altra parte, abbia l'onestà di riconoscere i limiti del suo punto di vista, e di aprirsi ai problemi della parte avversa. Questo significa entrare in dialogo, senza essere schiavi di un qualsiasi partito, con posizioni predeterminate e molto riduttive. Bisogna credere che la pace è possibile, ma bisogna costruirla insieme, evitando in modo assoluto provvedimenti unilaterali. In questo scenario, anche la comunità cristiana, il cui stato d'animo è quello comune a tutta la popolazione, si interroga sul proprio compito, pur affaticata da un certo scoraggiamento e non vedendo bene quale possa essere il proprio avvenire. Solo una situazione di pace e di sicurezza potrà restituire speranza a questi cristiani che soffrono e che si sentono, talvolta, isolati e abbandonati. Molti sono i cristiani che lasciano la Terra Santa, nella speranza di assicurare un avvenire migliore ai loro figli. Questo fenomeno non è però legato ai fatti recenti e non riguarda unicamente la Terra Santa, ma tutti i Paesi del Medio Oriente. I cristiani non sono i soli a lasciare il Paese. Anche i musulmani e gli ebrei lo fanno per le stesse ragioni. Ma poiché la comunità cristiana è piccola, queste partenze sono più sentite. In Terra Santa, questa emorragia della comunità cristiana è particolarmente grave. Senza questa comunità, la Terra Santa perderebbe un elemento essenziale della sua identità. Perciò, occorre fare uno sforzo urgente, sul piano locale ed internazionale, per aiutare i cristiani a rimanere sul posto, in attesa di poter migliorare la propria situazione. È certo che la stabilità della comunità cristiana dipende essenzialmente dalla stabilità di tutta la regione. Bisogna riconoscere con gratitudine che le Chiese Sorelle e tanti amici, in ogni parte del mondo, hanno fatto uno sforzo immenso per aiutare i cristiani a rimanere. Molte sono state le iniziative assunte; a titolo di esempio: i numerosi progetti di abitazione, intrapresi dalle diverse Chiese, per assicurare un alloggio alle giovani coppie, l'adozione a distanza degli studenti delle nostre scuole e dei seminaristi del Patriarcato, l'aiuto offerto per il mantenimento delle scuole, ecc. Ma bisogna dire che il problema sorpassa le possibilità delle Chiese. La pace e la fiducia nel futuro sono la vera soluzione per frenare il fenomeno migratorio. Come sapete, la diocesi di Gerusalemme si estende su parecchi territori (Giordania, Palestina, Israele e Cipro). Evidentemente, ciascuno di questi Paesi ha un suo proprio contesto. Ma c'è una condizione generale che tocca l'insieme dei popoli in questi Paesi ed è l'instabilità. L'instabilità è l'unica cosa stabile, dal punto di vista politico, economico, sociale, culturale ed altro. Il nostro ruolo in Terra Santa, in questa realtà, è innanzitutto provare a vedere un poco più chiaro, dentro una situazione che è qualificata come "complessa" e che lo è veramente. Cerchiamo, poi, di pronunciare una parola di speranza, partendo dalla nostra fede e dal nostro amore per quella Città. Siamo coscienti che è difficile parlare, come pure è difficile chiedere ai nostri amici, a tutti quanti sono implicati a diverso titolo, dai giornalisti ai capi di Stato, di adottare posizioni chiare e ben definite. Vi è infatti per tutti il rischio di andare incontro ad un suicidio politico. È quindi opportuno parlare poco, amare di più ed aiutare maggiormente. Parlare nel quadro del possibile: una mezza parola prudente può portare più frutti di un discorso infiammato. Nello stesso tempo, non possiamo indugiare in un silenzio colpevole, tacendo le ingiustizie e quanto di disumano continua ad accadere. Un autentico discernimento è esigenza della ragione e capacità sapiente di operare anche scelte scomode e coraggiose. C'è un conflitto, o per meglio dire, ci sono molti conflitti tra arabi ed israeliani, con implicazioni religiose che aggravano la situazione. La Chiesa è presente in entrambe le parti in conflitto. In ambedue i fronti, è coinvolta con i suoi fedeli che sono anche cittadini. Per questo, non tutti i cristiani condividono la medesima sensibilità, nei riguardi del conflitto, e nei riguardi dei fedeli arabi, che costituiscono la maggioranza della Chiesa locale. I nostri fedeli appartengono infatti a diversi Stati, con culture e lingue diverse. Vivono tutti comunque all'interno di minoranze, in società che non hanno i loro stessi riferimenti religiosi, e questo rende la nostra missione ancora più difficile. Come responsabili del Patriarcato Latino, siamo coscienti che non siamo soli su questo terreno. Ci sono 13 Chiese cristiane a Gerusalemme, di cui cinque ortodosse e due protestanti. Non abbiamo certo la pretesa di parlare a nome di tutte. La nostra Chiesa è chiamata a lavorare con gli altri, piuttosto che a "cavalcare" da sola, cosa che del resto non si può fare, visto il piccolo numero dei suoi appartenenti. Resta in relazione con le altre confessioni cristiane, sforzandosi di essere se stessa, fedele alla sua missione ed alla sua vocazione. Sappiamo, infine che la Chiesa non è facilmente accettata, sia da parte israeliana sia dai musulmani. Ci sono sei Chiese cattoliche differenti. Da una quindicina d'anni, un organismo ecclesiale le riunisce tutte: l'Assemblea degli Ordinari Cattolici della Terra Santa. Tale organismo ha preso delle iniziative comuni molto importanti, tra cui la celebrazione del Sinodo delle Chiese Cattoliche di Terra Santa, che ha prodotto un Piano Pastorale comune per tutte le Chiese. Con le Chiese ortodosse e protestanti, stiamo svolgendo un lungo cammino di avvicinamento, fondato sul dialogo e la collaborazione. Quanto alla relazione con la comunità musulmana, bisogna dire che non è certo questione "di ieri", poiché viviamo insieme da tredici secoli. Durante tutto questo periodo storico, una condivisione ed un dialogo di vita ci hanno riunito a tutti i livelli: culturali, sociali, politici, economici… Bisogna anche dire che in Terra Santa queste relazioni sono buone, perché cristiani e musulmani hanno sofferto insieme, piuttosto che gli uni a causa degli altri. Questo li ha avvicinati molto, più che in altre regioni del Medio Oriente. Evidentemente, non mancano difficoltà nelle relazioni, ma non è corretto esagerarne il peso. Le difficoltà provengono piuttosto dalla confusione generale nella quale viviamo. Le strutture di una vera società (tribunali, polizia…) non sono, infatti, ancora istituite nei Territori palestinesi. La convivenza interreligiosa non è impossibile, ma richiede una condizione preliminare, quella di una pace giusta e vera. Nell'attesa, non bisogna restare con le braccia incrociate, ma cercare di moltiplicare le occasioni di convivenza, con incontri personali o di gruppo. L'esperienza conferma che tali incontri sono un "luogo" dove tutti i pregiudizi cadono, poco a poco, e dove è possibile una migliore comprensione dell'altro. Non vogliamo semplicemente usare parole di denuncia: la situazione si è talmente aggravata da rendere inutili questi discorsi. Tante sono state le denunce, tantissime sono state le condanne e le chiare Risoluzioni internazionali, con scarsi esiti. Siamo ormai saturi di questi discorsi. Vogliamo piuttosto annunciare, nonostante un'atmosfera di ipertensione, che la Città Santa ha la sua santità, è madre di tutti i fedeli, è madre di tutti i figli di Abramo e merita più rispetto, più calma e più pace. Vogliamo annunciare che ci vogliono gesti coraggiosi da parte dei dirigenti politici, per poter realizzare una pace giusta e duratura per tutti. Non si può governare sotto la spinta della paura o della sfiducia, imponendosi con la forza delle armi o del terrorismo. Paura anche dell'alto tasso delle nascite, tra la popolazione palestinese di religione musulmana, avvertito come continua minaccia. Gerusalemme, come canta il salmo 86, è davvero la città Santa per eccellenza, dimora dell'unico Dio e, per questo, particolarmente sacra alle tre religioni monoteistiche: ebraismo, cristianesimo ed islamismo. "Gerusalemme, Gerusalemme, quante volte ho voluto radunare i tuoi figli, ma non mi avete ascoltato" (cfr. Mt 23,37). Sovente è definita come la Città delle divisioni e delle contraddizioni. Se questo è vero, lo è però anche l'opposto. Sono, infatti, proprio queste contraddizioni, il segno di una strana unità tra i popoli. Solamente là, vanno tutti i fedeli delle religioni monoteiste per pregare. Solamente là, si vedono tutti i cristiani cantare le lodi del Signore e in tutte le lingue. Solamente là, tutte le voci si alzano e proclamano che la tomba del Nazareno è vuota: grande "segno" della Sua Risurrezione, riassunto di tutto ciò che i discepoli hanno visto e raccontato. Nessuno si oppone a questa verità. A Gerusalemme, negli spazi ristretti del Santo Sepolcro, veniamo a conoscenza di tutti i riti. Ed è per questo, che affluiscono tutti i popoli della terra, e sempre e solo per una finalità religiosa: anche in questo, scopro un segno di unità. Gerusalemme città della sorpresa. Bisogna dire che la situazione in Terra Santa è principalmente un "nodo politico". È la complessità di questa politica, che sta decidendo della vita e dell'avvenire di tutto un popolo e di tutto un Paese, se non di tutta la regione mediorientale. Come potrebbe la Chiesa restare silenziosa ed al margine di tutto ciò che capita? Evidentemente, la Chiesa non ha un ruolo "politico" diretto, ma è una voce per la giustizia, la pace, la verità, la riconciliazione ed il perdono. Questa povera voce non è sempre molto compresa ed è spesso giudicata secondo le logiche di schieramento, che vorrebbero la Chiesa o da un lato o dall'altro, a seconda delle mire politiche di ciascuno. Il cristiano però non è mai contro le persone. Crediamo in un Dio di amore e di perdono. Siamo chiamati a scoprire la nostra identità cristiana e personale, attraverso la storia travagliata di Gerusalemme, attraverso i tormenti dei nostri fedeli, per un salto di qualità nella fede ed un rinnovamento delle nostre comunità. Una fede di sola appartenenza sociale ed etnica è insufficiente, non può rispondere alle sfide che quotidianamente si presentano. La Chiesa ha ed avrà sempre il suo posto in Terra Santa. Certo, non ha da offrire soluzioni già fatte, ma almeno possiede una libertà di parola, che non è subordinata a nessun regime politico. Ci troviamo in una posizione delicata, soprattutto per la situazione di conflitto e di grande complessità. Sentiamo il bisogno di ricevere dallo Spirito il dono del discernimento, e confidiamo nelle vostre preghiere per essere più Vescovo per tutti e meno politico. Bisogna credere sempre che la Terra Santa è la terra delle sorprese, tra cui la più grande è quella offerta da Gesù la mattina di Pasqua. Lasciarsi andare al pessimismo potrebbe generare una mentalità fatalistica, che non è al suo posto in Terra Santa. Dopo tutto, Gerusalemme resta la terra della "speranza contro ogni speranza", secondo l'espressione dell'apostolo Paolo (Rm 4, 18), perché in quel luogo l'umanità è stata raggiunta dalla potenza dell'Onnipotente, là è accaduto il fatto che ha cambiato il corso della storia ed ha svelato i veri destini dell'umanità. "La totalità, la trascendenza assoluta di Dio a Gerusalemme si sono riversate nella nostra storia, nella povertà di Gesù, nella vicenda di Gesù, nel frammento di storia che è Gesù. Questo pezzo di storia è il Tutto della storia; Dio si è autocomunicato a noi nella vicenda di Gesù. Questa vicenda è una vicenda storica parziale ed è insieme la totalità della storia umana" (Luigi Serenthà). I cristiani sono sempre stati in questi Paesi, ci sono ancora e ci saranno sempre, malgrado tutte le difficoltà della storia. Abbiamo conosciuto nel passato dei momenti più difficili e, tuttavia, siamo ancora là. Questa è la nostra vocazione. Il nostro avvenire è tra le mani di Dio, ma ciò non vuole dire che bisogna chiudere gli occhi sui problemi reali, che incontrano i cristiani e tutti i popoli della regione. Da qui la responsabilità della comunità internazionale, che dovrebbe operare con il più grande impegno per risolvere i problemi di cui soffrono questi Paesi. Mi sembra che, in questo momento, tutto ciò non stia ancora avvenendo. Sono cosciente della dimensione mondiale di Gerusalemme. L'interesse del mondo è rivolto alla situazione attuale della Città e della Terra Santa. Purtroppo, quanto al conflitto con Israele, prevale oggi un'informazione "pilotata", non obiettiva e tendenzialmente "partigiana". Ogni azione violenta di un kamikaze, ogni missile che è lanciato da Hezbollah suscita una spontanea reazione di condanna e diventa un pasto ghiotto per l'informazione. Spesso, però, si dimentica che cosa precede e segue quel gesto disperato e sempre condannabile. Si deve ugualmente deprecare, anche attraverso l'informazione, ciò che l'ha provocato e così pure la sproporzione delle ritorsioni, attuate magari con l'uso di una forza ugualmente brutale, anche se in apparenza più civile e meno scandalizzante (carri armati, ruspe, bulldozer e l'intervento dell'aviazione militare). Anche il conflitto tra Hezbollah ed Israele, che ha causato gravi distruzioni nel Sud del Libano, con migliaia di vittime, fa parte di una situazione globale dell'intera area, sempre connessa con le irrisolte tragedie di Palestina ed Iraq. Israele vincerà. Come sempre ha vinto tutte le battaglie militari. Finora però non ha mai conquistato né la pace né la sicurezza. La debolezza dello Stato di Israele consiste nel confidare principalmente nell'apparato militare, trascurando gli altri mezzi che regolano la convivenza e i rapporti tra le nazioni: la legalità internazionale. È quindi tempo di pensare ad un altro stile per raggiungere questi traguardi, rispettando l'esistenza dello Stato palestinese e applicando le risoluzioni internazionali. Chi semina occupazione militare, raccoglie sempre una resistenza, anche selvaggia. La situazione libanese è davanti a noi, con tutta la sua drammaticità. Che fare, dunque, per fare di Gerusalemme "ragione ed esigenza di infinito" che culmina nel sospiro? Dio ha guidato il Suo progetto di salvezza su Gerusalemme e da Gerusalemme, cantata dai Salmi e descritta dai profeti come la Città sul monte, a cui affluiranno tutti i popoli della terra. Riconosciamo, valutando queste situazioni, di essere tutti un po' partigiani e spesso testardamente divisi nei giudizi. Il futuro dell'umanità è nel riconoscimento della libertà, così come Dio l'ha voluta per le singole persone e per tutti i popoli. A noi spetta di operare in questo senso, ma anche e soprattutto di pregare per quella pace tanto agognata, attesa e che sembra tanto lontana. Badiamo che la nostra preghiera non sia difettosa, cioè "di parte". La preghiera di intercessione, come quella pronunciata sul Golgota, non esclude nessuno, neppure quelli che "non sanno, oppure sanno molto bene, quello che fanno". Conclusione. Sono arrivato a Gerusalemme nello scorso mese di novembre. Devo cominciare ad imparare molto. In Terra Santa, c'è sempre qualche cosa da imparare. Si deve cominciare a vedere, ascoltare, incontrare, ma soprattutto occorre molto amore, senza limiti e barriere. "Non dimenticheremo Gerusalemme, Città della pace, al di sopra di ogni gioia" (Sal 137, 1-6). La situazione non è disperata. Vi prego di intercedere per chi vive in Terra Santa. "Intercedere - dice il Cardinale Carlo Maria Martini - è un atteggiamento molto serio, grave e coinvolgente; è qualcosa di molto più pericoloso. Intercedere è stare là, senza muoversi, senza scampo, cercando di mettere la mano sulla spalla di entrambi e accettando il rischio di questa posizione" (Verso Gerusalemme, pag.139). È vero che le difficoltà e le sfide sono immense, ma lo sono pure le attese. Ci sono tanti amici di ogni credo, innamorati di Gerusalemme, che ci sostengono con le loro preghiere, la loro amicizia e il loro aiuto materiale, così non c'è più spazio per la paura. Tra questi amici ci siete certamente anche voi qui presenti, che avete condiviso questa mia riflessione. Vi ringrazio per il vostro ascolto paziente, perché certamente non mancherete di sostenere il cammino di quella Chiesa che vi è Madre. Con molta speranza e gioia, guardo all'avvenire, perché ho "il presentimento che l'infinito, un giorno, a Gerusalemme, si manifesterà". Moderatore: Grazie. Adesso io farò a vostro nome un paio di domande ancora a Mons. Twal. Vorrei ricordare un punto che ha citato il Patriarca Coadiutore all'inizio di questa sua meditazione, la dichiarazione del Santo Padre del 23 luglio scorso, all'Angelus, dei tre diritti: il diritto dei libanesi all'integrità e sovranità del loro Paese, il diritto degli israeliani a vivere in pace nel loro Stato e il diritto dei palestinesi ad avere una patria libera e sovrana. Questi sono i tre diritti attorno ai quali ruota la questione del vicino Oriente e la sua soluzione. Non si può sacrificare nessuno. Questi tre diritti devono essere composti tra di loro, noi condividiamo pienamente questa posizione. La condividiamo come cristiani e la condividiamo come italiani, perché il riequilibrio del nostro Paese, dello sviluppo del nostro Paese, dipende in modo radicale dalla pace nel vicino Oriente. Avremo sempre un nord più sviluppato e un sud meno sviluppato, fino a quando non si riaprirà il levante, e il levante ha delle risorse enormi. Se possiamo avere un sogno oggi, quando verranno finalmente composte fra di loro in concordia le grandi capacità culturali, le grandi capacità di intrapresa, le grandi capacità di intermediazione culturali degli ebrei israeliani, dei libanesi e dei palestinesi, si formerà nel vicino Oriente un motore di sviluppo gigantesco, inimmaginabile nelle sue potenzialità. È veramente un peccato, è veramente uno spreco che non si riesca ad arrivare alla concordia fra questo tre straordinari popoli. Ne hanno bisogno loro, ne abbiamo bisogno noi: oggi sono state presenti, ad ascoltare Mons. Twal, numerose autorità civili, religiose, diplomatiche, cristiane e musulmane. Non le cito tutte quante. Faccio solo l'eccezione per il Presidente della Sicilia, l'onorevole Cuffaro, perché la Sicilia è il nostro punto di tramite con il mondo arabo. La Sicilia è una regione che ha un capoluogo di provincia dal nome arabo, Caltanisetta, e molte altre città dal nome arabo: Marsala, Alcamo, Caltagirone. Su due terzi del territorio, la toponomastica è quasi tutta araba. La Sicilia è il grande ponte potenziale della nostra relazione con il mondo arabo. La Sicilia diventerà la Lombardia del Mediterraneo, quando il Medio Oriente sarà in pace, quindi siamo anche per questo partigiani della pace nel levante. Abbiamo invitato questa voce autorevole da Gerusalemme, perché Gerusalemme è la chiave della pace nel levante. Un errore dell'itinerario di pace di Oslo, che in anglo-italiano venne chiamato roadmap, ma io preferisco dire itinerario, è quello d'aver considerato la questione di Gerusalemme una questione regionale, che vuol dire locale. La questione di Gerusalemme non è una questione locale, la questione di Gerusalemme è la chiave di volta di tutto il problema del vicino Oriente. Non si può che partire da Gerusalemme per fare la pace nel vicino Oriente e nel levante. Non si arriva a Gerusalemme, si parte da Gerusalemme. Quindi è molto importante quello che accade a Gerusalemme, siamo lieti di quello che il Patriarca Coadiutore ci ha detto, rispettiamo il suo ruolo molto delicato, quindi lo stile che ha scelto di dare al suo intervento di oggi. Quindi, non gli farò domande politiche ma, di nuovo, domande che riguardano il suo ruolo pastorale. Una prima domanda, Mons. Twal. Quali sono le conseguenze di questa complessità sulla vita pastorale della sua Diocesi Patriarcale? Fouad Twal: Grazie. Ci sono due elementi che rendono difficile la nostra vita pastorale e la nostra libertà di movimento: il Patriarcato comprende la Giordania, la Palestina ed Israele. Sono già tre frontiere che uno deve passare per arrivare al Patriarcato. Il secondo punto sono un centinaio di check-point tra i villaggi palestinesi nel Patriarcato Latino di Gerusalemme, che ci impediscono di fare il ritiro spirituale insieme. Non possiamo prendere un appuntamento con i nostri preti di Ramallah, di Jenin, che non possono uscire o che tardano. È inutile aspettare che arrivino in tempo: chiamiamo alla mattina e arrivano nel pomeriggio. Noi speriamo che questa pace tanto desiderata arrivi, in modo che si possa organizzare la nostra vita pastorale. Non possiamo trasferire un prete da una parrocchia ad un'altra, a causa di queste divisioni, di questi check-point, di queste carte di soggiorno che tanti non hanno o, se le hanno, sono sempre da rinnovare. Chiediamo alle autorità di prendere in considerazione questa situazione per il bene di tutti, per la pace di tutti. Moderatore: Adesso le faccio una domanda a cavallo tra il pastorale e il politico, poi lei mi dirà se vuole rispondere o no. Nel vicino Oriente c'è già una presenza di presidi delle Nazioni Unite, e in Libano ci sono da decenni: non sembra una presenza molto efficace. Hanno assistito al passaggio di numerosi eserciti, senza potere e volere fare nulla. Adesso si parla di inviare nella regione delle truppe di pacificazione della Nazioni Unite. L'Italia dovrebbe dare un contributo consistente a queste truppe. Lei, come valuta questa iniziativa della comunità internazionale? Fouad Twal: Non è troppo "spirituale", questa domanda, ma vediamo... Moderatore: Siccome il suo Patriarcato, a causa di questa presenza, vedrà aumentare di molto il numero dei cristiani… Fouad Twal: La ringrazio. A proposito delle missioni delle Nazioni Unite, c'è in Italia una discussione all'interno dei partiti che serve al consumo locale: non dobbiamo prenderla troppo seriamente. Poi c'è una dimensione europea, che ci auguriamo si realizzi per due motivi. Il primo motivo è che abbiamo bisogno, nel sud del Libano, della presenza di queste truppe internazionali. Nel Medio Oriente, per la questione palestinese, l'Europa non ha giocato un ruolo se non finanziario, di aiuto: le soluzioni politiche erano nelle mani del Governo di Israele, Gran Bretagna e America. Siamo contenti che l'Europa abbia adesso un ruolo definitivo e chiaro da giocare nel Medio Oriente. Anzi, mi auguro che queste truppe internazionali vengano nel sud del Libano, vengano anche a Gaza, per dare più sicurezza ad ambedue le parti e fare assaggiare questa pace che aspettiamo e che non arriva. Che vengano nel sud del Libano, che vengano a Gaza e in Palestina, per la gioia di tutti, se è possibile. Grazie. Moderatore: Grazie e arrivederci