Diventa socio
Sostieni la nostra attività
Contatti
Legge 194 Sono troppe, dopo ormai trent'anni, le donne che hanno abortito, perché l'aborto sia sentito ancor oggi come espressione di libertà, come la possibilità di eliminare, molto semplicemente, "un grumo di cellule e di sangue chiamato embrione", secondo le conoscenze, un po' sbrigative, leggermente fasulle, apparecchiate ad uso del popolo, ad esempio, da Mariuccia Ciotta in un editoriale del Manifesto (29/12/2005).
Sono troppe anche le donne che hanno vissuto il trauma del post aborto, alcune sino al suicidio, o gli incubi di un figlio sacrificato, magari solo per le insistenze di un medico che minacciava possibili malformazioni, o perché qualcuno aveva spiegato che l'operazione è così facile ed indolore, "come togliere un neo". Oggi, oltre trent'anni dopo l'introduzione in Italia della legge 194/'78 è giunto il tempo di riconoscere la verità: l'aborto è un omicidio, per di più legalizzato. L'espressione, pur molto forte, non deve stupire: persino Emma Bonino, leader storica del movimento abortista, riconosce la liceità di una simile posizione. Detto questo, occorre chiedersi: la legge 194 è stata applicata integralmente? Oppure la si è interpretata in chiave il più possibile abortista? E ancora: è vero che la 194 ha, per così dire, "funzionato"? E' stata rispettata, e perseguita, anche nella sua parte preventiva? Ha veramente sconfitto l'aborto clandestino? Ha tutelato la maternità, come si propone nel titolo?
Vediamo brevemente alcuni punti critici, che denunciano la necessità, almeno, di un qualche ripensamento: la 194, all'articolo I, afferma che l'aborto "non è mezzo per il controllo delle nascite", né per la "limitazione delle nascite". Eppure sappiamo con certezza che in molti casi non è così, dal momento che vi sono diverse coppie (non scrivo "donne", a ragion veduta….) che abortiscono da due sino a sei volte: "nel 2002 gli aborti ripetuti sono stati il 24,2% del totale…il 17% circa delle donne sono alla seconda esperienza, il 4,7% alla terza, l'1,5% alla quarta, lo 0,8 alla quinta o più" ("Corriere della Sera", 11/9/2004).
Forse, allora, occorre fare qualcosa, dal momento che non è facile credere che in tutti i casi di aborto ripetuto si possa parlare di "serio pericolo per la salute fisica o psichica" della donna, e neppure è ipotizzabile che nel nostro paese vi sia "necessità", a seguito di uno stupro, di una malattia della madre, di condizioni oggettivamente gravi, di un aborto, statisticamente, ogni quattro gravidanze! Bisogna poi ricordare che, contro lo spirito, quello dichiarato, della legge, sono sempre più numerosi gli aborti selettivi, eugenetici: del resto le pratiche di fecondazione artificiale e la cultura imperante hanno contribuito a diffondere sempre più l'idea che i genitori abbiano diritto di scegliere i figli con criteri eugenetici, predefiniti, financo in considerazione del sesso dei nascituri.
Anzi, secondo Franco Chiarenza, vicepresidente della Fondazione Einaudi, che si esprime con un linguaggio generico e superficialissimo, per dire cose terribili, esisterebbe un vero e proprio "dovere" dei genitori di eliminare "un feto certamente destinato a divenire un essere umano condannato a menomazioni e sofferenze (Quali, di grazie?ndr)" (il Foglio, 12/7/2005). I risultati di questa forma mentis (se forma può essere definita) sono sotto gli occhi di tutti. Afferma il dottor Claudio Giorlandino, direttore scientifico di Artemisia, favorevole all'aborto legale, di aver visto "coppie scegliere l'aborto solo perché il feto aveva sei dita ai piedi (operabilissime, come è ovvio)", e addirittura di aver proceduto in questo modo con "aborti a ripetizione" ("la Repubblica delle donne", 24/5/2003). E aggiunge che vi sono coppie che "hanno fatto figli per tentativi. Ovvero, abortivano ogni volta che le analisi segnalavano la presenza della malattia (recessiva grave, ndr), per portare poi a termine solo la gravidanza del bimbo sano".
Si vuol far qualcosa, dunque, per evitare che succeda tutto questo, e che, come in Inghilterra, si finisca all'assurdo di eliminare un figlio per un semplice labbro leporino, spacciandolo per aborto terapeutico? ( "Inghilterra, boom di aborti per avere solo figli perfetti", il Giornale, 5/6/2004). - la legge 194 all'articolo 2 prevede che i consultori contribuiscano a "far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione di gravidanza": eppure vi sono moltissimi casi in cui i consultori si limitano a distribuire certificati per abortire, senza svolgere compiutamente il loro ruolo, a volte anche per mancanza dei mezzi necessari (G. Garrone, Ma questo è un figlio, Gribaudi). Inoltre allo stesso articolo è previsto che i consultori possano "avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità dopo la nascita": perché allora vi sono forze politiche che alzano barricate contro la valorizzazione, bisogna capire come, dei Centri di Aiuto alla Vita?
- la legge 194, si diceva, eviterà il ricorso all'aborto clandestino. Oggi invece l'aborto clandestino rimane vivo e vegeto, perché è la mentalità abortista ad essersi diffusa: di conseguenza, come racconta Chiara Valentini sull'Espresso del 10 novembre 2005, questo fenomeno, benché volutamente ignorato, non cessa di esistere. E' anzi in continua crescita, sia tra la popolazione delle immigrate che tra le nostre giovanissime e le donne del meridione. A ciò si aggiungano i casi in cui, violando la legge, alcune cliniche compiacenti fanno "passare per aborto spontaneo" un aborto chirurgico provocato, o violano i limiti di tempo previsti dalla 194, dichiarando il falso. Non mancano gli episodi, infine, in cui operatori ospedalieri o dei consultori hanno consigliato delle donne, quelle che avevano oltrepassato i termini legali per abortire, di recarsi in cliniche in cui gli aborti venivano fatti, senza scrupolo alcuno, sino al settimo, ottavo mese, contra legem (la Stampa, 11/4/2000).
-l'articolo 7 della 194 prevede che quando il feto è potenzialmente vitale fuori dell'utero l'aborto possa essere praticato solo e soltanto "quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna": poiché oggi, a differenza del passato, vi sono feti che sopravvivono anche a 23 settimane, occorre evidentemente, di norma, evitare l'aborto oltre questa data, nel rispetto della legge stessa, e per impedire che si verifichino sempre più spesso casi di bambini che nascono dopo un tentato aborto, con tutte le conseguenze che ne derivano. Il problema è stato sollevato in più occasioni, senza alcun risultato, ad esempio dal dottor Danilo Morini, del Consiglio Superiore di Sanità, che così scriveva: "In questi ultimi due mesi (al San Matteo di Pavia, ndr.) abbiamo potuto verificare due casi: uno è deceduto dopo pochi giorni, ma in un altro caso di interruzione volontaria …il feto era vivo e vitale e tuttora sopravvive…" E concludeva: "pur non volendo dare giudizi sulla legge e sulla opportunità o meno di modificarla, si ha la fondata sensazione che l'ultimo comma dell'articolo 7 non abbia avuto in questi anni la dovuta attenzione applicativa" (Alto Adige, 17/3/1999). sempre rimanendo all'interno della 194, occorrerebbe rendere più chiaro il concetto di informazione alla coppia, e alla donna: viene realmente spiegato cosa sia l'aborto, quale sia la realtà del feto, quali siano gli effetti dell'operazione sul fisico e sulla psiche di chi vi è coinvolto? Rossana Cirillo, ginecologa di Genova che ha praticato aborti per 25 anni, in una intervista a Stefano Lorenzetto, comparsa sul Giornale del 4/12/2005, dichiarava: "Non avere la certezza che la donna di fronte a me era consapevole di ciò che comportava un aborto, mi ha spaventato. Mi sono chiesta: ma cosa sto facendo?".
- infine la stessa applicazione della 194 deve ribadire l'illiceità della Ru 486, il cui uso sarebbe in aperto contrasto con tutto lo spirito della legge, nata, si disse, con lo scopo di socializzare l'aborto, di evitare che rimanesse un evento privato, solitario, clandestino. Inoltre l'uso della pillola abortiva urta spesso con la disposizione, presente all'articolo 5, che prevede i sette giorni di ripensamento: infatti la Ru 486 può essere utilizzata entro 49 giorni, ma molto spesso la donna, a quella data, non è neppure consapevole di essere incinta. Come potrà, allora, incalzata dalla fretta, avere il tempo per riflettere bene sulla sua decisione? Infine, la legalizzazione della pillola abortiva contrasterebbe con l'articolo 15 della 194, che prevede l'adozione delle tecniche "più rispettose dell'integrità fisica e psichica della donna, e meno rischiose per l'interruzione di gravidanza": la Ru 486, come ampiamente dimostrato da Eugenia Roccella, femminista storica, e Assuntina Morresi, chimico dell'università di Perugia, è assai più pericolosa, e dolorosa, sia per il fisico che per la psiche della donna, dell'aborto chirurgico (lo conferma Alessandra Kustermann, ginecologo non obiettore del Mangiagalli di Milano, allorchè sostiene che "con l'Ru 486 c'è anche il dolore fisico, che almeno con l'aborto chirurgico non c'è", vedi Micromega, n.7, 2005).
Legge 40. La legge 40/2001, che regola la fecondazione artificiale in Italia, è nata da un compromesso politico, comprensibile, realistico, anche in qualche aspetto lodevole, ma non certo dal pensiero cattolico. Gli aspetti positivi di tale legge sono il divieto di tutta una serie di aberrazioni che erano permesse nel nostro paese, in precedenza, per assenza di qualsiasi legge. La legge 40 infatti vieta la creazione di ibridi, la fecondazione eterologa, l'utero in affitto, l'impianto di più di tre embrioni, la sperimentazione occisiva sugli embrioni, le banche e la compravendita di seme e di ovuli…
L' aspetto negativo della legge consiste invece nella possibilità concessa dalla stessa di accedere alla fecondazione artificiale omologa (cioè con seme appartenente alla coppia). Evidentemente una legge che separi l'atto coniugale, d'amore, dall'atto procreativo, intimamente connesso, non corrisponde alla natura umana e neppure alla morale cattolica. Le conseguenze di questa scissione innaturale sono dannose e lesive della dignità umana. Infatti la legge 40, permettendo l'omologa, acconsente all'eliminazione procurata, prevista, calcolata, di un numero enorme di embrioni e dà all'uomo un potere che non gli appartiene.
Inoltre non può essere considerata una legge cattolica, e neppure logica, perché apre alle coppie conviventi, privando così il nascituro di alcuni diritti che è lecito ritenere fondamentali (la certezza di una famiglia). Non lo è, infine, perché permette l'embrioriduzione o riduzione fetale, e cioè l'aborto, ad opera di una coppia che ha voluto il figlio a tutti i costi; perché determina la possibilità, anche con tre embrioni, di parti trigemini, e quindi rischiosi per la madre e per loro stessi; perché favorisce la crioconservazione dei gameti e, in certi casi, anche quella degli embrioni; perché consente che embrioni "difettosi", spesso a causa delle tecniche che li hanno prodotti, vengano poi scartati e quindi uccisi….