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Tauran: una nomina pontificia molto significativa.
Di Rassegna Stampa - 13/07/2007 - Esteri - 1206 visite - 0 commenti
J.L. Tauran, è stato nominato dal papa al Pontifico Consiglio per il Dialogo. E' una nomina che dice molto dell'idea che il pontefice ha del Medio Oriente. Infatti Tauran è un ex ministro degli esteri vaticano, convinto che la questione palestinese sia la madre di tutte le guerre. Sentiamo cosa diceva.

Il cardinale Jean-Louis Tauran è stato per tredici anni "ministro degli Esteri" della Santa Sede prima di venir elevato alla porpora nell'autunno scorso. Ha visto esplodere la crisi degli ostaggi a New York, dove è in visita. Come giudica questa nuova crisi in Iraq? "E' molto grave. Quando si vedono queste immagini non è un progresso ma un regresso. La Santa Sede ha sempre sostenuto lo ius in bello. Anche quando si fa la guerra, c'è un modo di condurla che rispetta la legge. La reazione del presidente Bush è stata molto chiara. Normalmente l'esercito americano non si comporta così, ma ciò che abbiamo visto è deplorevole". Durante il dibattito precedente alla guerra alcuni avevano sottolineato il rischio che l'intervento, con i suoi effetti, avrebbe complicato la lotta al terrorismo invece di aiutarla. "Certo, la posizione del Papa è stata molto chiara: la violenza genera più violenza, e la guerra più guerra". Si stanno realizzando quelle previsioni? "Certamente il Papa non parla a vuoto. Aveva delle ragioni, soprattutto su questo concetto della guerra preventiva: ora si vede molto bene che non ha eliminato il terrorismo". Ma ora che la guerra è avvenuta, la Santa Sede appoggia il processo per stabilizzare l'Iraq? "Sulla legittimità del conflitto si scriveranno bellissime tesi, ma ormai il fatto è compiuto. Adesso dobbiamo guardare al futuro, e vedere come aiutare il popolo iracheno a ritrovare la sovranità". Come si può raggiungere questo obiettivo? "Ogni componente della società deve essere consultata, perché il governo non può essere imposto dall'esterno. Grazie a Dio adesso tutti capiscono che serve un ricorso alla comunità internazionale nel suo insieme. Questo è in armonia con la Carta dell'Onu. L'Iraq ha bisogno di ritrovare senza indugio la sua sovranità". Bisognava tenere le elezioni prima di passare i poteri? "Non ho gli elementi per dirlo, ma il voto è : necessario perché gli iracheni devono decidere il loro futuro e riconoscersi nel nuovo governo. Deve essere l'esecutivo che piace a loro, non agli Stati uniti". La data del 30 giugno per il passaggio dei poteri è realistica? "Non lo so, ma comunque è qui che serve una concertazione internazionale, perché la guerra si può lanciare da soli, ma la pace va fatta tutti insieme". Volete una nuova risoluzione dell'Onu per approvare il governo e creare una forza multinazionale? "Sì, purché sia una forza internazionale che rappresenti l'intera comunità. Ma sarà una cosa molto difficile da mettere in piedi. Serviranno migliaia di uomini e non so quanti Paesi sono disposti a questo sforzo". Che cosa bisognerebbe fare, secondo lei, per contrastare in maniera più efficace il terrorismo? "Non si batte con la violenza, ma capendo perché alcune persone ricorrono a quest'arma indegna dell'uomo. Ci sono dei motivi, vuol dire che le giuste aspirazioni di alcuni popoli non sono soddisfatte. Poi la mancata risoluzione del conflitto israelo-palestinese è la madre di tutte le crisi. Una volta sciolto questo nodo, il Medio Oriente cambierebbe. Finché non verrà superato, ci sono molte probabilità che il terrorismo continui e si allarghi". Come giudica la situazione tra israeliani e palestinesi? "Ho l'impressione che invece di progredire andiamo indietro. Uno si domanda se non siamo passati da un processo di pace a un processo di guerra, una specie di strategia del caos. Intanto le persone soffrono, da una parte è dall'altra, perché non possiamo dimenticare la popolazione israeliana che vive con l'incubo quotidiano del kamikaze. Serve una presenza amica che aiuti i palestinesi e gli israeliani a parlarsi. Non una forza militare di interposizione, ma osservatori internazionali". Gli Stati Uniti sono ancora un mediatore credibile? "Preferisco non commentare". Qual è il suo giudizio sul muro che Israele sta costruendo? "Ognuno ha diritto di costruire un muro per proteggersi quando si sente in pericolo. Ma deve farlo nel proprio giardino, non in quello del vicino". Quale futuro vorreste per Gerusalemme? "La Santa Sede ha sempre perorato uno statuto speciale, internazionalmente garantito, per la città intra muros che contiene le parti più sacre alle tre religioni, affinché in futuro nessuno possa rivendicare il controllo esclusivo di questo patrimonio spirituale dell'umanità". La democrazia può attecchire in Medio Oriente? "Certo. Le intuizioni fondamentali della democrazia sono valide per tutti i sistemi, ma in armonia con la storia. Bisogna adattarle alla realtà locale". A cura di P. Mastrolilli (La Stampa 05.05.04)

 

Tutte le crisi dipendono dal problema israelo-palestinese" Roma, 27 giu. (Apcom) - Il conflitto in Medio oriente "non è una guerra di religione": lo sottolinea il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente in pectore del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. "E' molto importante sottolineare che non si tratta di una guerra di religione, la religione non è al principio della crisi", ha detto Tauran intervenendo ad una tavola rotonda organizzato dalla rivista Aspenia, a Roma. "Tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI c'è continuità", ha rimarcato il porporato francese che è stato a lungo ministro degli esteri della Santa Sede sotto Wojtyla, "forse con la sfumatura che Benedetto XVI è molto preoccupato dalla precarietà dei cristiani in Medio Oriente". Un problema di fronte al quale, secondo Tauran, "la comunità internazionale dev'essere più presente per aiutare le parti in conflitto a sedersi ad un tavolo per guardarsi, ascoltarsi". L'analisi del cardinal Tauran è che "fintantoché il problema israelo- plestinese non è risolto, tutte le crisi del Medio oriente continuano. Le persone vivono continuamente nella guerra. Ricordo quando ero in Libano - ha raccontato il porporato francese - e i ragazzini giocavano alla guerra con piccoli mitragliatrici di legno, erano immersi in questo clima di guerra". Al tempo stesso, ha sottolineato, "non ci sarà pace se la questione dei luoghi santi non sarà affrontata in modo adeguato". Da questo punto di vista, secondo Tauran la città antica di Gerusalemme "dovrebbe essere ogetto di uno statuto speciale internazionalmente garantito", perché "solo la comunità internazionale può garantirne la stabilità e conservare il carattere unico e sacro" del luogo sacro a cristiani, ebrei e musulmani.

 
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