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Solzenicyn, novant'anni dopo la rivoluzione comunista.
Di Rassegna Stampa - 19/06/2007 - Storia - 1185 visite - 0 commenti
Di Mara Quadri Il 2007 è il novantesimo anniversario del 1917, anno fatale con le sue due rivoluzioni - di Febbraio e di Ottobre -, e per quanto di fronte ai problemi globali di oggi quello del comunismo sembri un capitolo morto e sepolto, in realtà troppe cose essenziali rimangono ancora da capire nel tragico complesso di circostanze che hanno fatto nascere il primo totalitarismo mondiale. Aleksandr Solzenicyn, "grande vecchio" della cultura russa, ha appena ridato alle stampe (mezzo milione di copie) un libretto di novanta pagine, Riflessioni sulla rivoluzione di Febbraio, in cui analizza dati e fatti della cosiddetta "seconda rivoluzione" russa (successiva a quella del 1905 e precedente a quella di Ottobre), un momento storico brevissimo ma denso di eventi capitali, come la caduta del vecchio regime che ha spalancato le porte al colpo di mano bolscevico dell'Ottobre. In realtà questo lungo articolo era già stato scritto e pubblicato molti anni fa, nel 1980-83, quando lo scrittore aveva appena concluso il Terzo nodo (quello, appunto, sui mesi di febbraio-marzo 1917) della Ruota rossa, la grande epopea sulla rivoluzione russa. Perché abbia scritto un simile articolo, e perché lo abbia ripubblicato proprio ora, lo dice lui stesso nell'introduzione (datata febbraio 2007): «In quel periodo, sovrastato com'ero da un materiale documentario smisurato, sentivo l'esigenza organica di esprimere in forma concentrata le conclusioni tratte da quella massa di eventi storici amari. Resi ancora più amari dal fatto che oggi, a un quarto di secolo di distanza, queste conclusioni possono essere applicate in parte alla nostra attuale, inquietante mancanza di solidi principi». Il lungo articolo è dunque direttamente collegato al romanzo, e ha lo scopo di tirare le fila del poderoso lavoro di raccolta e di analisi del romanzo, per l'esigenza che lui definisce "organica" di capirne il senso unitario. Inoltre lo scrittore, ormai prossimo alla novantina, ha deciso di riproporre l'articolo nella speran za di richiamare i suoi compatrioti a una seria riflessione sul passato e sull'oggi. Dalla sintesi dei fatti Solzenicyn ha tratto le risposte a una serie di interrogativi essenziali sulle cause dei fatti del febbraio 1917, sul ruolo che questi hanno avuto nel preparare l'Ottobre, sui loro autori. E più in generale ha cercato di rispondere alla domanda se sia stata o no una rivoluzione. L'aspetto più interessante della sua ricostruzione rimane comunque la posizione "interrogante" di fronte alla storia. Con il suo stile più vicino all'invettiva che alla trattazione accademica, con l'abbondanza di giudizi e valutazioni morali, Solzenicyn sembra molto lontano dai moderni canoni di critica storica oggettiva. Tuttavia in questo breve trattato ha voluto affermare esplicitamente e, mi sembra, in modo convincente che non solo è lecito ma è necessario cercare insistentemente nei fatti il significato, perché, come ha detto anche altre volte, «i fatti da soli non bastano a capire». I fatti da soli possono essere ordinati in inutili sequenze senza contenuto e senza valore. «La mente umana ricerca sempre le cause di ogni evento. E non è onesto sottrarsi al dovere di nominarle, così come si è capaci». Questa responsabilità morale dell'uomo davanti alla memoria storica è un tema che gli sta molto a cuore, su cui è tornato in diverse occasioni in modo esplicito e implicito; è il motivo ispiratore dello stesso Arcipelago Gulag. Lo scrittore cerca anche di cogliere, in ogni nodo della storia, il ruolo centrale dell'uomo, della sua responsabilità personale senza la quale l'io umano finirebbe emarginato nel gioco dei "grandi sistemi"; Solzenicyn constata nei fatti che anche i più grandi movimenti storici hanno sempre degli attori individuali. Questo metodo passa attraverso la conoscenza dei fatti, e non c'è dubbio che Solzenicyn li prenda seriamente in esame, anzi ne ha raccolto una messe enorme, fino ai dettagli più minuti, fino alla miniatura, per ricostruire il più esattamente po ssibile il concatenarsi degli eventi e l'ambiente. Si è servito sempre delle fonti originali - testimonianze, memorie, lettere, diari -, e non solo dei personaggi di prima grandezza, ma anche di molti uomini comuni; ha utilizzato anche giornali, dispacci militari e governativi eccetera. Il fatto che tenda a formulare giudizi di valore non vuol dire che pieghi i fatti alla propria interpretazione, i dati reali restano il fondamento incontrovertibile ma non gli basta farne la descrizione esterna, quel che gli preme è rintracciare i legami complessi fra le azioni, soprattutto quelli di causa-effetto, e gli preme distinguere nella molteplicità delle cause quelle essenziali da quelle contingenti: «Quando parliamo di cause dobbiamo, sia bene inteso, considerare le circostanze remote, di natura profonda, prolungate nel tempo, che hanno reso il colpo di Stato realizzabile in linea di principio, e non le scosse che lo hanno provocato immediatamente. Le scosse possono distruggere solo un sistema instabile. Ma perché, appunto, era instabile il sistema?» CAUSE IMMEDIATE. A partire da questa domanda essenziale Solzenicyn passa in rassegna i fatti avvenuti nel breve giro di alcuni giorni, tra il 23 febbraio e il 10 marzo 1917 - lo scoppio dei disordini nella capitale il 23 febbraio, la ricostituzione del soviet di Pietrogrado e la nascita del governo provvisorio il 28 febbraio, l'abdicazione dello zar il 3 marzo -, cercando di individuare dove stava la debolezza radicale del sistema monarchico, e di verificare se le risposte tradizionali reggono alla prova dei fatti. La causa di questa instabilità era la guerra mondiale? Era lo sfruttamento economico? Era l'attività sovversiva dei gruppi rivoluzionari? Secondo Solzenicyn non è così, tutti questi elementi hanno avuto un ruolo importante nello scuotere il regime, ma non sono stati che l'epifenomeno di una causa maggiore. Così, ponendosi via via domande sempre più specifiche, incomincia a discernere nel flusso degli eventi una logica profonda che va oltre la cieca casualità, ma anche oltre la "macchinazione segreta", e che deriva invece dalla somma delle singole scelte umane, anche lontane nel tempo. Per mettere meglio in risalto il ruolo giocato in ogni momento dalla libertà umana, che può indirizzare la storia in un senso piuttosto che in un altro, Solzenicyn ricorre a un espediente insolito: alterna continuamente ai fatti reali i "se", costruendo ipotesi alternative alle scelte storiche effettive. Non è per il gusto peregrino di esercitare la fantasia: «L'esame delle varianti storiche certe volte ci può aiutare a cogliere meglio il senso dell'accaduto», ossia mette meglio in risalto che nessuna scelta, nessun accadimento del febbraio 1917 (e in genere di ogni momento storico) è stato di per sé fatale, predeterminato, necessario, e che c'è sempre stata, ad ogni stadio, la possibilità di agire altrimenti. Lo illustra molto bene il caso di Nicola II, l'eroe negativo di tutta questa vicenda: Solzenicyn mette a confronto le sue scelte effettive con le alternative reali che ogni volta aveva sottomano; ad esempio, Nicola abbandona inconsultamente il fronte per riunirsi alla famiglia, e i generali lasciati a se stessi finiscono, il 1° marzo, per essere gli unici a chiedere la sua abdicazione; se invece lo zar fosse stato presente, i generali non avrebbero mai osato tanto. Oppure, se avesse procurato di tenere sotto controllo le ferrovie e il telegrafo, avrebbe troncato i collegamenti fra gli sparuti gruppi eversivi delle due capitali, impedendo loro di coordinare le proprie azioni in un momento molto critico in cui i disordini stavano per afflosciarsi. E ancora, se avesse fatto arrestare gli attivisti più pericolosi, approfittando del fatto che i disordini avvenivano di giorno mentre la notte tutti rientravano a casa propria, avrebbe decapitato il movimento rivoluzionario proprio nel momento in cui stava incominciando a organizzarsi. Questi e molti altri "se" danno tutta la portata della personale responsabilità dell'imperatore nel far sì che dei disordini confusi e localizzati diventassero una rivoluzione irreversibile. Tutte le scelte sbagliate e le omissioni di Nicola rientrano nelle cosiddette cause immediate. Per quanto riguarda le cause immediate, in sintesi enuclea due centri fondamentali dell'azione: monarchia e blocco progressista. La monarchia è crollata per l'indecisione e l'irresponsabilità dello zar, e per l'assoluta mancanza di sostegno da parte delle varie componenti dell'establishment imperiale; il blocco progressista ha vinto non per la propria forza ma per la debolezza del vecchio ordine; in realtà non ha portato alcun beneficio e valore democratico perché «le sue idee erano banali e i suoi leader delle nullità». All'interno di questi due centri principali ci sono poi tanti altri elementi particolari di grande interesse, come ad esempio il fatto che Nicola II era «un cristiano sul trono», ma un cristiano che, avendo perso la cognizione autentica della fede, aveva aggravato, invece che sciogliere, i nodi del suo governo - per una mal intesa concezione dell'unzione divina, un mal inteso attaccamento alla famiglia, un mal inteso senso di sacrificio. Sulla coscienza del sovrano, infatti, pesava ancora il senso di colpo seguito alla "domenica di sangue" del 1905 (quando i soldati spararono sulla folla inerme avendo lui lasciato ad altri l'onere di decidere) e per questo riteneva giusto non fare resistenza ai violenti, cosa che lo indusse a deporre inopinatamente il fardello del potere, gettando il paese nel caos e provocando, invece della pacificazione sperata, una catena infinita di violenze («La dinastia si è suicidata per non provocare spargimenti di sangue o, Dio ci scampi, una guerra civile»). Ma se veramente il potere gli era stato affidato da Dio, commenta Solzenicyn, non poteva rinunciarvi di propria volontà: «Uno zar debole ci ha traditi. Ha tradito noi tutti con tutto ciò che ne è seguito». Ma le responsabilità di Nicola s ono anche più ampie: ad esempio quella di essersi circondato di ministri e generali assolutamente incapaci, che nel momento del bisogno non hanno saputo dargli consigli sensati: «Come è stato possibile, con una cecità così sorprendentemente granitica, scegliere dal mazzo per tutte le cariche ministeriali e militari soltanto i peggiori, soltanto i più infidi?». E in pochi giorni tutta questa schiera di nullità era passata «dalla precedente prosopopea fossilizzata a una febbrile incertezza». Accanto alle responsabilità dell'imperatore ci sono quindi anche quelle di tutto l'establishment, e Solzenicyn elenca chi, pur essendovi tenuto per posizione, convinzioni e giuramento, non ha sostenuto la monarchia: il governo, la Duma, i generali, le organizzazioni monarchiche, l'intera amministrazione statale, i membri della corte e l'aristocrazia, la Chiesa. INDEGNITÀ DELL'OPPOSIZIONE. Tuttavia in questo debutto della tragedia il ruolo negativo non spetta solo ai perdenti, Solzenicyn mette in rilievo anche l'assoluta inconsistenza, impreparazione e indegnità morale del blocco progressista, dai liberali ai gruppi rivoluzionari, con i rispettivi organi politici: la Duma, il governo provvisorio e il soviet dei deputati del popolo. Basta considerare alcune azioni del governo provvisorio per convincersi di quanto sia esatto il giudizio impietoso di Solzenicyn: in un Paese che era sbandato e preda dei disordini il governo sciolse tutte le amministrazioni locali, sciolse anche la polizia, e liberò la massa dei criminali comuni con un'amnistia generale. Demagogia irresponsabile che precipitò il paese nel caos («Le sue idee erano banali e i suoi leader delle nullità»). Solzenicyn elenca uno per uno i dodici membri del governo provvisorio, descrivendone in pochi tratti le gravissime carenze (definisce Kerenskij un arlecchino ), e salvandone solo uno, Andrej Šingarev, che non a caso verrà ucciso nel 1918. Anche da questa parte della barricata non troviamo altro che un apporto negati vo: «Il ruolo storico degli uomini politici del Febbraio si ridusse unicamente a non lasciare che la monarchia si difendesse, a impedire che combattesse direttamente contro la rivoluzione». La pura negatività accomuna il governo provvisorio e il soviet dei deputati del popolo, il quale per Solzenicyn si è reso colpevole di un'abdicazione non meno grave di quella imperiale: «L'abdicazione del soviet in favore del bolscevismo. Nella notte fra l'1 e il 2 marzo Pietrogrado perse la Russia stessa, per settant'anni e passa». Abbiamo così la Duma esautorata dal governo provvisorio, questo emarginato dal soviet, e il soviet supino davanti ai bolscevichi: questo l'«esito confuso e squallido del secolare "Movimento di liberazione" iniziato coi decabristi", che tante vittime aveva prodotto, e che aveva corrotto l'intera Russia!». LA VITTORIA DEL CAMPO. Cosa è successo dunque nel febbraio 1917, per far sì che non ci fossero vincitori? Cosa aveva reso la Russia così instabile? Il lavoro di ricostruzione analitica di quei giorni cerca la risposta a questo interrogativo fondamentale. L'interpretazione storica più accreditata descrive la rivoluzione di Febbraio come un'improvvisa esplosione popolare in parte spontanea e in parte manovrata dai gruppi rivoluzionari, provocata dalla penuria alimentare nella capitale e dalla cattiva conduzione della guerra al fronte, e sfociata in una radicale svolta democratica. Su questo punto cruciale Solzenicyn non ha dubbi: non ci troviamo di fronte a una rivoluzione nel senso classico (di quelle fomentate e dirette dai gruppi rivoluzionari, secondo i cliché storiografici), bensì a una "rivoluzione a decorso lento", costruita nel tempo da una mentalità e una cultura radicali: «La rivoluzione è il caos con un perno invisibile. Può vincere anche senza essere diretta da nessuno». Questo spiega come mai le azioni spontanee e disordinate compiute da soggetti diversi in luoghi diversi abbiano cooperato a ottenere un unico risultato, la caduta dell a monarchia, tanto da creare l'impressione che seguissero un piano preordinato: avevano tutte un "perno invisibile" - la forza reale che si è esplicata in quei giorni fatali, la vera causa sostanziale che stava a monte di tutte le cause immediate, delle varie "scosse". Questa causa non materiale ma spirituale, Solzenicyn la chiama "vittoria del Campo": «Non è stato dal punto di vista materiale che ha ceduto il trono, - ben prima aveva ceduto lo spirito, il suo e quello del governo… La rivoluzione di Febbraio fu perduta dal potere ancor prima dell'inizio della rivoluzione stessa». Il "Campo" di cui l'autore parla è - come per il campo magnetico - la sfera d'azione di una forza, in questo caso l'ideologia liberal-radicale che era andata penetrando nel tessuto civile per decenni, contagiando non solo i progressisti ma anche gli ambienti aristocratici. La "generale sudditanza della classe colta dal possente Campo liberal-radicale" per anni si era diffusa senza incontrare ostacoli, aveva contagiato «le cerchie dell'amministrazione statale, gli ambienti militari, e persino il clero, l'episcopato (la Chiesa tutta, nel suo complesso, era ormai impotente di fronte al Campo)». Anche il governo, abbandonatosi a una rassegnata impotenza, «negli ultimi mesi ormai non credeva più in se stesso né in alcuna delle proprie azioni». Di fronte allo sconquasso morale del vecchio regime e del blocco progressista, possiamo dire che nei giorni di febbraio-marzo l'unica vincitrice fu questa ideologia demolitrice dell'intelligencija. L'ultimo passo con cui Solzenicyn conclude la sua analisi è quello di risalire ancora più indietro, dal Campo alla "causa delle cause" da cui lo stesso Campo dipendeva: «Ricordo molto bene che negli anni Venti molti vecchi di campagna affermavano con sicurezza: "I disordini ci sono stati mandati perché il popolo ha dimenticato Dio". Penso che questa spiegazione popolare estemporanea sia più profonda di qualsiasi conclusione cui siamo pervenuti alla fine del X X secolo grazie alle più raffinate indagini scientifiche. Direi di più. Se accettiamo questa spiegazione non dobbiamo più sorprenderci che la portata della rivoluzione russa (e delle sue conseguenze) sia stata ben più che solo russa, e abbia fatto da catalizzatore dell'intera storia mondiale nel XX secolo».
 
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