Indulto e carriere devianti
Tra le varie opinioni a proposito dell’indulto, comparse di recente sui giornali e nei salotti politici, voglio segnalarne una proveniente da un sociologo misconosciuto (per lo meno a chi scrive), il quale, in sintesi, ha definito l’indulto un provvedimento doveroso e naturale, essendo il crimine un elemento strutturale della nostra società, che è “da sempre insensibile ai bisogni degli ultimi e dei diversi”.
Questa posizione rappresenta bene quella che possiamo chiamare la cultura giustificazionista della devianza, un atteggiamento semi-patologico che arriva ad allucinare la realtà per i propri fini di buonismo sociale. La realtà, invece, è molto più prosaica: il crimine diviene strutturale alla società quando la criminalità diventa una vera e propria carriera, una carriera deviante con connotati simili ad un qualsiasi investimento sociale ed esistenziale; con i suoi rischi, i suoi profitti, le perdite, i fallimenti. Se le perdite superano i profitti, la carriera deviante può interrompersi attraverso meccanismi che non sono solo espiatori. Ma se nella carriera deviante i profitti sono costanti, se l'ambiente sociale è tollerante e culturalmente “giustificazionista”, se il sistema sanzionatorio è inefficiente (condanne non scontate, processi infiniti, indulto), se il passivo, il rischio e le perdite sono annullati da prebende assistenziali e parassitarie, ebbene, la carriera deviante non troverà motivo di interrompersi se non con l'estinzione del soggetto deviante o con il suo “fallimento”. Generalmente questo fallimento coincide con la commissione di un crimine di gravità tale da espellere per sempre il deviante dal proprio ciclo produttivo (ad esempio l’ergastolo che si beccherà l’assassino del bimbo di Parma, psichiatri e assistenti sociali permettendo). Ma quanto danno sociale produce impunemente il deviante, prima del suo definitivo “fallimento”?
Una soluzione esiste, peraltro assai politicamente scorretta, e quindi verosimilmente efficace. Il crimine può essere combattuto attivando meccanismi repressivi che rendano la carriera deviante massicciamente improduttiva e disagevole, rispetto a quanto non lo sia il comportamento conforme alle norme. In altri termini, bisogna rendere la vita dei criminali molto più difficile di quanto si è fatto finora. E la cultura giustificazionista della devianza, che è spesso conseguente e connivente con la devianza stessa, deve essere oggetto di un precoce e continuativo vituperio sociale, e relegata nella pattumiera culturale dei nostri tempi.
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