Il "microfono" di Pio XII, il gramscismo cattolico e i fumetti
Padre Riccardo Lombardi, gesuita, fu noto negli anni Quaranta e Cinquanta con un soprannome impegnativo: «microfono di Dio». Pio XII, avendone in grandissima stima l’oratoria martellante, aveva conferito a lui la missione di bandire a suo nome, in tutta Italia, una «crociata della bontà» che riconquistasse le anime a Cristo e trasformasse il mondo «da selvatico in umano, da umano in divino» [1]. Il nostro «microfono», dati i tempi, alzava la voce in particolare contro il pericolo comunista, mettendo in guardia i fedeli dagli «atei senza Cristo, senza Dio, senza anima, figli del demonio con le mani sporche di sangue», nientemeno, i quali miravano a trascinare nella miseria e nel fango l’intera società umana. Per contrastare tali operatori di iniquità, il sogno di Papa Pacelli era «che sorgessero immense falangi di apostoli, simili a quelle che la Chiesa conobbe ai suoi albori». Padre Lombardi illustrava il piano d’azione in modo più preciso. Occorreva una «mobilitazione generale» dei cattolici, «una loro diffusa presenza in ogni luogo di potere, nei partiti, nei sindacati, nei giornali, nella radio, nel cinema, nell'università»; essi «dovevano mirare anche in alto, molto in alto, alle fonti della pubblica istruzione, alla conquista delle cattedre in generale, e in particolare di quelle universitarie, che potrebbero considerarsi chiave, nella cultura che riguarda direttamente la Chiesa». Da buon cattolico d’antan, Padre Lombardi non usava mezzi termini: «la bonifica delle idee non sarà mai profonda e definitiva in Italia, finché le aule dove si creano gli indirizzi speculativi delle nuove generazioni saranno quasi tutte infestate dalla malaria». Il «microfono di Dio», al di là del linguaggio, affrontava qui un autentico problema pastorale, in seguito quanto mai eluso: ciò che Sant’Escrivà chiamava «apostolato dell’intelligenza» e che oggi, ben mezzo secolo dopo, è evidentissimamente il nodo più decisivo che i cattolici debbano risolvere: e stavolta al più presto, poiché ne va della salvezza delle anime in una società che di giorno in giorno si fa più confusa e sbalestrata. Padre Lombardi, oltrechè sulla conquista delle cattedre liceali e universitarie, contava parecchio anche sul cinema (di cui apprezzava «l'efficacia impareggiabile con cui imprime le idee mediante semplici immagini, anche in gente che non sarebbe capace di ragionare») e sulla radiofonia, strumenti a cui oggi viene spontaneo aggiungere Internet e soprattutto la televisione. Ma non solo. Conviene soppesare attentamente l’amara constatazione di un grande pensatore cattolico dell’Ottocento, Juan Donoso Cortés, constatazione che dopo un secolo e mezzo resta a maggior ragione valida e attuale: «nel passato», scrive Donoso, «gli errori stavano nei libri, in maniera tale che, non cercandoli in essi, non potevano incontrarsi da nessuna parte, mentre ai giorni nostri l'errore non sta solo nei libri, ma anche fuori di essi: sta nei libri, nelle istituzioni, nelle leggi, nei giornali, nei discorsi, nelle conversazioni, nelle aule, nei circoli, nei focolari, nel foro, in ciò che si dice ed in ciò che si tace» [2]: in una parola, l’errore sta ovunque. Dove, quindi, è d’uopo combatterlo? Certamente nelle università e nei palinsesti televisivi, ma tutto ciò non basta: bisogna combatterlo dove esso si manifesta, cioè ovunque appunto, e con ogni mezzo disponibile. Tra i cattolici qualcuno, alla buonora, ha cominciato a capire che la «nuova evangelizzazione» di Giovanni Paolo II deve concretarsi (Padre Lombardi e Pio XII docent) in un enorme Kulturkampf, in un «gramscismo cattolico» che mandi in tilt e poco a poco distrugga la cappa culturale generata, in Italia, da decenni di egemonia radical-socialista. Indubbiamente, poiché l’annuncio cristiano si rivolge alle singole anime e non alle masse anonime, rimangono insostituibili l’apostolato personale, la testimonianza di vita cristiana, la preghiera per le conversioni: ma non disgiunte da una ben concertata azione culturale volta a diffondere la visione della vita e la lettura della storia cattoliche, necessari praeambula fidei della nostra epoca. Per non rischiare l’astrattezza, porto un esempio concreto di quanto sto dicendo. È uscito negli scorsi mesi, per i tipi della neonata ReNoir di Milano, il primo volume di una serie di fumetti (sì, fumetti) intitolata «Gli sconfitti» [3]. Ideatore e aiuto-sceneggiatore ne è quel Rino Cammilleri che, con Vittorio Messori e pochi altri, ha contribuito in modo decisivo, negli scorsi decenni, ad attualizzare e riportare in auge la nobile arte dell’apologetica [4]. Lo scenario di fondo del fumetto, nelle parole dello stesso Cammilleri [5], è il seguente: «nel West ottocentesco tre uomini incrociano i loro destini. Si tratta di un ex borbonico, un ex sudista e un ex asburgico. Il primo è un ufficiale napoletano in volontario esilio dall’Italia. Il terzo è un militare francese venuto in Messico al seguito dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo; dopo la fucilazione di quest’ultimo, è rimasto in America. I tre si incontrano per caso e si uniscono per ritrovare il tesoro dello sfortunato imperatore». La particolarità di questa serie «consiste nel fatto che sposa volentieri il cosiddetto revisionismo storico, mostrando come sono andate certe cose dal punto di vista di chi le ha subite, e certe guerre dal punto di vista di chi le ha perse»: nel primo volume della serie, per esempio, si accenna alle vicende del «Risorgimento» italiano, mostrandone, contro la vulgata scolastica egemone, l’autentica natura: quella di brutale annessione espansionistica da parte del Piemonte ai danni degli altri Stati peninsulari, Stato della Chiesa compreso. «E c’è anche un altro aspetto “speciale”: l’attenzione alle tematiche religiose che nei fumetti, di solito, o sono completamente assenti o, al massimo, vengono scomodate per confezionare horror di tipo pagano-gnostico (v. Hellboy, Hellblazer, Spawn, Preacher…[6])»: nella nostra serie, invece, dei tre «sconfitti» due sono cattolici e uno protestante, e la cosa «avrà la sua importanza e i suoi sviluppi nel prosieguo della storia». Il primo volume de «Gli sconfitti», decisamente professionale e ben fatto sotto ogni punto di vista, costituisce un formidabile strumento di apostolato culturale per un motivo del tutto ovvio: è mille volte più facile regalare, consigliare, prestare, in ogni caso far leggere a qualcuno, specie se giovane, un agile e piacevole fumetto che non un noioso volume di storia del «Risorgimento». E gli effetti sono gli stessi: un po’ di «errore» arginato e dissolto, un po’ di «verità», anche solo a livello di precomprensione storiografica, propagata e ristabilita. Ovviamente è solo una goccia nel mare e, come ho detto, un esempio. Da imitare, nei metodi che la creatività e le capacità suggeriscono a ciascuno, per instaurare omnia in Christo.
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[1] Per quanto segue, cfr. Antonio Spinosa, Pio XII. L'ultimo papa, Mondadori, Milano 1992, pp. 292-294 e 323-324. Sulla interessante figura di Padre Lombardi (1908-1979), personaggio decaduto dalla notorietà pubblica all’avvento di Giovanni XXIII, cfr. Giancarlo Zizola, Il microfono di Dio: Pio XII, padre Lombardi e i cattolici italiani, Mondadori, Milano 1990, o per una prima ricognizione http://it.wikipedia.org/wiki/Riccardo_Lombardi_(gesuita).
[2] Juan Donoso Cortés, Lettera al cardinal Fornari, 19 giugno 1852, in [Pio IX,] Sillabo [1864], a cura di Gianni Vannoni, Cantagalli, Siena 1998, pp. 111-135: p. 113.
[3] Cammilleri-Belli-Parma-Boldrini, La fuga (I volume della serie «Gli sconfitti»), ReNoir, Milano 2006. Il volume consta di 56 pagine a colori per euro 13.
[4] Proprio Cammilleri ha espresso benissimo l’importanza della «guerra culturale» cattolica in un articolo, intitolato appunto «Cultura», apparso sul n. 53 del mensile Il Timone (maggio 2006, pp. 20-21).
[5] Cfr. http://www.rinocammilleri.it/beyondengine/frontend/exec.php?id_content_element=434.
[6] Tutte cose che, per dirla pittorescamente e con Pio IX, «ingannano e corrompono in modo compassionevole la gioventù e le somministrano fiele di drago nel calice di Babilonia». Cfr. l’enciclica Qui pluribus del 9 novembre 1846, in Sillabo, cit., pp. 137-154: p. 145.
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