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Dalla pozzanghera del nichilismo alla birra del cattolicesimo. L’enorme figura del cattolico Chesterton nell’anticattolica Gran Bretagna.
Di don Massimo Vacchetti - 24/11/2011 - Letteratura - 1960 visite - 0 commenti

Chesterton merita di essere conosciuto. Merita siano conosciute le sue pagine, il suo pensiero, la sua fede. Tutto di lui vale la pena di conoscere. Anche le sue teorie economiche. Persino la faccia, mette di buon umore. Chesterton era cattolico, forse per questo, per lui, tutto era interessante, tutto magnifico, tutto degno di gratitudine.
Quando nasce, la Gran Bretagna si era, da poco, svegliata dal lungo inverno in cui l’anglicanesimo di corte l’aveva relegata. Il cattolicesimo aveva riacquistato dignità forse più che per senso di tolleranza, per quella supponenza inglese che ipotizzava di concedere al “papismo” le ultime ore d’aria, prima di essere definitivamente posto al patibolo della storia, dal positivismo e dallo scientismo.

La Gran Bretagna non è solo infatti ancora profondamente anticattolica, ma quella di Chesterton, “fu la prima generazione che insegnò ai bambini a venerare il focolare senza altare”.

Ebbene, in questo pertugio di libertà, il domenicano Padre Vincent Mc Nabb, il professore e poi Cardinal J. H. Newman e infine G. K. Chesterton, come dall’ultimo banco di una classe di secchioni, sono emersi quali figure indimenticabili del cattolicesimo del ‘900 e del pensiero anglosassone. Con loro e dietro di loro si sono mossi altri “brocchi cattolici” come J.R. Tolkien, T.S.Eliot hanno seguito il medesimo percorso. Come del Cardinale che sulla sua tomba volle venisse scritto: «Ex umbris et imaginibus in veritatem» (“dall’ombra e dalle tenebre alla verità”), così la vita di questo grosso uomo di letteratura e di fede - “un metro e ottanta di genio, ne abbia cura, Signora Chesterton”, disse rivolgendosi alla madre, un insegnante di scuola – è il passaggio dal “non senso” del nichilismo alle cui pozzanghere anche il giovane Chesterton aveva attinto da bere, alla verità, irrefrenabile compagna della letizia per tutto ciò che è e potrebbe non esserci. “Tutto è magnifico, paragonato al nulla”.

Conoscere Chesterton sortisce un’immediata simpatia per la Gran Bretagna e il tradizionale umorismo dei suoi figli. Ad una naturale predisposizione per la sottile e gentile gioia, tuttavia, questo strano cattolico inglese associa l’umorismo concreto di chi è consapevole che Uno - "Dio di tutte le cose buone che sono sulla terra" - fa tutte le cose e, per giunta, le fa bene. Quella di E. Rialti - comparsa sulle paginone di un giornale chestertoniano come il Foglio, (lo è, un giornale chestertoniano, quantomeno per le dimensioni del suo direttore e del formato editoriale e per la giovialità di alcune sue pagine perchè se uno leggesse anche qualche volta Andrea’s version o la preghierina di Camillo Langone non potrebbe che essere d’accordo con me) e poi raccolta nel libretto “L’uomo che ride, l’avventura umana e letteraria di G. K. Chesterton”, ed. Cantagalli (pagg. 169, 15 €) - è un’opera ideale per un regalo.

O meglio, il regalo non è il libro, ma Chesterton. Chi avesse la ventura di accostarsi ad uno dei suoi paradossi o ad uno dei suoi personaggi non può che averne in contraccambio una ragione in più per vivere. Quella – la più significativa – che la vita è bella. “Siamo solo polvere. Eppure la vita è bella”. Solo uno persuaso che vi sia qualcosa di bello in qualcosa di poco gradevole ha qualcosa di interessante da dirmi. “La gioia – è la più grande scoperta dell’amico ispiratore, cospiratore di J. Tolkien e C.S. Lewis, - è il grande segreto del cristianesimo”. Un segreto che se rivelato davvero ci condurrebbe dalla pozzanghera dello scontato e della menzogna alla birra della verità.

Dopo una lettura lieta e grata come questa, uno volentieri prenderebbe Chesterton come “un amico in grado di guardare il mistero dell’esistenza, con le sue ferite e le sue bellezze, senza scorgere alcuna contraddizione tra una pinta, una pipa e una croce”.

 
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