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In questi giorni i critici della scelta del governo tecnico parlano molto di lesione della sovranità. Occorre intendersi, perché il termine sovranità può riferirsi tanto alla sovranità che l'ordinamento internazionale riconosce ai singoli Stati, quanto all'esercizio della sovranità all'interno di ogni singolo Stato di cui, negli ordinamenti democratici (in Italia per espresso comando della Costituzione), è titolare il popolo.
Alla luce di questa diversità di significati è perfettamente possibile immaginare uno Stato sovrano, che nel proprio ordinamento interno non riconosca quella popolare in quanto prevede un diverso fondamento della sovranità (ad esempio la legittimazione divina). Tuttavia, dal momento che in Italia la Costituzione attribuisce al popolo la sovranità e il suo esercizio, la scelta di un governo tecnico ufficializza un'ulteriore rinuncia del popolo (in realtà forzata, perché nessuno si è curato d'interpellarlo) quanto meno all'esercizio della propria sovranità, sicché le critiche al governo tecnico non presuppongono affatto un giudizio positivo sulla classe politica.
Anzi tutt'altro. Non solo, difatti, è possibile che nel concreto e nell'immediato, il governo Monti possa risultare migliore (o meno peggio) dell'appena caduto governo Berlusconi o di un governo politico di salvezza nazionale a guida Bersani-Casini, ma, in ogni caso, è alla classe politica che si deve il progressivo accantonamento della sovranità popolare. Un accantonamento indubbiamente favorito in Italia (atteniamoci a noi, ma il discorso è più vasto) da un sistema troppo strettamente aderente ad un rigido modello di democrazia rappresentativa, che, attribuendo scarso rilievo agli strumenti di democrazia diretta (in pratica solo, e con molti limiti, il referendum abrogativo), riduce a ben poco l'effettivo esercizio della sovranità da parte del popolo: la scelta dei suoi rappresentanti nell'occasione elettorale.
Scelta, ulteriormente ristretta dall'attuale legge elettorale, che finisce con l'attribuire alle segreterie dei partiti la scelta dei presunti rappresentanti del popolo. In realtà il dibattito sul governo Monti, ritenuto da chi non è d'accordo un cedimento ai poteri più o meno forti e occulti della finanza internazionale e comunque esterni allo Stato, ha tirato in ballo, più che la sovranità interna (e il suo esercizio), quella spettante allo Stato italiano nell'ambito internazionale, nei rapporti con i soggetti che in quest'ambito agiscono.
Ora è indubbio che, contribuendo alla nascita dell'Unione europea e aderendo poi alla moneta unica, l'Italia abbia necessariamente rinunciato a parte della sua sovranità col delegare agli organi europei una parte delle sue funzioni. Rinunce perfettamente legittime, anche perché reciproche, e tuttavia al fondo viziate e indebolite proprio dalla mancanza di un diretto consenso popolare, che i rappresentanti del popolo si sono ben guardati dal chiedere perfino quando sarebbe stato assolutamente indispensabile come per il varo della Costituzione europea. I due concetti di sovranità (interna ed esterna) restano, pur nella loro unità fondamentale, distinti in quanto operano in campi diversi, ma la debolezza democratica della democrazia rappresentativa e la sua ulteriore degenerazione partitocratica hanno grandemente contribuito, sottraendo il relativo procedimento al controllo del popolo sovrano, all'indebolimento della sovranità internazionale dello Stato.
Un indebolimento che è andato ben oltre i limiti previsti e, soprattutto, contrariamente alle promesse e alle attese, non è stato accompagnato dal trasferimento della sovranità dai popoli delle singole nazioni al popolo europeo. I primi hanno perso quasi tutto, il secondo non ha ricevuto quasi nulla. Nell'Unione Europea non vi è una sola persona che veramente conti che sia stata scelta dal popolo (o dell'intera comunità o del suo paese) e che a questo debba rendere conto..
A questo punto è evidente come i due fenomeni abbiano interagito. L'accantonamento di fatto della sovranità popolare all'interno dello Stato ha consentito l'indebolimento della sua sovranità internazionale. Questo, a sua volta, ha reso impossibili sia il recupero, all'interno, della sovranità popolare sia una valida resistenza agli ukase provenienti dall'esterno comunque formulati (sollecitazioni all'adempimento di direttive e raccomandazioni o mazzate finanziar), perché tutte le decisioni che contano sono prese altrove, a Bruxelles e a Francoforte, e non dal popolo europeo. Per legittimare il governo Monti ai suoi partigiani è stato sufficiente vestirsi da crociati finanziari al grido di “l'Europa lo vuole!”, omettendo che l'Europa lo vuole perché lo vogliono Goldman Sachs, Citigroup, Bank of America, Deutsche Bank e Speculatori Anonimi Associati..