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Chi è Dio?
Di Francesco Agnoli - 18/11/2011 - Religione - 2167 visite - 0 commenti

Chi è Dio? Me lo chiedo dopo un dialogo con un ragazzo. Che a Dio non crede. Ho provato a dirgli, chi è, secondo me, questo “personaggio” eccezionale, che da sempre, benchè nascosto nei cieli, ci fa discutere.

Provo una prima risposta: Dio è la Causa ultima di ciò che esiste. E’ il Perché di tutti i perché, il Prima di tutti prima. L’Alfa e l’Omega. Perché tutto ciò che diviene, ciò che muta, e che ci sta sotto gli occhi, non si giustifica da se stesso. Ciò che diviene (l’universo, noi uomini), esige qualcosa che dia principio e senso al divenire. Ciò che contiene in sé ordine e disordine, perfezione ed imperfezione, bene e male, non può essere causa di quell’ordine, né di quel bene, nè di quel male. Può solo rimandare ad un Ordine, una Perfezione, un Bene, che ne sono la Causa.

Scriveva Pascal: “La natura ha perfezioni per mostrare che è l’immagine di Dio, e difetti per mostrare che ne è solamente l’immagine”. Perfezioni e difetti: unde bonum et unde malum? Da “qualcosa” che ci permetta di giudicare l’uno e l’altro. Non possiamo neppure dire che qualcosa è male, cioè che manca di bene, senza postulare l’esistenza del Bene che non manca di nulla. Non possiamo dire che qualcosa è bene, ma bene finito, limitato, non duraturo (la nostra stessa vita, un amore, un’ amicizia…), senza postulare il Bene stesso. Tutto, ciò che è bene e ciò che è male, ci rimanda, dunque, a Dio.

Per questo da sempre l’uomo prega e invoca aiuto, di fronte al male, come se Qualcuno potesse colmarlo, e ringrazia di fronte a ciò che è bene, con la gratitudine di chi ammira e riconosce qualcosa come derivato non da noi. Come donato. I filosofi hanno chiamato Dio Motore immobile, Logos, Causa prima... Con Cristo, però, Dio ha voluto mostrarsi, rivelarsi. Mostrarsi in un modo, però, che non fosse neppure esso schiacciante, inequivocabile.

Dio si è mostrato, all’uomo, facendo in modo che costui fosse costretto, per riconoscerlo, ad usare, oltre che della propria ragione, della propria libertà. Si è mostrato capace di miracoli, e nello stesso tempo debole, esposto alla crudeltà degli uomini. Lui, Origine di tutto ciò che esiste, Amore che sostiene nell’essere, con il suo soffio vitale, ogni esistenza limitata, ogni frammento dell’Essere, ha voluto che noi potessimo non solo postularlo, ma anche esperirlo. Non solo ragionare su di Lui, ma anche parlare con Lui; incontrarLo, attraverso il creato, la bellezza della natura; di più, nel nostro cuore, nell’Eucaristia. La Fede è dunque un assenso della ragione, perché l’esistenza di Dio è razionale e ragionevole, e salva l’universo stesso dall’irragionevolezza e dal non senso.

Se Dio non esistesse, infatti, il Nulla sarebbe, follemente, l’unica vera realtà. Tutto sarebbe illogico, illusione, sogno, fantasia di sognatori che, in verità, non esistono neppure loro. Ma la Fede è anche esperienza di Dio. Quando si sperimenta Dio? Quando la nostra volontà dice sì, cioè quando ama. Quando si prega; quando ci si riconosce creature, finite, limitate; quando si percepisce il bisogno dell’Altro; quando si ringrazia del dono della vita; quando ci si stupisce di uno sguardo amico; quando il cuore si allarga in un moto di generosità e di bene...

La nostra ragione può scambiare il mondo per Dio, partendo dalle sue perfezioni; oppure per il Nulla, per un assurdo frutto del caso, notando le sue imperfezioni: ma se si tengono insieme le une e le altre, si riconosce al Creato la sua natura: non è Dio, e neppure una bolla di sapone. Dice di Lui, ma non è Lui. Così l’uomo può farsi Dio, assolutizzando la propria origine divina; oppure annichilirsi, negando a sé stesso e all’umanità qualsiasi significato trascendente, cioè vero, duraturo, inoppugnabile. In entrambi i casi, sbaglia. Oppure l’uomo può riconoscersi per ciò che è: la nostra perfezione è un segno della nostra origine divina, e la nostra imperfezione un segno della nostra tensione, della mendicità, del nostro bisogno di Dio.

Dio, che è Amore, incontra allora l’uomo che percepisce nel contempo la sua grandezza e la sua limitatezza. L’uomo che si sente figlio di Dio e peccatore. Non l’uomo che “presume di salvarsi per suo merito”, né l’uomo che dispera. Lo spazio stringe.

Concludo con un esempio: un padre che osserva un figlio piccolo, che dorme. E’ un’ esperienza comune: ci si ferma, nel silenzio della notte, ad osservare. Quel silenzio ci aiuta a cogliere un mistero grandioso: il battito innocente del cuore; il sonno fiducioso ed abbandonato; la bellezza di quel figlio, di quel suo esistere, di quel suo esserci, parlano al nostro cuore e sembrano interrogarci. Chi ha creato quel prodigio? Chi lo mantiene nell’essere? La piccolezza e l’innocenza, la perfezione di quella dolce creatura, parlano di Dio, del suo amore; la sua fragilità, la sua debolezza, che a volte ci angoscia, ci ricordano quanto quella vita è in verità fugace; eppure, il cuore lo percepisce chiaramente, non è invano, ma in mani Altrui. L’amore di un padre coglie Dio nell’ammirare un figlio che porta in sé, per parafrasare Pascal, perfezioni ed imperfezioni. Che chiedono, evidentemente, una origine ed un compimento. Il Foglio, 17 novembre 2011

 
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