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Geninazzi sulla fine di Gheddafi
Di Rassegna Stampa - 22/10/2011 - Esteri - 1332 visite - 0 commenti
 

“C’è un’immagine che, più di tanti giudizi, è il commento più completo alla morte di Gheddafi. Quella di Hillary Clinton che, di fronte al volto sfigurato e sanguinante del rais, sorride soddisfatta ed esclama ‘Wow’”. A osservarlo è Luigi Geninazzi, editorialista e inviato del quotidiano Avvenire, il giorno dopo la cattura e uccisione del Colonnello libico. 

Geninazzi, quel “Wow” esprime anche il cinismo con cui i governi occidentali hanno condotto la guerra mascherandola di buone intenzioni?  

Ritengo indispensabile fare una distinzione. Quando il 20 marzo la guerra è iniziata, sono convinto che l’intervento fosse giustificato. Non solo dal punto di vista giuridico, perché è stata avallato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, ma anche perché Gheddafi aveva dichiarato “andremo a Bengasi e li uccideremo come dei ratti nelle fogne”. L’obiettivo con cui è iniziato l’intervento è stato quindi quello di proteggere i civili. La premessa era giusta, quello che poi è avvenuto come al solito è stato che, come diceva Von Clausewitz, “le guerre non finiscono mai come prevedeva chi le ha iniziate”. Il famoso principio della difesa dei civili è diventato quindi una coperta troppo corta per raggiungere ben altri obiettivi. C’erano degli interessi da difendere e lo stesso Sarkozy ha dovuto ammettere che c’era un “retropensiero”.

Qualcuno ha parlato anche di bombardamenti indiscriminati …

 Se non indiscriminati quantomeno sono stati interessati, e da ultimo si sono trasformati in una vera e propria caccia all’uomo. Giovedì ne abbiamo avuto la conferma più clamorosa: perché hanno colpito il convoglio su cui Gheddafi stava fuggendo? Chi lo componeva erano persone in fuga che volevano soltanto salvare le loro vite. Il fatto di colpire le jeep non era legato alla necessità di proteggere dei civili: non si trattava infatti di carri armati che si muovevano per attaccare Sirte, eppure quelle auto sono state inquadrate nei mirini degli aerei della Nato che hanno fatto fuoco. Ma qual era la necessità di sparare? Ovviamente, l’obiettivo inconfessabile era quello di eliminare il dittatore. I comandi della Nato dovrebbero quindi spiegare che cosa può giustificare quell’ultima operazione. E’ una logica perlomeno strana e chiunque è in grado di comprenderlo.

Come commenta l’uccisione a sangue freddo di Gheddafi?

E’ un epilogo disgustoso, su Avvenire di oggi (ieri, ndr) riferendomi all’ipotesi che sia stata un’esecuzione l’ho definito “L’ultimo sospetto”. Ormai abbiamo ben più di un sospetto, anzi una certezza morale se non giuridica che Gheddafi è stato ucciso a sangue freddo. Abbiamo visto un filmato in cui il Colonnello parla e si muove e uno, poco dopo, in cui è già cadavere. Qualcuno gli ha sparato un colpo alla tempia, e l’aspetto più interessante non è scoprire chi lo ha fatto, ma chi ha dato l’ordine. Sono certo che il comando veniva dall’alto, è difficile che in questo frangente un ribelle ventenne si sia presa la responsabilità di premere il grilletto di sua spontanea iniziativa. E questo è l’aspetto peggiore della vicenda, perché soprattutto le immagini mostrano la brutalità di quell’esecuzione. Mentre ritengo che la pietà umana nel momento della morte sia dovuta a tutti, anche a Gheddafi. Peccato però che l’eliminazione di Gheddafi facesse comodo un po’ a tutti.

Secondo lei, chi è stato davvero Muammar Gheddafi?

E’ stato senza dubbio un dittatore feroce e ci sono diversi fatti che lo dimostrano, non da ultimo la repressione di febbraio contro gli insorti di Bengasi. E inizialmente gli insorti non erano armati, ma manifestavano come a Tunisi e al Cairo scendendo nelle piazze e brandendo soltanto il telefonino, Facebook e Twitter. Per non contare poi tutti gli episodi di terrorismo, a partire dalla strage di Lockerbie del 1988. Dopo gli attentati del 2001 però Gheddafi intuisce che, se non cambiava strada, avrebbe fatto la fine del regime afghano o di Saddam Hussein. Diventa quindi un alleato dell’Occidente contro l’integralismo islamico, e in questo suo contrapporsi al fondamentalismo ha avuto una sua coerenza. Inoltre, bisogna rendergli l’onore delle armi: non è scappato ed è rimasto a Sirte fino all’ultimo. D’altra parte, come spesso accade ai dittatori, circondati da gente che non osa contraddirli, aveva un po’ perso il senso della realtà ed è stata questa la sua rovina. Ma c’è da dire che Gheddafi non è stato solo un dittatore sanguinario, anzi ha gestito il Paese in modo avveduto distribuendo i proventi del petrolio e creando così un ceto a lui fedele.

Dopo la caduta di Gheddafi, quali prospettive si aprono per Libia?

Dobbiamo partire da un fatto: è un Paese che non ha nessuna tradizione di democrazia. Questo vale per tanti Paesi arabi, ma l’Egitto quantomeno ha alle spalle la grande storia del Rinascimento arabo. La Libia invece è sempre stata una scatola di sabbia gestita da varie tribù, fino a quando cento anni fa incominciò l’impresa coloniale italiana. Il Consiglio Nazionale Transitorio (Cnt) non solo è posticcio, tanto che è composto da diversi membri dell’ex regime, ma ha anche tante anime al suo interno. Bisognerà vedere se prevale la saggezza oppure se dopo la caduta del grande avversario che univa tutti, incominceranno a farsi la guerra tra di loro.

Fino a che punto chi viene dopo Gheddafi sarà meglio di lui?

Soprattutto in Libia, c’è una grande confusione sotto il cielo. Ci sono tanti fattori davvero preoccupanti, soprattutto per il fatto di vedere i ribelli militare sotto bandiere diverse e con divise diverse, obbedendo a fazioni islamiche, tribali o ex jihadiste. Ma il fatto più importante è un altro. Ora che la fase dei raid aerei dell’alleanza anglofrancese è finalmente finita, la Libia va aiutata non solo per i nostri interessi legati al petrolio, ma anche per avere sull’altra sponda del Mediterraneo un vicino in grado di garantire stabilità.

 In molti ricordano l’amicizia tra Gheddafi e Berlusconi. Ma il premier italiano è stato l’unico a riverire il dittatore?

Quella di Gheddafi a Roma è stata l’ultima grande sceneggiata. Ma non è stato solo Berlusconi che, di fronte alle insolenze del Colonnello, non ha avuto il coraggio di dire basta. Non va dimenticato che Sarkozy, il principale fautore dell’alleanza anglofrancese, permise al rais di piantare le sue tende di fronte all’Eliseo. Tutti hanno qualcosa da rimproverarsi, e anche gli Stati Uniti dopo il 2001 hanno accettato di avere questo “cane rabbioso” come loro alleato per azzannare la bestia del terrorismo.

da: ilsussidiario.it



 
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