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Paolo Mieli ha dedicato sul Corriere di ieri due pagine storiche, come sempre interessanti, ad Antonio Gramsci, cofondatore del Partito comunista Italiano.
Un intellettuale laico, si dice. Come tanti altri tromboni di primo Novecento. L'analisi che ne viene è impietosa: Gramsci non capì nulla di quello che gli accadeva sotto gli occhi, ad esempio della rivoluzione comunista in Urss. Mentre i bolscevichi cantavano la marsigliese, e inneggiavano a Robespierre, come avrebbero fatto anche i comunisti asiatici, Gramsci discuteva sulle per lui profonde differenze tra l'intolleranza giacobina, da lui condannata, e la visione socialista. Che, come l'Urss dimostrò, era appunto, giacobina al cubo.
Voglio ricordare solo un episodio: la consonanza tra il giovane Gramsci e il giovane Mussolini sulla I guerra mondiale (che fu la madre della riv. comunista, fascista, nazista e della II g. m.).
Scrive Mieli:
"La sua prima uscita pubblica, sul settimanale «Il Grido del popolo», è però di critica a Tasca per aver, quest' ultimo, condannato con toni eccessivamente radicali la svolta interventista di Benito Mussolini (ottobre 1914). A suo avviso Mussolini non ha torto, dal momento che la politica di preparazione rivoluzionaria del proletariato può trarre vantaggio dall' intervento italiano nella guerra contro gli Imperi centrali. Successivamente sarà tentato di collaborare al «Popolo d' Italia», il nuovo giornale di Mussolini, ciò che gli verrà rinfacciato - dal sindacalista Mario Guarnieri - nel 1921, al momento della fondazione del Partito comunista. Un curioso debutto, su cui si sofferma Leonardo Rapone nel capitolo iniziale di Cinque anni che paiono secoli. Antonio Gramsci dal socialismo al comunismo (1914-1919) , un grande studio sulla formazione del leader comunista che Carocci manderà a giorni in libreria. Rapone sostiene che considerare quella presa di posizione filomussoliniana di Gramsci come un «mero incidente di percorso» o «un' acerba esercitazione giovanile» è un modo di far torto alla sua già complessa personalità degli inizi. Quel Gramsci ai primordi è un ragazzo colto, che interviene in tutti i dibattiti dell' epoca...".
Il vero Gramsci, come il Mussolini socialista e poi fascista, era nemicissimo della democrazia, e auspicava la dittatura. La solita visione ideologica: prendiamo la dittatura, ma non come i giacobini, bensì solo per permettere al popolo di capire che noi siamo il suo vero bene: "Una minoranza che è sicura di diventare maggioranza assoluta, se non addirittura la totalità dei cittadini, non può essere giacobina, non può avere come programma la dittatura perpetua. Essa esercita provvisoriamente la dittatura per permettere alla maggioranza effettiva di organizzarsi, di rendersi cosciente delle intrinseche sue necessità e di instaurare il suo ordine all' infuori di ogni apriorismo, secondo le leggi spontanee di questa necessità".
Con le stesse argomentazioni il comunismo è stato sempre dittatura, ma, a sentir loro, dittatura "democratica" (Germania dell'est), "popolare" (Cina ecc...)...