Vanessa era una delle tante ragazze che popolano le nostre metropoli: capelli a caschetto biondi, ad incorniciare un viso tondeggiante dove ardevano due grandi occhi, densi e profondi, carichi di intelligenza, occhi in cui riluceva la disperata voglia di vivere dei ventenni.
Vanessa aveva ventitre anni ed era una brava ragazza; nata in una famiglia semplice si era data da fare per non pesare troppo sulle spalle dei genitori. Anche quel giorno andava al lavoro, in una gelateria , per racimolare i soldi per pagarsi un corso di perfezionamento come infermiera. Vanessa, dicono, amasse la psicologia e fosse attenta agli emarginati. Chissà cosa penserebbe oggi, se potesse leggere di sè sul giornale; di come in un una mattina qualunque, andando al lavoro il destino la avesse tratta in un baratro da cui non si ritorna.
Il destino ha le fattezze di due rumene, due prostitute; “la piccola” con un cappellino a sghimbescio calcato sulla testa le tira un colpo d’ombrello, la punta come un fioretto si incunea nei suoi grandi occhi, che in un istante cessano per sempre di vedere.
Così è morta Vanessa, per mano di una balorda di poco più di vent’anni. Chissà cosa avrebbe pensato se avesse letto sul giornale, di questa assurda vicenda. Forse avrebbe persino trovato una scusa per quella disperata che le aveva strappato tutto.
Tutto il possibile, il sogno di un amore coronato magari dalla costruzione di una famiglia, un lavoro stabile, dei figli, niente.
Il capolinea del metrò ha consumato in un attimo tutte le possibilità , tutto il futuro che la attendeva.
Mentre Vanessa muore, la lotta nella società diseguale continua sotto l’egida del denaro che misura i rapporti, stabilisce le relazioni, le amicizie, le possibilità, la durata della vita media, il numero dei figli.
Continua, la vita mobile e instabile della società dei consumi che rende incerti i rapporti, massacra il balunginio di ogni certezza, polverizza i legami e le tradizioni che garantirono per secoli la solidarietà fra uomini.
E’ la stessa vita che costringe i singoli ed i popoli ad esodi continui, da Stato a Stato, da città a città, da amore ad amore. L’uomo contemporaneo, il giovane in particolare, è un viandante senza meta, distratto verso direzioni molteplici e contraddittorie dal luminoso gioco di specchi del mercato.
Così le città si popolano di “randagi”, di disperati alla ricerca di un paradiso che non esiste.
I flussi migratori incontrollati si giustificano con la scusa di un bisogno di manodopera, ma in realtà è il sistema che genera la fuga dai paesi d’origine e popola le città di gruppi umani che per sopravvivere si organizzano in clan e tribù le quali spesso rifiutano il confronto e l’integrazione. Ma cosa sia l’integrazione in un mondo disintegrato ai miei occhi resta un mistero.
Questi uomini che brulicano silenziosi ed operosi nelle nostre città e si arrangiano nei modi più disparati oscillando fra legalità e illegalità possiamo in parte capirli: sono stati gettati dentro un mondo per loro estraneo, ma di questo mondo vogliono suggere il meglio nel minor tempo possibile, costi quel che costi. Essi portano il loro dolore con lo sguardo sospettoso, sono deboli e forti ad un tempo mescolando nelle nostre vite un sentimento di pietà e paura.
Quello che invece stento a comprendere è il ruolo di politica ed economia che hanno stretto un patto diabolico che genera violenza ovunque. Mentre comprendo assai bene la sindrome spartitoria che governa il loro agire, la logica dei privilegi che caratterizza il pianeta della politica, almeno ad un certo livello; una ferrea razionalità che perpetua se stessa nel quasi disinteresse nei confronti dei deboli, dei semplici, di chi ancora crede in qualche ideale.
Tutto ciò genera una forza maligna che fiorisce in ogni angolo del pianeta,fatta di bellezza mercificata, di lusso ostentato, di potere lucrato, di conoscenze e privilegi, di silenzi, di omissioni, di ricatti.
Mentre l’amore e il disinteresse si fanno merce sempre più rara.
Di questo innanzitutto sei vittima, dolce Vanessa.
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