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In morte di Laura Pollān
Di Rassegna Stampa - 17/10/2011 - Cuba libre - 1160 visite - 0 commenti

Otto anni fa Laura Pollán era una semplice maestra di scuola e viveva insieme al marito Héctor Maseda, che dirigeva fuori dalla legalità il Partito Liberale Cubano.

La famiglia cercava di vivere in modo normale nella piccola casa di calle Neptuno, anche se non era facile andare avanti in un paese che considera un crimine la libera associazione. Ma una mattina, alcuni colpi alla porta vennero ad annunciare un cambiamento irrimediabile della loro vita. Dopo un’accurata perquisizione, Maseda fu incarcerato e condannato a 20 anni di galera con l’accusa di aver attentato alla sicurezza nazionale. Il suo delitto: sognare una Cuba diversa, opporsi politicamente alle autorità e mettere per scritto le sue opinioni. Ben settantacinque oppositori vennero processati in quel triste marzo del 2003, rimasto per sempre nella nostra storia nazionale con il nome di Primavera Nera.

La logica machista avrebbe voluto che le donne dei dissidenti arrestati restassero in casa a piangere il loro dolore, mentre i mariti scontavano lunghe pene in prigioni molto lontane dalle province di origine. Il governo cubano contava che quel colpo assestato all’opposizione avrebbe persuaso altri inquieti cittadini a non unirsi alle fila dei contestatari. Credeva anche che quelle spose, madri e figlie non avrebbero protestato, nella speranza che il silenzio potesse aiutare di più i loro cari rispetto alla pubblica denuncia di un orrore. Ma spesso i calcoli politici che provengono dalle alte sfere del potere sono errati. In questo modo sono nate le Damas de Blanco, un gruppo di donne che lottando pacificamente chiedeva la liberazione di tutti i prigionieri di coscienza. Al principio sembrava un movimento modesto e privo di collegamento, vista la grande distanza che separava una donna dall’altra.

Ma l’indignazione ha fatto da collante ed è stata un elemento di crescita per un movimento di donne che vestivano di bianco e tenevano in mano gladioli. Tra loro spiccava la voce di una piccola donna dagli occhi chiari che insegnava spagnolo e letteratura in una classe di adolescenti. Laura Pollán è diventata leader e portavoce di un gruppo non politico, concentrato soprattutto sul tema dei diritti umani e della scarcerazione dei familiari. In un paese retto da un’ideologia monocorde, l’ingresso sulla scena delle Damas de Blanco ha rappresentato un’importante novità. Non esibivano statuti di partiti politici, ma mostravano il desiderio di tornare ad abbracciare i loro cari. Hanno scelto di non unirsi a difesa di un’ideologia ma intorno alla fondamentale posizione dell’affetto familiare.

Hanno suscitato molte simpatie tra la popolazione dell’Isola e - come accade in casi simili - tutto questo ha generato una campagna di diffamazione e insulti orchestrata dalle autorità. Le Damas de Blanco sono state il gruppo dissidente più denigrato dai mezzi informativi cubani. Contro di loro è stata portata avanti ogni possibile guerra mediatica, dai tentativi di intimidazione ai meeting di ripudio che hanno raggiunto il culmine davanti alla porta della casa di Laura Pollán. I reporter ufficiali le chiamavano “Le Dame Verdi”, alludendo agli aiuti economici che ricevevano dai cubani esiliati per portare da mangiare ai mariti in prigione. Per ironia della sorte, un governo che ha usato le casse nazionali a sostegno dei più assurdi deliri politici, si permetteva di criticare gli aiuti ricevuti da alcune donne bisognose. La stampa nazionale ha continuato a denigrare la leader di quel movimento pacifico persino quando è entrata in terapia intensiva. Laura Pollán è stata ricoverata in uno di quegli ospedali avaneri dove la capacità medica è molto alta ma scarseggiano le luci, in gravissime condizioni, con forti dolori articolari, mancanza d’aria e deperimento organico. Visto che la situazione era molto grave, è stato chiesto alla famiglia se la paziente poteva essere trasferita in una clinica di lusso destinata ai militari. Laura prima di essere sedata e perdere conoscenza aveva già detto: “Voglio andare nell’ospedale del popolo”.

Ed è proprio lì che è morta, dopo che le è stato diagnosticato il dengue con cinque giorni di ritardo, in un paese che da mesi vive un’intensa epidemia di quel virus. Anche se in questo momento tutti i giornali del mondo stanno pubblicando la notizia della morte di Laura Pollán, il Granma e gli altri imbarazzanti giornali nazionali mantengono il silenzio. Una simile muta reazione può significare la pochezza di un governo incapace di provare dolore di fronte alla morte di un avversario. Non se la sono sentita di fermare le ostilità neppure per esprimere parole di condoglianza e per dire “mi dispiace”. Ma questo silenzio deriva anche dalla paura che avevano di questa piccola insegnante di spagnolo, un timore che è ancora dipinto sui loro volti.

La leader delle Damas de Blanco è morta. Da ora in poi nessuno potrà tenere un gladiolo in mano senza pensare a Laura Pollán.Yoani Sanchez, la Stampa, 17 ottobre

 
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