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Motivazioni religiose della lotta del papato contro gli Svevi (parte 3/3)
Di Sibilio Vito - 21/10/2011 - Storia medievale - 1166 visite - 0 commenti
[...continua] I rapporti di Federico II con il Papato nascono ambigui: egli aveva promesso a Innocenzo III di tenere separate le corone tedesca e siciliana, per cui, una volta incoronato Imperatore (1220), avrebbe lasciato il trono meridionale al figlio Enrico, già incoronato dal 1212 per volontà del Papa. Ma in seguito egli conservò il diadema di Palermo e lasciò al figlio il trono tedesco, che poteva controllare in quanto Imperatore. Onorio III (1216-1227) lasciò correre, in quanto voleva che Federico adempisse almeno l'altra promessa, quella di organizzare una Crociata. Ma anche qui il sovrano frappose mille ostacoli. Quando però fu eletto papa Gregorio IX (1227-1241), personalità forte e intraprendente come quella di Innocenzo, di cui era cugino, le ambiguità furono smascherate. Onorio III aveva stabilito, nel Trattato di San Germano (1227), che se Federico non fosse partito lo avrebbe scomunicato. In quei frangenti, Federico si ammalò. Ma il nuovo papa non volle credere alle giustificazioni dell'Imperatore, e lanciò l'anatema su di lui (1227). Federico si discolpò, ma non attese l'assoluzione, nemmeno quando Gregorio rinnovò l'anatema, e partì alla guida della guerra santa scomunicato (1228). In Oriente, poi, com'è noto, trattò, invece di combattere, con Melek Al-Kamel, e recuperò Gerusalemme a prezzo dello smantellamento delle fortificazioni.

Questo operato scandalizzò il Papa, che reagì con un'offensiva a tutto campo senza precedenti, promuovendo l'elezione di un anti - re in Germania, sciogliendo i sudditi siciliani dal giuramento di fedeltà e invadendo il Mezzogiorno dopo aver respinto l'attacco delle truppe imperiali allo Stato Pontificio. Non era concepibile che un empio mantenesse i suoi stati.

Ma Federico, tornato, ebbe facilmente ragione delle truppe papali e domò l'opposizione germanica. Evitando comunque di invadere lo Stato della Chiesa, creò il presupposto per un accordo, siglato a San Germano e ratificato a Ceprano (1230). Le clausole della pace, in cui Federico faceva ampie concessioni in materia ecclesiastica, concedendo immunità fiscali e giurisdizionali persino in Sicilia, mostrano chiaramente che al Papa stavano a cuore essenzialmente le questioni religiose. L'Imperatore, che fu assolto dalla scomunica, voleva tuttavia mantenere buona la Chiesa in vista di una restaurazione della sua egemonia sull'Italia. La promulgazione delle Costituzioni melfitane (1231), che riorganizzavano in modo centralizzato il Regno di Sicilia, erano il primo passo verso questo obiettivo. Non a caso Gregorio IX scorse in esse una concezione assolutistica pericolosa per la Chiesa e le biasimò, ricordando a Federico che anche i sovrani erano soggetti al Pontefice. In effetti, proprio per le immunità ecclesiastiche e per le libere elezioni delle 140 diocesi meridionali spesso Federico II e Gregorio IX ebbero scontri. Inoltre questi tentò di comporre le dispute tra lo Svevo e i Comuni, ma senza successo, in quanto Federico, con le Diete di Cremona (1226) e di Ravenna (1231), aveva ripreso la politica del nonno, e aveva spinto i Comuni a formare la Seconda Lega Lombarda. Gregorio fu leale con Federico, e non appoggiò mai sottobanco i Comuni, anzi lo aiutò a reprimere la rivolta del figlio Enrico, scomunicandolo. Ma l'Imperatore non solò boicottò i suoi sforzi diplomatici per la pace con i Lombardi, ma - una volta sconfitti i ribelli a Cortenuova (1237) - inviò in Sardegna, che era feudo della Chiesa, come re suo figlio Enzo, e tentò di estendere la propria sovranità su Roma. In aggiunta, trescò con una fazione cardinalizia contro il Papa, cosa che questi scoprì ben presto. Era un attentato alla sovranità della Chiesa. Annodata una lega coi Comuni per evitare la loro disfatta definitiva, alleatosi con Genova e Venezia e recuperato il controllo di Roma, Gregorio IX inflisse nuovamente la scomunica a Federico (20 e 24 marzo 1230). Ormai il Papa era deciso a saltare il fosso e a condurre la lotta ad oltranza. Gli eventi assunsero aspetti drammatici. Federico, dopo aver richiesto che il Papa fosse giudicato da un concilio ecumenico, assediò Roma. Gregorio convocò a sua volta lui un concilio per risolvere il conflitto (1241), ma l'Imperatore lo impedì, sbaragliando la flotta genovese che trasportava i vescovi spagnoli e francesi (Montecristo, 4 maggio 1241). Alcuni morirono, altri furono arrestati. Era un atto sacrilego senza precedenti, che chiarì al mondo fin dove osava arrivare Federico, che pure dichiarava di combattere contro la persona di Gregorio e non contro la Chiesa. In effetti, nell'agosto del 1241 Federico assediò Roma, con l'intenzione di imporsi definitivamente al Papa. Quale sorte volesse riservagli non sappiamo, ma la morte liberò l'anziano Gregorio, coraggioso fino all'ultimo, da ogni pericolo. Coerentemente con le sue dichiarazioni di principio, Federico si ritirò, in attesa degli eventi. La sede papale rimase vacante a lungo: le divisioni tra cardinali gregoriani e filoimperiali fecero sì che il conclave solo dopo sessanta giorni eleggesse Celestino IV (1241)" , che però morì dopo 16 giorni. La Sedis vacantia si protrasse per due anni: solo nel 1243 fu eletto Innocenzo IV (1243-1254), che passava per filoimperiale. Federico si rallegrò di questa elezione e iniziò trattative che furono ad un passo dal successo: la liberazione dello Stato della Chiesa, la penitenza personale, la liberazione dei prelati prigionieri, il loro risarcimento e l'impunità per i guelfi erano le condizioni per la riconciliazione. Ma la questione dei Lombardi non era trattata - con loro disappunto - e nessuna questione di principio era risolta. La pubblicistica in quegli anni ne aveva sollevate tante, sia in relazione ai contendenti (Gregorio e Federico si erano dati reciprocamente dell'eretico, dell'anticristo e via di questo passo) sia in relazione ai principi, in quanto né lo Svevo voleva riconoscere alla Chiesa una vera sovranità, né il Papa voleva che l'Impero rifiutasse le sue interferenze ratione peccati. Questa tesa situazione psicologica pesò a tal punto che Innocenzo ruppe gli indugi e fuggì a Lione. Da qui prese a governare la Chiesa con una libertà maggiore di quanta ne avessero goduta i suoi predecessori e lui stesso nella Città Eterna, lontano dalle lotte comunali e aristocratiche, ma soprattutto dalle ingerenze imperiali.

Papa Fieschi era un grande canonista, come il predecessore, e voleva definitivamente risolvere la questione federiciana con un verdetto appropriato e super partes. Ragion per cui convocò un Concilio ecumenico, il I di Lione (1245), in cui, tra le tante questioni, si trattò soprattutto del negotium politico-ecclesiastico. Federico fu citato a comparire, per rispondere di diverse accuse: spergiuro, violazione della pace, sacrilegio, eresia sospetta. Le trattative con cui le due parti tentarono fino all'ultimo di accordarsi fallirono tutte; l'Imperatore si recò a Torino, ma non raggiunse mai Lione; l'abile difesa di Taddeo di Suessa non fu sufficiente a discolpare il suo signore, che Innocenzo accusò di persecuzione della Chiesa. Il dibattito divenne infuocato per le tesi connesse alle posizioni politiche. Federico affermava che la Chiesa doveva essere povera e priva di potere, rivestendo di pauperismo il suo giurisdizionalismo cesaropapista, e prendendo lui stesso la penna per promuovere una riforma radicale - e distruttiva - della Chiesa. Inaugurava così un'alleanza tra pauperisti eretici e ghibellini, che avrebbe dato motivo e pretesto alla Chiesa, fino al XIV sec., di perseguitare i propri nemici politici come eretici. Era una svolta significativa in un Imperatore che aveva permesso al legato di Gregorio IX, Corrado, di terrorizzare i tedeschi a caccia di catari, che aveva introdotto il rogo in Italia per i nemici della Fede (senza che la Curia glielo avesse chiesto), e in subordine il taglio della lingua - pena che, sia detto per inciso, non entrò mai nel diritto canonico.

Innocenzo invece rivendicava per sé la pienezza dei poteri, sia religiosi che politici, in quanto Vicario di Cristo, a cui queste prerogative spettano entrambe. In che misura questatesi fosse la riproposizione della dottrina gregoriano-innocenziana della superiorità dell'auctoritas sacrata pontificum sulla regalis potestas, o piuttosto una sua radicalizzazione, che dava al papa una potestas piena in temporalibus per diritto divino, non possiamo dirlo con certezza. L'esegesi delle fonti si presta ad entrambe le interpretazioni. In ogni caso, il punto di arrivo della dottrina innocenziana, e cioè la deposizione dell'Imperatore, scaturiva dall'applicazione di un principio affatto nuovo, ossia quello della XII proposizione del Dictatus Papae di Gregorio VII: Quod illi liceat imperatores deponere. Lo stesso papa Fieschi, nei suoi Commentaria super libros quinque Decretalium, spiega il decreto del Concilio lionese, affermando che Papa iure deponit imperatorem, perché egli è il Vicario di Cristo, dominus naturalis dei Re e degli Imperatori, che dunque li fa e li depone. A prova di ciò, adduce il fatto che la consacrazione abilita il sovrano al potere, e viene data dal potere religioso, che dunque può annullarla. Una simile tesi non implica affatto però che la pienezza del potere politico stia nelle mani del papa, ma soltanto che il Sacerdotium sia superiore all'Imperium". Cosa pensasse realmente Innocenzo lo sapeva solo lui, ed è certo che dopo di lui nessuno più - neanche Bonifacio Vili (1294- 1303)- rivendicò per se la plenitudo potestatis in temporalibus. D'altro canto, i Re occidentali si mantennero neutrali nella disputa, anche a sentenza inferta, forse perché si sentivano minacciati dal curialismo temporalistico di Papa Fieschi.

Eppure, quand'anche Innocenzo IV fosse arrivato a questo estremismo canonico, la radice sarebbe sempre religiosa: egli avrebbe rivendicato per sé tale potere proprio per allontanare definitivamente la minaccia della teocrazia imperiale, ma anche quella della secolarizzazione della politica. In ogni caso, rivendicando il diritto di fare e disfare il potere regio in virtù della consacrazione, egli rifuggiva da ogni averroismo politico, e degradava la concezione sacramentale dell'unctio regia a una visione al massimo sacramentalista: non più un atto valido ex-opere operato, ma un gesto efficace in ragione delle preghiere della Chiesa. Era un punto di arrivo della teologia sacramentale implicito nella dottrina di tutto il Papato gregoriano, che cacciava i sovrani dalle res sacrae e li respingeva tra i semplici fedeli.

Tuttavia la reazione imperiale sollevò da subito un problema canonico che avrebbe tenuto banco per secoli: appellandosi ad un Papa futuro e a un Concilio veramente ecumenico, Taddeo di Suessa poneva una questione di delegittimazione di principio. Innocenzo ebbe facile gioco a dimostrare l'ecumenicità di quel Concilio, in quanto tutte le assenze erano causate dall'ostilità dell'Imperatore, che controllava le vie di terra verso Lione di tutta l'Europa centrale, meridionale e orientale. Conseguenzialmente, nessuno prese sul serio l'appello al Papa futuro. Ma l'idea avrebbe fatto strada.

D'altro canto, la propaganda imperiale, rifiutando le nuove teorie canoniche del Concilio, poneva su basi nuove il problema dell'origine del potere civile: dalla contestazione federiciana alla concezione dell'origine naturale dello Stato, che non ha bisogno di alcuna consacrazione religiosa, il passo è breve. Del resto, il dibattito era virtualmente aperto da quando l'Occidente aveva riscoperto le opere dello Stagirita e tradotto, come dicevo, quelle di Averroè. Paradossalmente, le opposte concezioni religiose della politica, lottando tra loro, avrebbero preparato la secolarizzazione, prima de facto e poi de iure. Innocenzo agì con coerenza per applicare i deliberati lionesi, e considerando Federico nemico di Cristo, bandì la Crociata contro di lui in Sicilia e Germania. Inoltre, promosse l'elezione dei nuovi Re tedeschi Enrico Raspe (1246-1247) e Guglielmo di Olanda (1247- 1256). Infine, come signore feudale della Sicilia, si diede a trovare una nuova dinastia per Palermo. Il suo entourage diede addirittura il benestare a un tentativo ante litteram di tirannicidio, a cui è incerta la partecipazione del Papa stesso.

La morte di Federico nel 1250 regalò la vittoria a Innocenzo. Egli, di lì a poco, fece cadere la proposta di investitura della Sicilia a Edmondo d'Inghilterra da lui stesso fatta, perché la morte di Corrado IV (1250-1254), figlio di Federico, lo mise in condizione di annettere il Mezzogiorno allo Stato Pontificio. Il Papa pose la sua residenza a Napoli, e inviò il nipote a conquistare la Sicilia, per snidare da lì gli ultimi Svevi. Mai trionfo era stato più completo: gli Hoenstaufen erano detronizzati, in Germania sedeva un fantoccio della Curia, l'Italia era riserva di caccia papale, il potere temporale restaurato e triplicato d'estensione. Le condizioni materiali per un'assoluta libertas Ecclesiae nell'Europa c'erano tutte. Ma la sorte fece un brutto tiro al Papa genovese. Sic transit gloria mundi, e lui vide la fine della propria addirittura pochi istanti prima della morte, quando gli giunse la notizia che la notizia che la flotta del nipote era stata sbaragliata da quella di Manfredi (1254-1266) . Questo colpo lo portò alla tomba, e la Chiesa doveva ricominciare di nuovo.

La lotta contro Manfredi fu senz'altro contro un epigono, ma il principe bastardo aveva lo stesso ideale del padre, e voleva realizzarlo in Italia, ossia nel cuore stesso della Chiesa. Papa Alessandro IV (1254-1261)" , sebbene nipote di Innocenzo III e Gregorio IX, non era all'altezza della situazione. Non riuscì a trovare nessun principe a cui infeudare la Sicilia, e perdette il controllo del Mezzogiorno. Manfredi divenne re, ed estese la sua influenza sullo Stato Pontificio e persino su Roma. Le trattative con il principe non servirono, e neanche la scomunica. Persino in Germania non seppe pronunziarsi tra Alfonso X di Castiglia e Riccardo di Cornovaglia, avendo a cuore solo che non fosse eletto Corradino di Svevia. In queste circostanze, la Casa Sveva poteva obiettivamente e gradatamente risorgere.

Il nuovo Papa, Urbano IV (1261-1264) , si dedicò proprio a combattere tale minaccia. Riacquistata l'autorità sullo Stato della Chiesa, propose a Carlo I d'Angiò (1226-1285) di regnare sul Meridione, riconoscendo la sovranità feudale della Santa Sede e dando ampie garanzie di libertà ecclesiastiche. Avrebbe dovuto inoltre rifiutare qualsiasi carica politica nello Stato Pontificio, in Italia e in Germania. Carlo accettò. Quanto pericolose potessero essere queste lotte per il Papa si vide proprio quando lo stesso Carlo, approfittando dell'immediata controffensiva militare di Manfredi contro la Chiesa, ottenne modifiche agli accordi, estendendo la propria influenza su Roma e l'Italia. Queste cambiavano padrone, ma non rimanevano nelle mani della Curia. Urbano IV si dovette piegare. Alla sua morte ci furono due anni di Sede vacante, e alla fine fu eletto Clemente IV (1265-1268) , che favorì l'Angioino in ogni modo, aiutandolo ad entrare in contatto coi guelfi toscani. La sconfitta di Benevento (1266) costò a Manfredi il regno e la vita. Ma la Chiesa non aveva raggiunto la sua libertas se non de iure: l'egemonia angioina toccava tutta l'Italia

. Codazzo imbarazzante della lotta con gli Svevi fu la contesa tra Clemente e Corradino . La sua elezione a re tedesco fu boicottata dal Papa, e il giovane principe scese in Italia per conquistare la Sicilia, sulla quale gli aveva dato assicurazioni - non rispettate - anche Alessandro IV. A lui guardavano i ghibellini d'Italia, e tanto bastava per far diventareisterico Clemente IV. Egli conferì a Carlo d'Angiò il titolo di vicario imperiale per la Toscana, così da poter punire legalmente chiunque perturbasse la pace d'Italia. Quale esito dovesse avere questa pelosa preoccupazione, era chiaro. Scomunicato e deposto dal trono di Gerusalemme - su cui aveva solo dei diritti — Corradino fu sconfitto a Tagliacozzo, processato e giustiziato a soli sedici anni (1268). L'atto era legale, ma quanto fosse morale è difficile dire. Certo, segnò la fine del ghibellinismo in Italia e in Germania. Ma Clemente non potè godersi la vittoria, perché morì un mese dopo (29 nov. 1268). Egli credeva che l'egemonia angioina fosse migliore per la Chiesa, solo perché Carlo I si prestava a fare da braccio secolare alle imprese papali per proprio tornaconto. In realtà, intelletti più alti del suo, come quello dei successori Gregorio X (1271-1276) e Niccolò III (1277-1280) compresero bene la nuova minaccia, e lavorarono duramente per restaurare una libertà ecclesiastica che non fosse solo il predominio di una fazione su tutte le altre. Che bilancio si può fare di questa lotta epocale, che segnò la fine dell'Impero nel senso medievale, e fece della Santa Sede la potenza egemone ? Raggiunse i suoi obiettivi religiosi?

Se per obiettivo religioso intendiamo la distruzione della potenza che proponeva un ordine politico-spirituale alternativo, in cui la Chiesa sarebbe stata subordinata e dipendente, dobbiamo dire che fu raggiunto e ciò fu senz'altro un bene, sia per la Chiesa in quanto tale, che alla struttura monarchica indipendente deve la maggior parte dei suoi successi, sia per la società in genere, in cui l'egemonia dello Stato sulla religione è sempre un fattore di regresso. Se inoltre è religioso l'obiettivo di creare i presupposti politici per una libertà spirituale, allora anche questo obiettivo fu raggiunto, forse anche con troppo successo, squilibrando l'assetto strategico dell'Europa e rafforzando a dismisura i guelfi, anche - come dicevo - a scapito della Chiesa stessa come istituzione universale. Ma se la lotta contro gli Svevi viene vista come preambolo per una più incisiva azione spirituale della Chiesa nella società, sgombra di competitori, allora dobbiamo constatare il fallimento. Dopo aver lottato tanto, trascurando spesso anche questioni fondamentali di vita religiosa, il Papato non seppe - perché non volle o non potè - dare risposta ai problemi maggiori: la lotta preventiva all'eresia, il contenimento degli abusi disciplinari, lo sviluppo della vita religiosa popolare, l'incremento della missione ai pagani, il superamento dello Scisma orientale, la Crociata. Mancò alla Chiesa un partner politico autorevole e forte - uno Svevo guelfo, tanto per dire - e spesso anche un Papa sufficientemente capace o, se tale, abbastanza longevo. Molte difficoltà si erano stratificate da parecchio, e con la lotta agli Svevi avevano poco a che fare, ma la cura che la Santa Sede dovette destinare a questioni politiche - in quanto nuova potenza egemone - la distolsero ulteriormente dalle sue priorità.

Persino nell'ambito della cultura, all'epoca appannaggio esclusivo dei chierici, non si poterono evitare due veleni: l'averroismo politico -di cui ho detto - e il curialismo teocratico, che accresceva a dismisura le rivendicazioni temporali della Chiesa.

Infine, com'è noto, la sconfitta dell'Impero provocò l'ascesa delle monarchie nazionali e delle Signorie, che destabilizzarono il quadro politico mondiale mettendo in crisi l'egemonia papale, e creando le basi per un nuovo cesaropapismo (si pensi a Filippo il Bello), sorretto da una solida riflessione giuridica, destinato a successi ben più duraturi di quelli degli Svevi.
A distanza di secoli, dobbiamo quindi riconoscere una genuina e tipicamente medievale ispirazione religiosa nella lotta contro gli Svevi, che tuttavia non riuscì a sortire gli obiettivi più veri e più determinanti, perché alla fine soffocata dalla spirale dei contrasti che essa stessa aveva dovuto affrontare. Ma l'idea di Chiesa, così come noi oggi la conosciamo,sopravvive e prospera anche per questa lotta. E ciò, a posteriori, costituisce senz'altro un risultato positivo epocale, che neanche le crisi successive poterono più mettere in discussione.
 
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