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Putin, la Russia e il mondo.
Di Rassegna Stampa - 28/04/2007 - Attualità - 1560 visite - 0 commenti
Un sasso nello stagno Putin avverte il mondo di Fulvio Scaglione Le tensioni che in questo periodo scuotono i rapporti tra Russia, Polonia, Estonia, Repubblica Ceca e Usa possono sembrare improvvise solo a chi negli ultimi quindici anni sia vissuto sulla luna. Era anzi inevitabile che si arrivasse a questo show down, nel punto in cui s’incontrano e si scontrano due moti opposti: l’avanzata verso Est dell’influenza americana, l’espansione verso Ovest dell’ambizione russa, spinta dalla ripresa economica. Oggi si discute dello "scudo spaziale" da installare in Polonia e nella Repubblica Ceca, ma ieri si litigava su Ucraina, Georgia e Moldavia, l’altro ieri sulla Belorussia vicina a Mosca e sull’Azerbaigian vicino a Washington, prima ancora sugli oleodotti da tracciare nel Caucaso. Per non parlare della Cecenia: gli Usa la considerano la grande palestra del neo-autoritarismo russo, in Russia molti sono convinti che proprio gli Usa abbiano soffiato, per interposta Arabia Saudita, sul fuoco dell’irredentismo ceceno. Una citazione ormai frusta dice che "le grandi potenze non hanno ideali ma solo interessi". C’è in questo caso una paradossale inversione dei termini: gli ideali, i valori ci sono ma sembrano solo complicare le cose. Prendiamo la polemica tra Estonia e Russia sul monumento all’Armata Rossa: per gli uni l’esercito sovietico fu uno strumento di dominio imperialista, per gli altri il primo liberatore dal nazismo di quella parte di Europa. Hanno ragione entrambi. Sarebbe forse più semplice se la Russia potesse dire che detesta la politica filo-occidentale dell’Estonia, e questa potesse ammettere che il gasdotto russo-tedesco che la taglierà fuori dai diritti di transito è una vera doccia fredda. Altrettanto vale per la polemica sullo scudo spaziale. Ha ragione Condoleezza Rice quando dice: "E’ ridicolo pensare che dieci intercettori e qualche radar possano minacciare il deterrente strategico sovietico (così, ma voleva dire russo, n.d.r)". Ma è anche ridicolo sostenere, come invece fa la Rice, che l’Iran o qualche altro Stato canaglia (la Siria? La Corea del Nord?) voglia bombardare la Polonia, quella stessa Polonia che non perde occasione per polemizzare con Mosca. E se intercettori e radar fossero schierati in Messico o in Canada, come reagirebbero gli Usa, che considerarono persino l’isoletta di Grenada una minaccia alla sicurezza nazionale? Parlando di rischi di "distruzione reciproca", minacciando di congelare il Trattato sulle armi convenzionali in Europa, riesumando toni da Guerra Fredda, Putin ha voluto gettare un sasso, anzi un masso, nello stagno. Ha sollevato molti spruzzi, cioè ha raggiunto il suo scopo. L’Occidente stenta a capire che la Russia non è più quella del 1999, quando la Nato iniziò le operazioni in Kosovo senza neppure avvertire il Cremlino e il premier Evgenyj Primakov, che stava volando verso Washington per una visita di Stato, girò l’aereo e tornò a Mosca, facendosi anche un po’ ridere dietro. Oggi la Russia ha i mezzi e soprattutto la volontà per chiedere considerazione e rispetto e per respingere quel "mea culpa" continuo che da più parti le si chiede per i pure enormi misfatti sovietici. Putin non è un tenero e la sua idea di democrazia somiglia poco alla nostra. Ma alla sua Russia, così assertiva e convinta, almeno un merito bisogna riconoscerlo: quello di ricordare a tutti che, tra Usa, Russia, Cina, India e altre grandi e medie potenze emergenti, viviamo in un mondo sempre più plurale. Organizzarlo a senso unico può essere forse una pretesa, non necessariamente una buona idea. Avvenire, 28 aprile.
 
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