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Madre Teresa, il card. O'Connor e l'aids
Di Francesco Agnoli - 06/10/2011 - Storia del Cristianesimo - 1508 visite - 0 commenti


Un principio importante del cristianesimo è la distinzione tra peccato e peccatore. Si tratta di un principio essenziale per tenere insieme Verità e Carità. Un esempio bellissimo della concretezza di questo concetto è la storia che raccontavo alcuni mesi orsono su questo giornale: quella di Ettore Vernazza, il notaio genovese, figlio spirituale di santa Caterina da Genova, che fondò per primo gli ospedali per sifilitici.

Le vicende del Vernazza mi avevano affascinato per la sua immensa generosità, ma anche per la sua apertura rispetto alla realtà: la sifilide era un male a trasmissione sessuale, veicolato soprattutto dalla prostituzione, dalla promiscuità sessuale, dall’adulterio seriale ecc… Tutte cose che il devoto notaio Vernazza, da buon cattolico, considerava, senza giri di parole, peccati.

Eppure fu lui il primo, non solo in Italia, ma in Europa, a cercare una soluzione perché i sifilitici venissero accuditi e seguiti con amore. Una storia analoga è quella del vecchio cardinale John O’ Connor, arcivescovo di New York sino all’anno 2000.

O’ Connor viveva in una città fortemente secolarizzata, con un altissimo tasso di aborti, forse il più alto del mondo libero, ed una forte presenza di gay, frequentatori delle cosiddette bath houses, case in cui si consumavano orge, droga, festini sadomaso e quant’altro. Lungi dal conformarsi allo spirito del tempo e del luogo, O’ Connor difese la visione antropologica cattolica, ribadendo i principi della Chiesa: no al preservativo, come metodo di riduzione, presunta, dell’aids; immoralità degli atti omosessuali, da lui definiti “contro la legge naturale”; opposizione ferma alle prime leggi discriminatorie contro la cosiddetta “omofobia” ed ai principi e movimenti abortisti. O’ Connor fu addirittura creatore, nel 1991, di un nuovo ordine denominato Sisters of Life (o Sorores Vitae), dedite alla difesa del “rispetto della sacralità della vita umana”, soprattutto nascente.

Alla sua morte Repubblica lo ricordò così: “Il cardinale O'Connor è stato una figura di primo piano nel mondo cattolico e una delle personalità religiose più in vista d'America, noto per le sue battaglie anti-abortiste e per le sue dichiarazioni contro l'omosessualità, contrario al sacerdozio delle donne, ma anche voce dei deboli e degli emarginati”.

 Infatti, come racconta Dominque Lapierre nel suo “Più grandi dell’amore”, proprio O’ Connor, come un novello Vernazza, fu uno dei primi a chinarsi sulle disgrazie dei gay della sua città. New York, infatti, era, a metà degli anni Ottanta, il luogo in cui vivevano circa la metà dei malati di aids americani. Erano per lo più gay, tossicomani, frequentatori delle bath houses...

Nel 1985 l’epidemia colpì 2140 persone, il doppio dell’anno precedente. Eppure, scrive Lapierre, “molti nosocomi continuavano a rifiutare i malati. Quando si rassegnavano a ricoverarli, li isolavano come appestati o, peggio ancora, li distribuivano nei vari reparti, esponendoli così ad una infinità di altre infezioni”.

D’altro canto l’ostracismo di cui la malattia era oggetto, il suo rapido propagarsi tra i tossicomani neri o ispanici privi di mezzi, creavano situazioni senza sbocco. In mancanza di una famiglia o di un centro di assistenza, molti malati le cui condizioni non richiedevano il ricovero erano condannati alla strada”.

Il sindaco di New York, Edward I. Koch, volle allora fare qualcosa, ma non sapendo che pesci pigliare si rivolse proprio ad O’ Connor. Il cardinale, infatti, aveva già creato un’ “unità speciale di cura per l’Aids” presso il vecchio ospedale Saint Clare, che era forse l’unico ad occuparsi con una certa premura e professionalità delle persone colpite da quel morbo fatale. Koch conosceva le posizioni ideali di O’ Connor, ma anche la sua grande carità. Per questo gli chiese aiuto.

O’Connor si mise subito all’opera e scovò, in uptown Manhattan, “un vecchio edificio abbandonato che apparteneva al convento del santo Nome di Gesù”. Diede ordine di restaurarlo, per farne un ospedale per malati di Aids, ma la sollevazione popolare fermò ogni progetto. O’Connor non si demoralizzò e poco dopo trovò un altro luogo, “un presbiterio di cinque piani vicino alla chiesa di santa Veronica, parrocchia un tempo fiorente, ma ormai praticamente senza fedeli”.

O’Connor decise che il nuovo ospizio avrebbe dovuto nascere lì, guarda caso a pochi metri da dove era nato, nel 1969, il “movimento di liberazione gay”, nel cuore di Greenwich Village. Rimaneva solo da trovare chi si occupasse di questo nuovo genere di malati, per lo più gay, tossicomani incalliti, e frequentatori di bordelli: un po’ i sifilitici della contemporaneità.

Occorreva personale pronto ad un lavoro sfiancante e deprimente, che sapesse soprattutto accompagnare alla morte individui quasi sempre, a quei tempi, “spacciati”. O’Connor pensò alle stesse persone che accudivano i lebbrosi, i paria e i moribondi, in India: le Suore di madre Teresa di Calcutta. Sarà proprio lei, madre Teresa, ad inaugurare il “primo centro di assistenza per malati di Aids privi di mezzi” di New York, la notte di Natale del 1985, con il sindaco e il cardinale della città. Il Foglio, 11 agosto 2011

 
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