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La crisi economica che stiamo vivendo è di portata devastante. Non è un’affermazione esagerata, né personale: la si può leggere e udire ovunque nei media, negli interventi degli esperti, nei discorsi dei politici. E non è neanche solo una crisi economico-finanziaria.
È molto di più, molto più profonda nelle sue radici e cause, molto più vasta nelle sue conseguenze. Ormai non sono pochi gli intellettuali di ogni genere, pur quasi sempre non cattolici, a evidenziare tutto questo. Lo ha fatto per esempio in maniera usualmente chiara Ernesto Galli della Loggia in un suo editoriale sul Corriere della Sera di domenica 21 agosto 2011.
La sua è una lucidissima denuncia della triste fine delle democrazie odierne, che da politiche sono diventate “economiche” e – come lui le definisce – “democrazie della spesa”, vale a dire fondate quasi esclusivamente sulla necessità di spendere soldi da parte dei governi allo scopo di poter sperare nuovamente in una propria rielezione politica alle successive elezioni.
Tale meccanismo, oltre a provocare i disastri finanziari che da anni ci perseguitano e che sono divenuti ormai strutturali al nostro sistema, ha contribuito a svuotare di potere politico reale i governi stessi, al punto tale che oggi, in verità, nessuno al mondo sa più chi è che comanda. Infine, tale drammatica situazione è ancor più esacerbata dall’assenza almeno dagli anni Ottanta, a livello assolutamente mondiale, di statisti veri, che possano operare per il bene comune. Gli attuali, da Obama ai leader europei nessuno escluso, sono insomma solo delle comparse, che poco o nulla sanno fare e possono fare. Anzitutto perché neanche essi hanno più ormai il potere politico per agire su chi controlla, o, per meglio dire, fa il bello e il cattivo tempo con l’economia mondiale e con il sistema mondiale della spesa su cui si regge il mondo odierno.
Queste amarissime considerazioni del politologo italiano, come noto di estrazione fortemente laica (sebbene non pregiudizialmente anticattolica), fanno da contrasto, in una mattinata di afosissima domenica d’agosto, con le immagini di un milione e mezzo di giovani in piazza a Madrid, sotto un sole spietato da ore o da giorni, in attesa della Messa di Papa Benedetto XVI, che conclude la GMG 2011. Un milione e mezzo, due milioni di giovani: queste sono le cifre usuali delle GMG, e, a sorpresa di tutti, ciò è stato vero non solo con Giovanni Paolo II, il grande comunicatore, ma continua a essere vero anche con l’attuale pontefice, tanto scomodo quanto all’apparenza “inattuale”.
E tali cifre si ripetono in ogni parte del mondo, non solo nella geograficamente comoda Europa: le abbiamo viste anche nel Nord America, in Australia, le vedremo, se Dio vuole, fra due anni a Rio de Janeiro. E tali cifre riguardano solo i giovani. Non si tratta infatti di raduni generali aperti a tutti. Sono solo per i giovani, i quali, se ad aiutarli a viaggiare hanno da un lato entusiasmo e spirito di avventura, mancano dall’altro spesso di soldi e magari anche di autonomia e di coraggio (inutile accennare alle ben note problematiche anche psicologiche dei giovani d’oggi).
Eppure, ogni due anni sono lì, a pregare, a cantare, a gioire, in qualsiasi parte del mondo. E così è avvenuto anche in questi giorni in Spagna, mentre gli indignados schiumavano di rabbia per l’assoluto vuoto intorno a loro, vuoto di interesse, vuoto politico (perfino l’iperlaicista Zapatero è andato di sua sponte a rendere omaggio al Papa…), vuoto mediatico, vuoto delle loro anime ricolme di un odio annientato dalla gioia di milioni di ragazzi sorridenti e oranti venuti da tutto il mondo per salutare e ascoltare il successore di Pietro. Da un lato si parla di mondo che crolla: non stiamo esagerando, un po’ ovunque, sui giornali e sui media, tale espressione sta facendo sempre più capolino, chiunque segua gli eventi l’avrà letta o sentita. Dall’altro, vi sono milioni di giovani (non solo quelli presenti a Madrid, ma anche tutti quelli, ben più numerosi rimasti per tante ragioni a casa dinanzi alla tv a seguire l’evento), anzi, decine di milioni, forse centinaia di milioni di cattolici giovani e non più, che seguono con entusiasmo, attenzione, fiducia, speranza, amore, le parole e le preghiere del successore di Pietro. Da un lato, ci si impazzisce, sia a livello mondiale che nazionale – basti pensare che gli Stati Uniti (dicesi Stati Uniti!), hanno rischiato, come si suole dire, il default, o basti pensare alla nostra povera Italia sempre più in via di dissoluzione – perché non si viene a capo di una crisi che ormai dura da venti anni (anche se nessuno lo ammette), e va sempre peggiorando, mentre le società “scoppiano” nella violenza folle (basti pensare ai disordini di Parigi, Atene, Madrid, Londra e Birmingham, ora Berlino, e poi?); dall’altro, ci si entusiasma per la propria fede, pur essendo perfettamente consapevoli che al ritorno a casa non vi saranno più soldi nel proprio portafoglio (semmai di meno…), e ci si riempie comunque di vita e di gioia. Mentre Galli della Loggia fotografa con acuta intelligenza il disastro attuale senza però realmente fornire via credibili di uscita (né lui né nessun altro, naturalmente), milioni di persone su questo pianeta sono già oltre. Non oltre i propri dolori, bisogni, problemi economici e di ogni genere, quelli rimangono nella vita quotidiana.
Sono già oltre nella risposta e nella speranza che danno interiormente ed esteriormente a tali dolori e problemi. Il mondo crolla, e loro pregano. Il mondo è disperato, e loro cantano. Obama, Sarkozy, Merkel, Cameron, e tutti gli altri (italiani in primis) non sanno che pesci prendere, e loro guardano con piena fiducia all’unico uomo che non ha alcun potere politico ed economico effettivo reale, ma che fornisce loro la soluzione alla loro vita. Non parla di pensioni, di scudi fiscali, di province, di FED, di Eurobond, non propone di prendersi con una spudorata guerra il petrolio della Libia come sta facendo chi per primo condannava Bush perché si voleva prendere il petrolio dell’Iraq.
Non propone ricette politiche e sociali. Eppure, i giovani sono là, da questo ultraottantenne teologo che però siede sul trono di Pietro, vale a dire sul trono – anche politico – più antico del mondo. Sembra incredibile, eppure è realtà: non Obama o chi per lui (che al massimo riceve feste e applausi ogni 4 anni per due mesi) e tanto meno i politici europei; non i grandi della finanza; non gli intellettuali, e nemmeno attori, cantanti e modelle (il cui successo è una meteora), ma solo la Chiesa di Roma può chiamare a raccolta, ovunque e quando vuole, milioni di persone, pronte ad amarla, a servirla, forse a morire per essa.
E questo ancora oggi, in questa società in cui viviamo dove tutto o quasi conduce lontano dalla fede e da Cristo. Probabilmente, molti, moltissimi, intellettuali, economisti, politici, scienziati, laicisti, indignados di ogni genere e tipo, avranno sorriso sardonicamente vedendo milioni di giovani sotto il sole e la tempesta per giorni in attesa dell’uomo più “inutile” del mondo, se non “nocivo”, mentre tutto l’Occidente sta per crollare. Ma è un sorriso amaro il loro: è il sorriso di chi non può negare a se stesso il fatto che quell’uomo inutile… non è affatto inutile. Anzi, per centinaia di milioni di persone è forse l’unico uomo veramente utile oggi sulla terra. Lui, proprio lui, che non ha alcun potere materiale, ma che ha un immenso potere dello spirito, o meglio, che gestisce questo infinito potere, un potere che non viene dagli uomini, e in quanto tale invincibile. Tutto ciò merita una riflessione conclusiva, con due aspetti, uno ab intra del mondo cattolico, l’altro ab extra. Ab intra: tutti felici? No, non credo proprio.
Inutile continuare a nascondersi dietro a un dito. L’immenso successo di queste giornate, che fanno seguito a quelle di Colonia e Sidney, appartiene sì alla Chiesa e alla fede cattolica, ma anche a Papa Benedetto XVI. Il suo stile, così profondamente differente da quello del suo predecessore, faceva pensare a tutti che le GMG sarebbero tramontate con il tempo, che i papaboys erano solo di Giovanni Paolo II, un fenomeno mediatico che sarebbe morto con lui. Benedetto XVI ha dimostrato ormai per la terza volta, dopo 6 anni dalla morte del predecessore, che non è così, anzi.
Ed è proprio questo che, mentre scriviamo, starà facendo schiumare di rabbia una non troppo minoritaria parte del clero e dei cristiani “adulti”, “progressisti”. Queste giornate, ancor prima dei laicisti e degli anticattolici di ogni risma, segnano la sconfitta proprio di tutti coloro – fedeli semplici o impegnati, intellettuali, religiosi/e, teologi e teologhesse, sacerdoti alternativi e parroci di frontiera, vescovi e cardinali ribelli – diffusi un po’ ovunque ma soprattutto nel centro-nord Europa e nelle Americhe, che credono che la Chiesa debba “aprirsi al mondo” (ancor più di quanto abbia già fatto…) accettando tutte le deviazioni dottrinali che il mondo richiede, dall’ambito teologico-morale a quello politico-sociale.
Diciamolo apertamente: i giorni di Madrid sono l’ennesima, ripeto ennesima, conferma che tutte le folli richieste del clero progressista europeo (uso degli anticoncezionali, sesso senza la remora del peccato come liberazione dalla “morale paolina”, magari per alcuni anche aborto libero, elezione popolare dei vescovi, elezione popolare del papa e durata temporanea del suo mandato, vendita dei beni della Chiesa, matrimonio dei religiosi, apertura alle donne delle cariche ecclesiastiche e della celebrazione della messa, lotta contro il capitalismo o anche contro la proprietà privata, magari anche accettazione dell’omosessualismo e perfino di altro… e chi più ne ha più ne metta), oltre a indicare palesemente da quale fonte siano ispirate, non hanno neanche alcuna utilità “mediatica”. Voglio dire che, anche senza considerare la loro follia teologica, religiosa e anche intellettiva, non servono nemmeno a “raccogliere consensi”. Il consenso era a Madrid, paradossalmente nella patria di Zapatero. Il consenso ce lo ha Pietro, che fermamente ha sempre condannato e condannerà sempre tutte e ognuna le eretiche, folli e sovversive pretese del clero progressista.
Dicono che bisogna aprirsi al mondo, e avanzano proposte di autodistruzione e perdizione per piacere a chi li vuole annientare. E nemmeno serve, perché ai giovani, quelli veri, delle loro richieste fondate sull’invidia sociale e sull’odio della sovversione morale non interessa nulla. I giovani vogliono carità, speranza, fede. Vogliono un ordine e un uomo in cui credere, che rappresenti l’unico Ordine e l’unico Uomo (Dio) per cui vivere.
Ecco perché erano a Madrid. Benedetto XVI da solo ha in questi giorni risposto chiaramente a “Noi siamo Chiesa”, a tutti e ciascuno di coloro che, dichiarandosi cattolici, credono che il mondo sia più forte di Dio. Diciamolo: in molte diocesi francesi, belghe, tedesche, austriache, svizzere, brasiliane, centro-americane, in parte statunitensi, canadesi, e in qualcuna anche italiana, oggi non si fa festa. In fondo, i veri sconfitti sono proprio loro, i cattolici “adulti” e di frontiera. Che portino in piazza due milioni di giovani, se possono… Credono di poter comprare le anime divenendo i paladini del riscatto dei piaceri del mondo: invece, i poveretti sono già umiliati su questa terra, fin da ora.
Per quanto il noto cattolico adulto prof. Alberto Melloni si disperi ogni volta contro l’attuale pontefice perché non è come lui lo vorrebbe e continua di contro a condannare i diritti dei gay e a non capire le istanze delle moderne democrazie laiche (l’ennesima denuncia del giornalista docente in tal senso è nel Corriere della Sera del 20 agosto scorso), in realtà egli continua solo a far finta di non capire che i giovani cattolici non seguono i suoi schemi da cattolico adulto che va oltre la morale paolina, ma seguono la voce del cuore che li porta da Pietro, da quel pontefice che si ostina a ribadire che la legge di Dio non cambia, né oggi né mai, con buona pace del Melloni solitario, cui rimane come unica soddisfazione l’accesso al più importante quotidiano nazionale per poter denunciare il suo personale disgusto per l’evidenza dei fatti.
Ab extra. Galli della Loggia chiudeva il suo editoriale con una eccellente osservazione. Denunciava il fatto che un’altra delle conseguenze rovinose della economicizzazione della politica mondiale è stata la fine di una robusta politica estera, specie per i Paesi europei (indica de Gaulle, Kohl e la Tatcher come gli ultimi statisti che hanno fatto qualcosa di importante in politica estera). Ha perfettamente ragione, e questo vale prima di tutto per l’Italia, da sessant’anni colonia sottomessa anzitutto in tale campo. Quando gli Stati avevano potere reale, quando esistevano statisti veri, la politica estera era il metro di misura più importante nel giudizio storico. Oggi, a parte gli USA (e ogni giorno di meno), chi fa ancora politica estera in maniera pienamente autonoma e responsabile? Ebbene, anche in questo aspetto potrebbe esservi una sorpresa. Infatti, se per politica estera si intende la capacità di uno Stato o di un governo di influenzare gli eventi e risolvere i problemi internazionali (e di conseguenza quelli nazionali), in linea di principio la politica estera più insignificante del mondo dovrebbe essere quella della Santa Sede, che non ha esercito, non ha banche, non ha potere, non ha alcuno degli strumenti necessari per esercitarla.
Eppure, il Re della Città del Vaticano, cioè il Sovrano Pontefice, in questi giorni ha fatto un’eccellente politica estera. Non nel senso tradizionale come la può intendere Galli della Loggia e chiunque altro al mondo, ma nella maniera unica che spetta alla Chiesa Cattolica di oggi: ha esercitato un potere effettivo sull’animo di decine e decine di milioni di giovani di tutto il mondo, ognuno dei quali certamente sarà più pronto a dare la sua fiducia e il suo cuore al Vicario di Cristo a Roma che al proprio Capo di Stato o leader di partito. Più politica estera di questa? E ciò è vero ancor più oggi, mentre tutto crolla intorno a noi e nessun governo è più in grado di esercitare una politica estera nel senso tradizionale del concetto. Quando tutto crolla, rimane pur sempre una cosa: l’animo di ogni uomo, con la sua intelligenza, con il suo cuore, con i suoi pregi e difetti. E chi è l’unico uomo al mondo oggi in grado di influire decisamente sull’adesione intellettuale e su quella della fede e del cuore di decine di milioni di persone in tutto il mondo? Certo, è una politica estera spirituale e morale, non economica o militare.
Quella, la Chiesa l’ha anche fatta, e per secoli. E il giudizio a riguardo spetta allo storico onesto. Ma quelli erano altri tempi. Erano i tempi in cui ogni Stato era uno Stato vero, non sottoposto a misteriosi poteri forti della finanza, i cui sovrani temevano (spesso) Dio e la legge naturale, e rendevano omaggio reale al Vicario di Cristo, erano i tempi della Cristianità, i tempi del Sacro Romano Impero e dell’universalismo cristiano. Tempi maledetti dall’illuminismo in poi, ancor oggi odiati e vituperati in nome della laicità dello Stato, in nome della democrazia odierna, quella appunto della spesa.
Un mondo poggiato su valori eterni che ci è stato strappato come ci si libera di una cosa ignominiosa, per farci vivere nella odierna società della spesa. Ci abbiamo realmente guadagnato? Forse, questi sono i giorni adatti per cominciare a porsi anche questa atroce domanda. Vuoi vedere che si stava meglio prima, nell’abominevole società cristiana, quando la fede sorreggeva la morale, la morale la politica, la politica l’economia, e l’economia serviva a garantire il bene comune? Quando l’imperatore era l’imperatore, il re il re, e il banchiere faceva il banchiere, e niente più? Anche questa, forse involontariamente, è la grande politica estera di Benedetto XVI, l’unica possibile oggi.
E forse ci si può accorgere che in questo mondo qualcuno ancora comanda, la persona più insospettabile: comanda i cuori, dirige le menti. E quel qualcuno è solo un umile servitore dell’unico eterno Signore e Re di tutto l’universo.