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«Se anche per un’unica volta accettiamo il principio del diritto a uccidere i nostri fratelli […] allora in linea di principio l’omicidio diventa ammissibile per tutti gli esseri improduttivi, i malati incurabili, coloro che sono stati resi invalidi, e noi stessi, quando diventiamo vecchi. Chi potrà ancora avere fiducia nel suo medico? Potrà condannarlo a morte». Sono trascorsi esattamente settant’anni da quando il vescovo di Münster, il cardinale Clemens-August von Galen, pronunciò queste parole in un’omelia tenuta nell’agosto del 1941. Eppure non si direbbe, tanto sono attuali rispetto al tema dell’eutanasia e del presunto “diritto a morire”. In particolare, dell’argomentare del cardinale, colpisce il tono col quale ci mette in guardia, perché «se anche per un’unica volta» si accetta l’eliminazione di un essere umano, questa «diventa ammissibile per tutti». A giudicare da come anche tanti esponenti del clero abbiano preferito tacere davanti alle morti di Terry Schiavo ed Eluana Englaro, e di come, più in generale, si sia diffusa l’idea che esistano “casi limite” nei quali si può procedere alla deliberata soppressione di esseri umani ormai «incurabili», viene da sospettare che il cardinale von Galen fosse uno che la vedeva davvero lunga. E che, soprattutto, amasse parlare chiaro, lui che fuori casa aveva gli uomini di Hitler, mica Pannella; non per nulla si meritò il soprannome di "leone di Münster". Peccato che, settant’anni dopo, siano sempre meno, non solo a Münster, coloro che ritengono che non si debba uccidere neanche «per un’unica volta». Ah, se solo ci fossero in giro meno colombe e più leoni!