Diventa socio
Sostieni la nostra attivitą
Contatti
Cos’hanno in comune Anders Behring Breivik, il mostro norvegese, ed Amy Winehouse, la cantante morta ad appena ventisette anni? Apparentemente nulla. Di età simile e nazionalità diversa, quasi certamente non si sono mai conosciuti; forse lui ha ascoltato qualche canzone di lei, chissà. Eppure i loro tragici destini sembrano essersi dati appuntamento in questi giorni: il primo ha sterminato cento giovani, la seconda ne ha delusi milioni. Entrambi sono stati sintesi di solitudine e follia, entrambi avrebbero avuto bisogno di aiuto, entrambi – ciascuno a suo modo - passeranno alla storia. Perché il male che hanno fatto e si sono fatti supera la soglia di tolleranza – già alta, purtroppo – cui siamo abituati, costringendoci a ripensare il nostro mondo. Tutto sta, a questo punto, nello scegliere tra due ipotesi: possiamo sollevare ancora l’asticella della nostra indifferenza – e quindi convincerci che tragedie come queste non ci appartengano -, oppure abbassarla e guardare fuori dalla finestra, alla ricerca di sguardi spenti. Perché, anche se può sembrare assurdo, per strada e magari pure nelle rubriche dei nostri telefonini ci sono altri Anders ed Amy. Altri, cioè, che vivono alla giornata, convinti di avere ormai poco da perdere e parecchio da distruggere. Dobbiamo amarli prima che sia troppo tardi, prima che la loro divenga simpatia per la morte. E prima che ci tocchi nuovamente l’incontro con la domanda peggiore, quella che ci si pone quando non si può più fare nulla, la sola senz’alcuna soluzione: com’è stato possibile?