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centochiodi
Di Marco Luscia - 10/04/2007 - Attualità - 1247 visite - 0 commenti
Per raccontare la storia racchiusa nell’ultimo film di Ermanno Olmi partirò dall’epilogo: il giovane e avvenente professore di filosofia, che ha abbandonato il mondo per rifugiarsi sulle rive del Po a vivere con una comunità -perlopiù di vecchi- scompare definitivamente. A nulla vale l’attesa dei popolani che lo avevano conosciuto, a nulla servono i poetici festeggiamenti ammanniti con cura per il suo ritorno e nulla valgono le lacrime che rigano il volto della giovane fanciulla che forse lo amava. Il professore pentito non tornerà più, i volti della gente e il sinuoso e silente serpeggiare del fiume sull’ora del tramonto tingono con un mesto accordo il consumarsi della narrazione. Tutto era cominciato con l’addio al mondo dei libri, in quella cattedrale del sapere rappresentata dalla biblioteca universitaria. L’insegnante stimato e affermato, in una notte aveva inchiodato al suolo centinaia di libri aperti; li aveva crocifissi con cieca ostinazione e con quel gesto espresso un giudizio di rottura con il sapere, con il calcolo, con la ragione che tutto presume. Se ne era andato gettando nel fiume documenti e passaporti. Tutto il passato scorreva lieve trasportato chissà dove dal solenne fluire del Po. Da quel momento lo sguardo dell’uomo si rifà puro ed ogni cosa, sia pianta che oggetto, sia tramonto che temporale, si imprimono nel cuore di quel nuovo essere, un persona rinata, capace di cogliere la luce del mistero che avvolge e rivela un oltre, una profondità mai vista. Il vecchio rudere fra i canneti, che nessuno aveva mai osservato, torna a vivere, perché l’anima e le mani del professore lo rendono una casa. E la casa si riscalda grazie all’incontro con un popolo minuto di gente semplice, di abusivi che vivono ai margini del fiume. Torna in questa frequentazione, all’insegna della pura gratuità, la naturalezza di un passato perso che rivive nei gesti e nel gergo dei popolani, nella sensualità purissima e selvatica della panettiera, nei dialoghi che puntano all’essenziale. Non importa che questo mondo esista o meno o se in esso si materializzino trasfigurati i ricordi e le nostalgie del regista. Questo mondo è vero come vera è la forza di una civiltà che trasforma ogni esperienza in cosa, in calcolo, in profitto e violenza. Emerge dal film il contrasto fra la logica del dono e l’incedere di un “progresso” che vuole cacciare il popolo del fiume dalla propria terra, dai propri riti, dal proprio mondo. E’ qui che si erge in difesa di questi fratelli occasionali la figura del “Cristo professore”, rivelando con ciò la propria identità e il “delitto” commesso nei confronti dei libri e della cultura. Per questo, di notte, lo vengono a prendere per arrestarlo. Poi il finale e quel ritorno mai realizzato di cui dicevo in avvio di questo commento. A questo punto vorrei osservare e sperare una cosa: che qualcuno dei protagonisti, di coloro che hanno vissuto l’incontro con l’imprevisto personaggio, si sia preso la briga di raccontarlo, di fissarne la storia …proprio in un libro! Libri crocifissi all’inizio e libri scritti alla fine, per salvare un’esperienza, una storia importante, che altrimenti il tempo avrebbe avvolto e obliato. Ma questa è una mia illazione. Il film di Olmi è un testamento, libero da ogni autocensura, un doloroso percorso interiore, uno sguardo gettato sulla vita. In esso non traspare una critica alla Chiesa o alle religioni, bensì un richiamo alla naturalità, allo stupore da cui scaturisce ogni fede, una fede che per restare tale rifiuta la potenza codificante e violenta -non della ragione- ma della cecità, di una razionalità priva di ogni soffio morale. Perciò l’opera di Ermanno Olmi mi pare un’opera “pre-religiosa”; essa getta un fascio di luce sulla dimensione del sacro da cui necessariamente si origina la religione. Ed è bello vedere come dietro al sofferto profilo del professore si delinei con chiarezza il volto del Cristo, che davanti al dolore del mondo si rivolge al Padre chiedendogli conto dell’abbandono. Se oltre a tutto questo volessimo leggere una critica alla religione -e al cattolicesimo in particolare- credo commetteremmo un arbitrio e la strumentalizzazione di un’opera di un grande regista, perdendo l’essenziale.
 
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