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Amore e convivenza: scelte inconciliabili
Di Rassegna Stampa - 14/06/2011 - Matrimonio - 1772 visite - 0 commenti
di Costanza Miriano

“Il guaio dell'amore è che molti lo confondono con la gastrite”. Questo di Groucho Marx è il primo pensiero che mi viene in mente quando penso a matrimonio e convivenza.
Circolano un sacco di idee squinternate sull'amore tra un uomo e una donna, e quando ci si scontra con la realtà si danno delle poderose craniate. Personalmente sull'argomento avrei un miliardo di cose da dire, ne ho riempito un libro, un blog e me ne sono avanzate anche alcune (non è escluso che ne scriva un secondo). Ero stanca, infatti, di telefonare alle mie amiche per cercare di convincerle a sposarsi: troppi soldi in bollette telefoniche, e scarsissimi risultati pratici. Io a parlare non sono brava, così mi sono messa a scrivere. Adesso vanto al mio attivo qualche crisi rattoppata, e due onorificenze speciali: testimone di nozze a un'amica e a una sorella (purtroppo no, il mio vestito non è bello come quello di Pippa Middleton, lo ammetto).
La gastrite di cui parla Groucho Marx ci rimanda all'amore adolescenziale, quello tutto mal di pancia, farfalle nello stomaco, gratificazione di ego malsicuri. E' ovvio che alla ricerca di questo stato d'animo di perenne eccitazione sia prudente e ragionevole non sposarsi, vedere piuttosto come va, lasciarsi comunque la possibilità di tirarsi fuori dalla situazione senza troppe complicazioni.

Ma se l'amore è darsi, come si può pensare di non dare tutto, almeno di non provarci? Il desiderio di assoluto che c'è in ognuno di noi esige dal nostro amato, e lui da noi, un impegno totale, esclusivo, definitivo. Il matrimonio è questo, un salto, uno slancio di dono assoluto. E il matrimonio stesso, con la sua definitività, ci custodirà negli anni, nei momenti di fatica, di dubbio. Alzi la mano chi non ha mai pensato, nemmeno per un istante, di avere fatto la scelta sbagliata. Il dubbio viene, è normale, guardando a tutto quello che si è lasciato per prendere una strada, che anche se è la più bella, vera e giusta per noi, è pur sempre una sola, e il piccolo fugace sguardo a tutte le altre è la garanzia che la nostra è una vera scelta. Prendere qualcosa, scartare qualcos'altro (e ne so qualcosa io di quanto scartare sia doloroso, basta vedere il mio bagaglio medio per due giorni fuori, c'è almeno una carovana di cammelli che mi segue).

Tra matrimonio e convivenza la differenza non è affatto nella durata. Conosco convivenze decennali e matrimoni, purtroppo, durati mesi. La differenza è una vera e propria rivoluzione copernicana. Chi sta al centro.
Nella convivenza io, noi due nella migliore delle ipotesi, siamo il metro di noi stessi. Cerchiamo, spesso con impegno, serietà, onestà e lealtà di far andare le cose, ma se non vanno niente ci obbliga.
Il matrimonio è un trascendere se stessi, è affidare a un vincolo la propria vita, decidendo di spenderla tutta senza calcolare, senza risparmiare. In modo imprudente anche.
Infatti, ho appena scritto vincolo, ma avrei dovuto dire sacramento perché per come la vedo io senza la grazia di Dio sposarsi è davvero un grosso, grossissimo azzardo. Il giogo può anche in certi casi diventare davvero pesante da trascinare fino alla fine dei propri giorni. Impensabile farcela senza l'aiuto di Dio.

Il matrimonio cristiano, per me, è l'unico che abbia un senso. A meno che non vogliamo credere che quando ha detto “senza di me non potete far nulla” Gesù stesse scherzando. Io penso che parlasse sul serio, e che nulla voglia dire proprio nulla.

Senza l'aiuto di Dio non siamo capaci di un'impresa come imparare ad amare un'altra persona, diversa da noi, e per di più dell'altro sesso. No, dico, un uomo, in casa, per sempre, per tutta la vita. Uno che cambierà canale e aprirà le finestre nei momenti più inconsulti, che si annoierà agli appassionanti resoconti delle peripezie sentimentali di nostra cugina, che ogni volta che vogliamo parlare, caro, della nostra relazione verrà colto da un attacco di letargismo, che sbaglierà i nomi delle maestre e confonderà gli amichetti dei figli, che sbiancherà alla sola idea di organizzare una rete di telefonate per il regalo di fine anno alla catechista (lui lo sa, lo sa bene che avete quattro figli insieme, ma non è che pretenderai che conosca anche i nomi delle catechiste?).

Va bene, lo ammetto,anche stare con una donna, sempre la stessa, non è facilissimo. Una che quando dice “sono pronta tra cinque minuti” è bene che lui si sieda sul divano e tiri fuori il cofanetto di Stanley Kubrick, giusto voleva rivedere la versione integrale di Barry Lindon; una che non fa mai meno di tre cose insieme, e una delle tre è quasi sempre bruciare i bastoncini Findus; una che per strada si ferma a parlare anche con i lampioni, che esce a comprare una cosuccia e torna con due buste; una che dice di voler schiacciare la propria lingua sotto i piedi come l'Immacolata fa col serpente, ma è molto, molto lontana dall'obiettivo.

Amare davvero è difficilissimo: sostenersi, accogliersi, perdonarsi, capirsi e aiutarsi. E farlo nel modo in cui l'altro desidera, più o meno consapevolmente. A volte bisogna capire dell'altro quello che nemmeno lui sa, e ci vuole tutta la nostra creatività, l'intuito, la dedizione. Neanche i figli a volte siamo capaci di amare senza egoismo, senza proiezioni, dando loro quello di cui hanno bisogno davvero.

In questo la grazia di Dio agisce abbondante, copiosa, fluisce come un fiume a chi la chiede, perché questa è la Sua specialità: amare. Come si possa fare un progetto di amore senza metter Dio al centro, è incomprensibile.

Quanto alla convivenza, non vorrei entrare nelle polemiche sulle coppie di fatto che ci vorrebbe un altro libro: è chiaro infatti che la richiesta di riconoscimento vuole aprire la strada alle coppie omosessuali e magari alla fine anche alle adozioni, ma andiamo fuori tema. Vorrei solo ricordare che attualmente le coppie di fatto dallo Stato sono molto più tutelate delle famiglie: assegni familiari, assistenza sanitaria, posti negli asili e sgravi fiscali rendono infinitamente più conveniente non essere sposati e quindi non sommare i propri redditi, tanto che molte coppie si separano in modo fittizio.

Ma mi interessa di più l'aspetto spirituale, umano. Una volta di più mi rendo conto quanto la Chiesa sia nostra madre quando ci mette in guardia dal sesso fuori dal matrimonio. Possiamo fare, ovviamente, anche di testa nostra, come i bambini che vogliono saggiare con la propria zucca la durezza del termosifone. Sono circondata da persone che vivono la loro sessualità con la massima libertà, e la massima infelicità. Avere separato il sesso dalla possibilità di generare figli, dall'impegnarsi in una relazione definitiva, averlo ridotto a banale modo per conoscersi ci ha precipitati in una menzogna dolorosa che ha effetti devastanti su tante vite.

Il sesso non è un modo per conoscersi ma la donazione totale e massima. Farlo al di fuori di questa prospettiva è una bugia, ingenera confusione, disordine. Soprattutto tanta solitudine, e soprattutto nelle donne, che hanno tradito la loro vocazione più alta, quella di accogliere la vita (e non so se ci sia convenuto, a parte qualche posto in qualche consiglio di amministrazione, che ci è rimasto in mano?).

“Niente è più infido del cuore e difficilmente guarisce”, dice il profeta Geremia, e noi questo cuore lo dobbiamo affidare a Dio; affidare a Lui, che ci parla attraverso la Chiesa, anche l'amore e il sesso, non alle nostre emozioni, alla nostra “animula vagula blandula” che va dietro alle emozioni e si perde.

Da La Bussola Quotidiana.it, 8 giugno 2011
 
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