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Lo sfregio del murales dei ragazzi di Addiopizzo Catania raffigurante Giovanni Falcone e la moglie Francesca, così violento e deturpante, non deve meravigliare. Già lo scorso anno, nella notte tra il 24 ed il 25 aprile, dei vandali distrussero l’albero simbolo di Falcone, davanti a quella che era la sua abitazione palermitana. L’odio verso il giudice, insomma, continua. Perché anche se da diciannove anni non può più indagare e arrestare malviventi, il suo volto incute ancora timore. Proprio come quando arrestava mafiosi a centinaia. Ecco perché, se da un lato non possiamo che provare rabbia per lo sfregio del murales catanese situato in Viale Ulisse, dall’altro abbiamo comunque di che consolarci: se c’è qualcuno che ancora si prende la briga di aggredire l’immagine di Falcone significa che, nonostante cinquecento chili di tritolo, egli non è affatto morto. Anzi, continua ad essere quello che è sempre stato: un grandissimo esempio. Infinitamente più grande di quello di coloro che, da decenni, tentano di eliminarlo perché hanno paura di lui. Friedrich Nietzsche ha scritto: «Non si odia finché la stima è ancora poca, ma soltanto allorché si stima qualcuno come uguale o superiore».