Diventa socio
Sostieni la nostra attivitą
Contatti
Stando ai resoconti giornalistici, a Venezia Benedetto XVI avrebbe fatto l’apologia dell’accoglienza agli immigrati: «Papa:“Niente paura, accogliere gli stranieri”» (www.ansa.it), «“Papa: Non temete stranieri”»(www.corriere.it), «Unità spirituale verso l’immigrazione» (www.repubblica.it), «Il Papa: “Superare la paura degli immigrati speranza per la modernità”» (www.lastampa.it). Il Santo Padre, insomma, avrebbe approfittato della visita veneta per inneggiare all’apertura delle frontiere. Ma è davvero così? Il Papa ha sul serio esortato ad un nuovo sguardo sull' immigrazione?
Per una verifica non possiamo che partire da un elemento, e cioè i discorsi effettivamente tenuti da Benedetto XVI in questo fine settimana; cinque interventi: il discorso nella Basilica di Aquileia sabato pomeriggio, il saluto alla cittadinanza, sempre sabato, in piazza San Marco a Venezia, l’omelia nella Messa di domenica mattina al Parco San Giuliano di Mestre, il discorso di domenica pomeriggio nella Basilica di San Marco, il saluto, nello stesso pomeriggio, ai rappresentanti del mondo culturale, artistico e socio-economico del veneziano presso la Basilica di Santa Maria della Salute. Ebbene, diversamente da quanto riportato dai siti dell’Ansa e del Corriere, in questi cinque interventi – che totalizzano 7.026 parole – il Papa non ha mai (!) pronunciato la parola «stranieri», se non, nella Messa di domenica mattina, quando ha ricordato l’esortazione di Pietro a comportarsi «con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri» (1, Pt 1,17).
Una citazione, com’è evidente, che non ha nulla a che vedere con l’invito che il Santo Padre avrebbe rivolto a non aver paura di accogliere gli stranieri. Sempre domenica mattina, Benedetto XVI ha fatto un richiamo al fenomeno dell’immigrazione, ma non ha mai incoraggiato, come invece ha titolato il sito di La Repubblica, l’«unità spirituale verso l’immigrazione», soffermandosi invece sull’importanza dell’unità spirituale «alla luce del fenomeno dell’immigrazione e delle nuove circostanze geopolitiche in atto», che è cosa ben diversa. Un richiamo all’immigrazione, il Santo Padre l’ha fatto anche il giorno prima, sabato, nella Basilica di Aquileia, quando, in riferimento alla situazione del Nord-est, ha ricordato come «il massiccio fenomeno del turismo e dell’immigrazione, la mobilità territoriale, il processo di omologazione provocato dall’azione pervasiva dei mass-media», abbiano «accentuato il pluralismo culturale e religioso» rendendo ancora più necessaria la proposta della «bellezza dell’avvenimento di Gesù Cristo, Via, Verità e Vita, ad ogni uomo e ad ogni donna, in un rapporto franco e sincero con i non praticanti, con i non credenti e con i credenti di altre religioni».
Ma anche in questo caso, nessun invito esplicito, come invece ha riferito il sito de La Stampa, «a superare la paura degli immigrati». Se il Papa, come abbiamo visto, ha toccato solo marginalmente - e con accenti assai pacati - il fenomeno dell’immigrazione, come mai giornali, televisioni e siti internet hanno trasformato la sua visita veneta in un inno all’accoglienza degli stranieri? Intendiamoci: accogliere il prossimo, tanto più se affamato e proveniente da paesi lontani, è senz’altro un dovere cristiano; a prima vista, però, non si capisce il bisogno di travisare quanto detto da Benedetto XVI facendo dei suoi recenti discorsi un’apologia contro la paura degli immigrati. A prima vista. Perché il realtà, una ragione c’è e riguarda il tentativo - spesso favorito, come in questo caso, dalle ricostruzioni giornalistiche e talora persino intraecclesiale - di ridurre il vangelo ad un codice morale, ad un manifesto filantropico universale. Trattasi, a ben vedere, del modo più violento e radicale per dimenticare Gesù Cristo, per ridimensionarlo a ispirato profeta di benevolenza, a figlio dei fiori ante litteram. Un vero e proprio declassamento del Figlio di Dio: da Salvatore dell'umanità a filosofo del buonumore.
Chi, tra gli altri, ha ed ha avuto il coraggio di denunciare con forza questa tendenza è il Cardinale Giacomo Biffi, che già vent’anni fa metteva tutti in guardia dal «cristianesimo ridotto a pura azione umanitaria nei vari campi dell'assistenza, della solidarietà, del filantropismo, della cultura», equivoco per cui «la Chiesa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità (cfr.1 Tim3,15)» viene «scambiata per un'organizzazione benefica, estetica, socializzatrice» (Attenti all'Anticristo, Piemme 1991, p. 27). Come venti secoli fa, succede così che il vero straniero sta tornando ad essere il Nazareno, rimpatriato nuovamente verso l’oblio e l’indifferenza, dimenticato, nascosto.
Ma senza Lui che, come ci ha ricordato Von Balthasar, è «l’imperativo categorico concreto», la nostra accoglienza verso tutti, immigrati compresi, di fatto non potrebbe essere autentica. Sarebbe apprezzabile altruismo, nulla di più. E, nel giro di poco tempo, ci costringerebbe con imbarazzo a tornare sulle orme di Colui che abbiamo rifiutato. Uno di cui i mass media parlano poco, anzi per nulla, ma che è il vero Maestro. Il solo che possa insegnarci tutto, ma che non impone nulla. E che se ne sta lì, paziente, alla periferia della nostra vita. Nella speranza di essere finalmente accolto.